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Abusi ,sette, dark web : le conseguenze sui minori.




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Cominciamo da situazioni rilevate al di fuori del web, per non spostare difensivamente l’attenzione sullo strumento, e lasciarla invece concentrata sul fenomeno.

source : rocca.cittadella.org AGOSTO- SETTEMBRE 2020 di Rosella De Leonibus


Secondo alcune ricerche molto recenti pare che la violenza sui bambini sia stata in forte aumento, anche a livello degli abusi domestici, soprattutto durante la pandemia, (Jai Sidpra, dello University College di Londra, Archives of Disease in Childhood). abusi domestici Durante la pandemia del Covid-19 si è verificata un’ondata di abusi domestici sui minori, e si ipotizza che quelli certificati siano solo la punta di un enorme iceberg sommerso (è la rivista di pediatria della British Medical Association che lo scrive: Doi: 10.1136/archdischild-2020-319872// dx.doi.org/10.1136/archdischild-2020- 319872).

Sono stati riscontrati problemi respiratori e perdita di coscienza, convulsioni, lividi estesi, emorragia subdurale, gonfiore cerebrale, contusioni parenchimali, fratture del cranio, emorragia subaracnoidea, e le solite fratture ossee nel resto del corpo, cuoio capelluto gonfio, escoriazioni.

Lo tsunami della pandemia ha lasciato visibile sulla riva l’intricato groviglio che collega gli abusi sui minori all’abuso di alcool e droghe, alle problematiche psichiche degli adulti, a situazioni di marginalità culturale e anche economica, che hanno lasciato intravedere un contagio nascosto, fatto di terribili violenze senza volto e senza nome a danno dei più piccoli e dei più indifesi.

Le schiave del sesso Solo in Italia, e nell’arco del solo mese di luglio, è stata smantellata una setta di «schiave del sesso» nella quale gli adepti, soprattutto donne, come nelle catene di vendita dei contenitori da frigo, schiavizzavano a loro volta altre vittime e commettevano reati sessuali, anche su minori.

Le vittime, ragazze e bambine, venivano reclutate con ben note pratiche di indottrinamento e poi costrette a pratiche sessuali.

E arriviamo all’ennesima «chat degli orrori». L’inchiesta è nata dalla denuncia di una madre. Minorenni che si scambiavano immagini hard e foto di suicidi e mutilazioni. Le ha ritrovate negli smartphone dei ragazzi la polizia postale di Lucca: filmati hard con giovani vittime, suicidi, mutilazioni, squartamenti e decapitazioni di persone, in qualche caso di animali.

Il più grande all’interno della chat ha 17 anni, sette sono 13enni. La sequenza secondo cui ho riportato queste amare vicende l’ho pensata per disporre il mio sguardo, il nostro sguardo, a cercare una continuità tra le tre tipologie di violenza e abuso, per tracciare una linea dalla posizione di vittima a quella ci carnefice per quanto riguarda i bambini e i ragazzi.

Per non dimenticare che un certo tipo di violenza, quella che porta a commettere gli abusi più efferati, si impara. In famiglia, nel mondo esterno, e oggi anche nel dark web .

La palestra del dark web Crudeli perpetratori di abusi, fisici e sessuali, non si nasce, ma lo si può diventare e imparare nell’esperienza familiare, in quella sociale e in quella telematica.

E l’ultimo passaggio, il dark web, dove i minorenni possono contattare senza filtri, in tre semplici click, immagini e video di una violenza estrema è solo l’ultimo passaggio, quello che apparentemente li sposta nella posizione di chi la violenza, anziché subirla, la perpetra, anche solo dallo schermo.

La palestra del dark web non va tanto per il sottile, abuso fisico e sessuale sono intercambiabili, fanno moltiplicare gli accessi se sono presentati insieme. E chi guarda, se è un bambino o un adolescente, è vittima egli stesso, ella stessa. Perché i suoi neuroni specchio vivono dal di dentro quelle esperienze, si identificano con quei corpi pluriabusati, e nello stesso tempo, in virtù del fatto che dallo schermo ne restano distanti fisicamente, possono identificarsi contemporaneamente anche con l’aggressore.

Il sentimento di orrore può spostarsi sullo sfondo della coscienza, mentre va in primo piano, nella home page della mente, il brivido adrenalinico di chi la violenza la agisce, anziché l’angoscia devastante di chi la subisce. Avranno le stesse conseguenze traumatiche, che siano giovani vittime o giovani spettatori.

Le ricerche sugli esiti a lungo termine della violenza assistita (trovarsi a dover assistere a violenze sui familiari o sui compagni, o a subire un clima di violenza di cui non sono le vittime dirette), sono ancora in corso, ma stanno dimostrando esiti traumatici molto incisivi e duraturi nel tempo, capaci di attraversare, devastandola, la formazione dell’identità e delle future relazioni.

La risposta psicofisiologica è pre-cognitiva, avviene cioè al di sotto della coscienza, ed investe per primo il sistema neurovegetativo, cioè la centrale di regolazione di tutte le funzioni corporee, comprese quelle che svolge il cervello.

