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Cure palliative: un traguardo ancora lontano




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Lo scorso 20 marzo è ricorso il decimo anniversario dell’approvazione della legge n. 38 sulle cure palliative e la terapia del dolore. Un occasione utile per fare il punto su quanto nel frattempo è avvenuto in termini di applicazione e per verificare i risultati conseguiti.

source : rocca.cittadella.org di Giannino Piana.


A soddisfare questa esigenza è stata di recente consegnata al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della legge, che si riferisce al triennio 2015-2017 e che contiene una serie di dati allarmanti.

Ciò che in sintesi emerge dalla relazione è infatti che questa legge risulta globalmente una delle meno applicate, con una consistente disomogeneità territoriale – vi sono infatti regioni in surplus accanto ad altre in deficit – e soprattutto con vistose carenze in ambito pediatrico su quasi tutto il territorio nazionale. le ragioni della mancata attenzione .

Si tratta di un segnale inquietante, se si considera l’alto significato umano e civile della legge 38. La finalità fondamentale che attraverso di essa si è inteso perseguire è infatti l’umanizzazione della medicina in un ambito particolarmente delicato, quello riguardante persone non guaribili perché a prognosi infausta e il più spesso in fase terminale.

Il loro accompagnamento, realizzato con un insieme di cure destinate ad alleviare la sofferenza – non solo fisica, ma anche emotiva e psicologica – e a garantire per quanto possibile una buona qualità di vita, costituisce un importante segnale di civiltà.

L’avere trascurato di assegnare la giusta priorità a questa scelta significativa fatta dal Parlamento denuncia una grave insensibilità attorno a valori fondamentali che hanno a che fare con il rispetto e la promozione della dignità della persona umana in tutte le fasi della sua esistenza.

La scarsità delle risorse economiche, avanzata come motivo da alcuni amministratori regionali non giustifica questa omissione: il limite delle risorse obbliga senza dubbio a fare delle scelte, ma il fatto che si privilegino altri interventi meno eticamente e socialmente rilevanti è la riprova della scarsa sensibilità nei confronti dei valori segnalati.

Accanto all’insensibilità politica vi è poi anche una scarsa attenzione da parte dei medici e del personale sanitario in generale. L’idea che qui predomina è che la ricerca medica e clinica debba essere finalizzata alla guarigione, e questo fa sì che si assegni poco valore ad interventi, come quelli delle cure palliative, in cui tale obiettivo è in partenza escluso perché irraggiungibile.

I successi raggiunti in campo biomedico grazie al progresso tecnologico hanno ulteriormente rafforzato questa convinzione, ingenerando una hybris prometeica, che mal sopporta il confronto con situazioni nelle quali ci si confronta con la propria impotenza. Il valore del «guarire» finisce per oscurare quello del «curare» (e più radicalmente del «prendersi cura»), di cui non si valuta fino in fondo l’importanza.

Ma forse la ragione più profonda (e più largamente diffusa) è dovuta ai parametri valutativi della cultura dominante. Il prevalere delle logiche dell’efficienza produttiva e del consumo, espressione dell’ideologia del mercato divenuta egemone, ha concorso a sviluppare una mentalità di stampo utilitarista, che misura gli interventi messi in campo in ambito medico in termini di calcolo oggettivo dei risultati, prescindendo dalla considerazione del valore irrinunciabile attorno al quale l’intera medicina dovrebbe ruotare, quello della dignità della persona (di ogni persona) in tutti gli stadi dello sviluppo.

