Corso di Religione
A Trieste parte una nuova Scuola di Dottrina sociale della Chiesa per la formazione all’impegno sociale e politico. Il vescovo Giampaolo Crepaldi farà una presentazione il 19 marzo, festa di san Giuseppe, e in questa intervista spiega ilo senso e l’importanza che i cattolici conoscano la dottrina sociale della Chiesa, il suo rapporto con la fede, e agiscano quindi di conseguenza.
Eccellenza, il prossimo 19 marzo, Festa di San Giuseppe,
a Palazzo Economo di Trieste (Piazza della Libertà 7) alle ore
18,00, lei farà una presentazione pubblica della nuova Scuola di
Formazione all’impegno sociale e politico della Diocesi di Trieste.
Lo farà parlando anche del suo recente libro-intervista La
Dottrina sociale della Chiesa. Una verifica a dieci anni dal Compendio
(2004-2014) (Cantagalli, Siena 2014). Cosa lega la Scuola
con la pubblicazione di questo libro?
«Non posso dimenticare che la cosa ha anche un significato dal punto
di vista mio personale. Come Segretario del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace ho lavorato assiduamente al progetto
del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, collaborando
con il cardinale Van Thuân e poi con il cardinale Martino, presidenti
del Pontificio Consiglio. Al Compendio sono anche legati
molti miei ricordi personali, alcuni dei quali li esprimo nel libro-intervista
che ho recentemente pubblicato. Oltre a questo, però, il decennale
della pubblicazione del Compendio (2004-2014) è stato per me occasione
di una riflessione più ampia sullo sviluppo della Dottrina sociale
della Chiesa, per capire meglio come dobbiamo muoverci e cosa dobbiamo
fare. Qui la mia riflessione sui dieci anni del Compendio si
lega con la nuova iniziativa diocesana che presenterò il 19 marzo
prossimo».
In altre parole, questa Scuola di Dottrina sociale della
Chiesa per la formazione all’impegno sociale e politico sarà anche
una concretizzazione della “verifica” sullo stato di salute della
Dottrina sociale della Chiesa che lei ha fatto nel libro-intervista.
Può anticiparci qual è il punto essenziale di questa sua analisi?
«Gli aspetti dell’analisi che propongo sono tanti. Se dovessi dire,
però, qual è il più importante lo indicherei nel collegamento vitale
della Dottrina sociale con la Chiesa nella vita della Chiesa, il
suo inserimento nella vita della fede cattolica. Mi viene in mente
quanto detto da Benedetto XVI in Portogallo: ci preoccupiamo della
presenza dei cattolici nella vita sociale e politica e intanto nei
nostri Paesi la fede si sta spegnendo».
Quindi prima l’evangelizzazione e poi la Dottrina sociale
della Chiesa?
«No, insieme, perché la Dottrina sociale della Chiesa è “della Chiesa”
e costituisce “uno strumento di evangelizzazione”. Anche essa è “annuncio
di Cristo” e quindi appartiene alla proposta di fede che la Chiesa
fa a tutti, data la sua indole missionaria. La Dottrina sociale della
Chiesa, e l’impegno che ne deriva, hanno bisogno di essere nutriti
dalla totalità della fede cattolica, la fede cattolica ha bisogno
della Dottrina sociale della Chiesa perché il suo annuncio sia anche
pubblico e non solo privato».
Ci può spiegare meglio cosa intende quando parla di collegamento
della Dottrina sociale della Chiesa con la totalità della fede
cattolica?
«Mi limito a fare un esempio. La fede cattolica ha un contenuto
dogmatico, ossia l’insieme delle verità rivelate da Dio per la nostra
salvezza. Ecco, allora, un punto di fondamentale importanza: la Dottrina
sociale della Chiesa è in stretto rapporto con queste verità dogmatiche,
che non sono verità astratte e teoriche ma esprimono la realtà della
vita divina a noi partecipata. Staccata da esse, la Dottrina sociale
della Chiesa diventa arida».
Ci fa un esempio?
