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Il papa contro le messe in tv: “Questa non è la Chiesa”

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Il 12 marzo papa Francesco aveva fatto chiudere tutte le chiese della sua diocesi di Roma, a motivo della pandemia di coronavirus. Ma se ne era subito pentito, e il giorno dopo le ha fatte riaprire.

source : http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/ di Sandro Magister 20 apr 2020


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È rimasto però il divieto, a Roma e in Italia, di celebrare le messe con presenti i fedeli. E il papa per primo vi obbedisce. Da diverse settimane ormai, le sue messe a Santa Marta nei giorni feriali e in San Pietro nelle festività sono celebrate in solitudine, così come la memorabile benedizione con il santissimo sacramento della sera di venerdì 27 marzo, in una piazza San Pietro deserta e battuta dalla pioggia.

Le messe del papa, tuttavia, così come le messe di tante parrocchie, sono trasmesse per via telematica. Quelle di Francesco con indici di ascolto altissimi, mai toccati in passato. Ogni sua messa feriale a Santa Marta, la mattina alle 7, è vista in Italia da circa 1 milione e 700 mila telespettatori.

Anche su questo, però, in Francesco sono ora sorti dei seri timori. L’apparente successo di queste messe televisive cela infatti un pericolo che già molti cattolici hanno denunciato. È il pericolo che il sacramento decada dal reale al virtuale e quindi si dissolva.

Il grido d’allarme non è venuto solo dalle correnti più attaccate alla tradizione, ma anche da esponenti di spicco dell’ala progressista, in Italia dal fondatore del monastero di Bose Enzo Bianchi, dallo storico della Chiesa Alberto Melloni, dal fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi.

Ebbene, nell’omelia della messa a Santa Marta del 17 aprile, venerdì dell’ottava di Pasqua, Francesco non si è più trattenuto e ha spiegato che una Chiesa “viralizzata” non è più la Chiesa vera, fatta di popolo e di sacramenti.

Guai – ha ammonito – se quando la pandemia cesserà restasse viva l’idea “ gnostica ” di una Chiesa telematica invece che reale.
L’omelia del papa è riprodotta più sotto. Ma prima può essere utile notare che anche in passato, quando le epidemie infuriarono, grandi pastori della Chiesa cattolica furono consapevoli della necessità di tenere viva la realtà dei sacramenti.

Si può ricordare in proposito la grande peste di Milano del 1576. San Carlo Borromeo, il vescovo, ottenne dal governatore spagnolo della città l’obbligo per tutti i cittadini di chiudersi in casa per quaranta giorni. Ma mandò i suoi preti a celebrare le messe domenicali agli angoli delle strade, con i fedeli affacciati agli usci e alle finestre.

San Carlo guidò anche delle processioni penitenziali, ma con l’accortezza di disporle su due file singole ai lati delle strade e con 3 metri di distanza tra l’uno e l’altro penitente. Le cronache del tempo ricordano le sue incessanti visite agli appestati, ma sempre con attente precauzioni. Cambiava spessissimo gli abiti e li faceva bollire, purificava col fuoco e l’aceto ogni suo contatto manuale, teneva a distanza con una bacchetta di legno i suoi interlocutori. Si calcolò che a Milano i morti furono 17 mila, contro i 70 mila di Venezia.

Come ai tempi di San Carlo, anche a Roma, oggi, un parroco ha celebrato la messa della domenica delle Palme all’aperto, sul campanile, con i fedeli affacciati da finestre e balconi. Il suo gesto è entrato nelle cronache tra le notizie bizzarre. Ma certo quella sua messa era più “vera” di quelle teletrasmesse.

Ecco dunque i passaggi chiave dell’omelia di Francesco. Il papa ha preso spunto dal racconto – nel Vangelo del giorno – dell’incontro tra gli apostoli e Gesù risorto sulle rive del lago di Galilea. E così ha proseguito.

*
Dall’omelia di papa Francesco nella messa mattutina a Santa Marta del 17 aprile 2020
[…] Questa familiarità con il Signore, dei cristiani, è sempre comunitaria. Sì, è intima, è personale ma in comunità. Una familiarità senza comunità, una familiarità senza il Pane, una familiarità senza la Chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti è pericolosa.

Può diventare una familiarità – diciamo – gnostica, una familiarità per me soltanto, staccata dal popolo di Dio. La familiarità degli apostoli con il Signore sempre era comunitaria, sempre era a tavola, segno della comunità. Sempre era con il Sacramento, con il Pane.

Dico questo perché qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo che questo momento che stiamo vivendo, questa pandemia che ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione, anche questa Messa, siamo tutti comunicanti, ma non insieme, spiritualmente insieme. Il popolo è piccolo. C’è un grande popolo: stiamo insieme, ma non insieme.

Anche il Sacramento: oggi ce l’avete, l’Eucaristia, ma la gente che è collegata con noi, soltanto la comunione spirituale. E questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre.

Prima della Pasqua, quando è uscita la notizia che io avrei celebrato la Pasqua in San Pietro vuota, mi scrisse un vescovo – un bravo vescovo, bravo – e mi ha rimproverato. “Ma come mai, è così grande San Pietro, perché non mette 30 persone almeno, perché si veda gente? Non ci sarà pericolo …”.

Io pensai: “Ma questo che ha nella testa, per dirmi questo?”. Io non capii, nel momento. Ma siccome è un bravo vescovo, molto vicino al popolo, qualcosa vorrà dirmi. Quando lo troverò, gli domanderò.

Poi ho capito. Lui mi diceva: “Stia attento a non ‘viralizzare’ la Chiesa, a non ‘viralizzare’ i sacramenti, a non ‘viralizzare’ il popolo di Dio ". La Chiesa, i sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci.

E questa è la familiarità degli apostoli: non gnostica, non “viralizzata”, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo. La familiarità con il Signore nella vita quotidiana, la familiarità con il Signore nei sacramenti, in mezzo al popolo di Dio.

Loro hanno fatto un cammino di maturità nella familiarità con il Signore: impariamo noi a farlo, pure. Dal primo momento, questi hanno capito che quella familiarità era diversa da quello che immaginavano, e sono arrivati a questo. Sapevano che era il Signore, condividevano tutto: la comunità, i sacramenti, il Signore, la pace, la festa.

Che il Signore ci insegni questa intimità con Lui, questa familiarità con Lui ma nella Chiesa, con i sacramenti, con il santo popolo fedele di Dio.



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