Le cure palliative che si rivolgono a soggetti, in genere anziani e in condizioni terminali, perciò senza alcuna possibilità di una vera ripresa, misurate secondo i criteri accennati, risultano uno spreco che accolla un peso economico – e non solo, se si pensa al personale umano impiegato – ritenuto ingiustificato.
Il valore di tali interventi In realtà, le cure palliative rivestono, se ci si muove in un orizzonte antropologico più ampio di quello di matrice positivista che soggiace alle valutazioni correnti, un grande valore umano e civile. Esse hanno avuto il merito di introdurre nel sistema sanitario – è questo un fattore di grande rilevanza – la dignità della medicina che non guarisce ma cura, custodendo la vita fino alla fine.
Si tratta infatti di cure che si oppongono tanto agli eccessi dell’accanimento terapeutico, in cui il prolungamento della vita biologica a tutti i costi e senza limitazioni finisce per negare la sua qualità umana, quanto alla tentazione dell’abbandono, che ha luogo quando, per i motivi ricordati, si rinuncia a prendersi cura di chi non è guaribile. Cure palliative, hospice, assistenza domiciliare, terapia del dolore costituiscono, nel loro insieme, un sistema terapeutico ispirato al criterio della proporzionalità. L’obiettivo non è quello di insistere nel mettere in atto interventi del tutto inutili o futili, che hanno costi umani ed economici rilevanti senza alcun risultato, ma di favorire un processo di accompagnamento del paziente all’ultimo traguardo, standogli accanto ed offrendogli quei supporti clinici e psicologici, che lo aiutino ad elaborare i conflitti interiori e a vivere
Quali prospettive di impegno? L’importanza della legge 38, che ha assegnato centralità culturale al paziente inguaribile (e terminale), e la sua ancora scarsa applicazione, specialmente in alcune aree territoriali del Paese, sollecitano la messa in atto di una serie di provvedimenti che ne promuovano lo sviluppo. Due tipi di intervento meritano, a tale riguardo, di essere messi in atto con urgenza.

Il primo riguarda l’economia. Le cure palliative e la terapia del dolore necessitano di maggiori risorse di quante siano state finora erogate. Mancano infatti investimenti adeguati che consentano di potenziare l’accompagnamento domiciliare con una rete di sostegno sociale – fondamentale è a tale proposito l’apporto del volontariato – e di estendere le cure palliative all’ambito pediatrico.

A dover essere predisposta è poi anche una legislazione che ristabilisca il giusto equilibrio tra le diverse aree del Paese, tanto a riguardo delle cure pediatriche che dell’assistenza domiciliare. Il secondo tipo di intervento chiama in causa l’iter formativo. Il fatto che dopo dieci anni dall’introduzione della legge 38 non esista ancora una scuola di specializzazione in cure palliative – scuola attivata in Inghilterra dal 1987 – evidenzia non soltanto la presenza di uno stato di arretratezza dovuto a negligenza, ma ancor più la persistenza di un disinteresse motivato – come già si è ricordato – dalla scarsa considerazione dell’importanza assegnata a tali cure.

Il che rende allora necessario un cambiamento di mentalità e la creazione di un percorso universitario, che garantisca una professionalizzazione del sistema; professionalizzazione essenziale per dare dignità e riconoscere competenza specifica agli operatori. una questione culturale

Ma l’aspetto più rilevante della questione è – lo si è già accennato – di ordine culturale.

La percezione dell’importanza che hanno le cure palliative e la terapia del dolore è legata anzitutto all’acquisizione della consapevolezza che la vita umana è una vita a termine; all’introiezione, in altre parole, del senso del limite, e perciò al riconoscimento della fragilità e della precarietà come dimensioni costitutive della condizione umana.

La capacità di fare i conti con tali dimensioni o – come suggeriva lo psicanalista francese Marc Oraison – di integrare nella propria esistenza il tempo reale in quanto tempo limitato, e più radicalmente di fare i conti con la morte, è uno degli indici più importanti della raggiunta maturità.

Il progresso scientificotecnologico sembra aver oscurato, anche in campo medico, questa percezione, in ragione del mito dell’onnipotenza, che spinge a ritenere inutile tutto ciò che non ha a che fare con l’effettiva possibilità di guarigione.

Il ricupero del limite è poi anche stimolo a uscire da una visione altezzosa e positivista della medicina e a inserirla in un orizzonte umanistico, con una visione olistica della cura, in cui a contare è in primo luogo la comunicazione medico-paziente quale aspetto irrinunciabile dell’atto medico e dell’azione curativa.

La consapevolezza del significato delle cure palliative può avvenire soltanto se l’iter formativo che viene fatto percorrere a chi si prepara a diventare medico o a far parte del personale sanitario intreccia, in modo equilibrato, al proprio interno la fornitura di nozioni e di strumenti scientifico-tecnici, assolutamente necessari, con l’offerta di prospettive umanistiche, capaci di fornire un senso globale all’attività medica.

Il futuro delle cure palliative è dunque, in ultima analisi, connesso a una serie di impegni, che chiamano in causa ambiti diversi della vita sociale: dall’economia, alla politica, alla gestione dell’attività sanitaria. Ma è soprattutto dipendente dal farsi strada di un cambiamento di mentalità, una vera e propria rivoluzione culturale, che rimetta al centro dell’interesse il «prendersi cura» della persona umana dall’inizio alla fine della sua esistenza.


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