Essere esposti ripetutamente ad esperienze dirette o ad immagini di abusi crea lo stesso cortocircuito nel corpo, attraverso la disregolazione delle attività del sistema vagale e del sistema simpatico, e crea anche la necessità per la psiche di «attenuare» e «normalizzare» l’impatto emotivo e cognitivo di queste esperienze, con una conseguente disregolazione della soglia di attenzione e di attivazione emozionale (arousal).

Si produce cioè una sorta di desensibilizzazione rispetto a quel dato stimolo, una saturazione percettiva che lo interpreta come meno saliente, meno rilevante, fino a venir considerata perfino «normale» o addirittura desiderabile quella data soglia di attivazione che all’inizio destava allarme e percezione del pericolo.

Da una forte attivazione a livello neurofisiologico (tachicardia, palpitazioni, panico), si passa, se l’esperienza viene ripetuta, ad uno stato contrario, fino ad un senso di distacco e all’alterazione dello stato di coscienza, tipico della reazione da stress post traumatico.

La memoria ne viene compromessa, le immagini diventano intrusive, e i sintomi dissociativi difendono la coscienza dal trauma, mentre l’esperienza corporea arriva ad uno stato di numbing (ottundimento) che finisce per alterare lo stile di vita nella direzione del ritiro sociale e dell’attivazione selettiva sullo stimolo che ha prodotto la risposta traumatica (Aisted, Associazione Italiana per lo Studio del Trauma E della Dissociazione, www.aisted.it; Ebook di Raffaele Avico per Aisted nel maggio 2020 www.ilfogliopsichiatrico.it).

Una crescita alterata Oggi si sa che l’abuso fisico o sessuale sui minori influenza il processo di crescita, il rendimento scolastico, le relazioni coi coetanei e la percezione di sé. Avrà pesanti conseguenze sulla vita affettiva (oltre che su quella sessuale) e sulle scelte amorose.

Deficit cognitivi, oltre a sintomi dissociativi, sono comuni sul lungo termine per chi ha subìto abusi nell’infanzia e nell’adolescenza, come abbandono scolastico, depressione, obesità, condotte autolesionistiche, abuso di alcol e di sostanze (Bessel Van Der Kolk, Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nella elaborazione delle memorie traumatiche, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2015).

Le vittime di abusi hanno un percorso di sviluppo anomalo, odiano se stesse, nel profondo, anche se la condotta esibita può essere aggressiva e perfino sfidante, hanno perso la fiducia nelle relazioni e hanno un orizzonte temporale solo immediato.

Sono affettivamente isolate, e tendono a non valutare né il rischio, né le conseguenze delle proprie azioni, anche da adulte, quando lo sviluppo della corteccia prefrontale potrebbe essere fisiologicamente ormai maturo.

Tendono a condotte impulsive, alla soddisfazione immediata di pseudo-bisogni, e finiscono per vivere una sessualità sregolata e impoverita, mai veramente appagante, ricercata in modo confuso e dipendente oppure svalutata e oggettivata, senza alcuna connessione con l’intimità emotiva e l’affettività.

Il percorso di risalita dall’abisso dell’abuso subìto nell’infanzia e in adolescenza è lungo e irto di ostacoli, perché si tratta di ristabilire una relazione di fiducia con la figura professionale di accudimento, e poi dipanare al rovescio la aggrovigliata matassa delle cause e delle conseguenze, e riconnettere corpo, sensi, emozioni, immaginario e cognizione.

Si potrebbe, più efficacemente, lavorare a livello sociale, decostruendo l’immaginario della violenza e del piacere sessuale come risultato del dominio e della sopraffazione, ma questo è un altro discorso, che riprenderemo più avanti. Intanto condivido una riflessione, un primo passo specifico in questa direzione.

Vale per la relazione sessuale, in particolare uomo/donna, ma pensiamola anche nell’ambito dell’abuso fisico, per la relazione col corpo, il proprio e quello altrui.

«Non c’è niente di sbagliato nel sesso, e non c’è niente di sbagliato nell’essere interessati ad esso. Per me, questa non è una questione morale. Sono arrabbiata perché penso che guardare porno ha il potenziale di influenzare le tue esperienze sessuali in un modo davvero negativo. E non sono solo io a pensarlo. Questo è un fatto provato. Gli uomini che guardano un sacco di porno hanno difficoltà a godere del sesso reale con le donne reali. E io non voglio che tu sia così né per te stesso e né per le tue partner. Solo perché l’hai visto nel porno, non dare per scontato che funzionerà nella vita reale. Chiedi sempre prima, mai fare l’errore di pensare che una ragazza sia interessata a qualcosa solo perché lo hai visto in un porno o perché è piaciuto all’ultima ragazza con cui sei stato. La pornografia è fatta dagli uomini per gli uomini. Questo significa che ciò che si vede di solito è ciò che gli uomini vogliono fare, non quello che piace alle donne»
. (da: Lettera a mio figlio sulla pornografia, di Harriet Pawson, giornalista e ricercatrice, lanciata dal sito every day feminism – Australia, riportata nel testo di Monica Lanfranco, Crescere uomini, Le parole dei ragazzi su sessualità, pornografia, sessismo, Erickson, Milano, 2019).



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