«Gliene faccio due. Che Dio abbia creato l’universo è una verità
della nostra fede. Oggi si parla molto di problema ecologico e ne
parla anche la Dottrina sociale della Chiesa e in particolare il Compendio,
ma mai staccando il problema dal collegamento con Dio creatore. Accettando
questo distacco si impoverirebbe il concetto di natura, la quale
non esprimerebbe più nessun significato complessivo. Il secondo esempio:
il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Niente di più lontano
dalla Dottrina sociale della Chiesa, sembrerebbe. E invece no. La
proclamazione di questo dogma ha definitivamente escluso ogni forma
di naturalismo, ossia ritenere che la natura umana possa darsi la
salvezza da sé. Anche oggi l’uomo pensa di fare a meno di Dio e nega
di avere una natura corrotta dal peccato originale. Così pensando,
diventa inutile la Dottrina sociale della Chiesa, dato che l’uomo
sa salvarsi con le sole sue forze. Ma l’Immacolata Concezione afferma
che lo scopo del mondo è la Gloria di Dio, la vittoria sul peccato
e sul male, al cui scopo è indirizzata anche la Dottrina sociale
della Chiesa».
Quanto lei dice non corre il rischio di “rinchiudere” la
Dottrina sociale della Chiesa dentro la Chiesa, ossia tra coloro
che accettano la fede cattolica nella sua totalità?
«Molti pensano così come lei dice. La Dottrina sociale della Chiesa
– essi dicono – deve laicizzarsi per poter parlare anche a chi non
è cattolico. Ma per parlare anche a chi non è cattolico la Dottrina
sociale non deve laicizzarsi, cioè non deve recidere il legame con
la totalità della fede cattolica. Anzi, deve fare proprio il contrario».
Questa non l’ho capita…
«Spiego la cosa a due livelli. Primo livello: la Dottrina cattolica,
in quanto deve essere proposta a tutti gli uomini, parla un linguaggio
umano e razionale, parla il linguaggio di tutti. Se io dico che “tutti
gli uomini sono fratelli in Cristo”, il non credente si fermerà a
“tutti gli uomini sono fratelli”, mentre il credente accetterà anche
la prosecuzione “in Cristo”. Nell’annuncio della verità cristiana
c’è sempre anche un contenuto di semplice verità umana. Non c’è quindi
nessuna necessità di non dire che siamo fratelli “in Cristo”, ossia
di laicizzare il messaggio. Il suo contenuto umano viene appreso
lo stesso e forse ancora meglio anche da chi cristiano non è. Se
si annuncia Cristo si annuncia anche l’uomo».
E il secondo livello?
«Se io fossi un laico non credente, vorrei che i cristiani dicessero
nella pubblica piazza fino in fondo le loro verità e non che le amputassero
laicizzandole. Altrimenti, io laico, che vantaggio otterrei dal dialogo
con i cattolici? Se quando parlano con me i cattolici devono mettere
da parte la loro dottrina rivelata, diventando laici come me, a cosa
mi serve parlare con loro? Il mondo dà a vedere che apprezza i cattolici
che laicizzano il loro messaggio, ma in realtà li disprezza».
Abbiamo capito l’elemento fondamentale che caratterizzerà
la nuova Scuola diocesana. Mi permetta ora di chiederle delle cose
meno teologiche e più pratiche. A chi si rivolge la Scuola? Solo
a persone che intendono impegnarsi in politica? A tutti? Ai giovani?
«Il titolo che abbiamo messo alla Scuola è molto importante. La Chiesa non organizza Scuole di formazione sociale e politica perché non è un partito, ma Scuole di formazione all’impegno sociale e politico. In genere questa è la dizione che viene adoperata. Noi però, abbiamo preferito chiamarla Scuola di Dottrina sociale della Chiesa per la formazione all’impegno sociale e politico per puntare sul collegamento con la vita della Chiesa di cui ho parlato sopra. Non è indirizzata solo a chi abbia già pensato di impegnarsi nell’ambito politico. In questo senso si può dire che sia rivolta a tutti. É rivolta però soprattutto ai giovani maturi. A loro proponiamo di introdursi nel mondo della sapienza sociale della Chiesa e di verificare se abbiano una vocazione a un impegno motivato a servizio del bene comune come la Chiesa lo intende».
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