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I giudici italiani hanno già deciso che i gay possono adottare

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I giudici hanno già legalizzato l'adozione per le coppie gay ddi Tommaso Scandroglio 12-12-2015 lanuovabq..it

In tema di figli e coppie gay la nostra magistratura ci aveva già fatto assaggiare alcune specialità. Nel 2013 il Tribunale dei minori di Bologna affida una bambina di tre anni ad una coppia gay. Stesso copione l’anno dopo, ma ad interpretarlo è il Tribunale di Palermo e vittima è un ragazzo di 16 anni, anch’egli affidato ad una coppia omosessuale.

E poi ci sono casi a Napoli, Bologna, Catanzaro e Nicosia dove un ex coniuge chiede l’affido esclusivo del figlio perché la sua ex dolce metà ha messo in piedi una relazione omosessuale. Tutte richieste respinte al mittente.

Poi ci hanno messo del loro anche la Corte costituzionale e quella di Cassazione che da una parte hanno inteso la relazione omosessuale come “formazione sociale” e dall’altro hanno assegnato alla stessa i medesimi diritti dei coniugi .

E se la coppia gay assomiglia così tanto alla famiglia fondata sul matrimonio, come poter negare ai conviventi omosessuali la possibilità di adottare? Lo ha capito bene il magistrato Melita Cavallo che per ben due volte – una nel 2014 e un’altra circa un mese fa - ha permesso ad una lei di una coppia lesbica di adottare la figlia della sua compagna .

Ieri è stata resa pubblica un’ordinanza del 16 ottobre scorso redatta dalla Corte di Appello di Milano che fa eco ai precedenti giurisprudenziali romani: riconoscimento pieno ad una stepchild adoption avvenuta in Spagna. La storia è la seguente. Due donne convivono e nel 2003 tramite fecondazione eterologa una di loro rimane incinta. Poi partono per le Canarie per vivere lì e alla fine si “sposano” con rito civile.

Nel 2010 la “coniuge” della madre biologica adotta la figlia di lei, pratica permessa in Spagna. Segue nel 2013 il divorzio tra le due donne. La “madre” adottante ha chiesto alla giustizia italiana “il riconoscimento agli effetti civili interni dell'ordinanza di adozione spagnola della figlia" nonché gli effetti civili del “matrimonio” così come modificati dalla sentenza di divorzio.

In primo grado i ricorrenti sono stati indirizzati all’ufficiale di stato civile il quale però si è rifiutato di trascrivere l’atto di adozione con la seguente motivazione: «al momento i matrimoni tra persone dello stesso sesso non vengono riconosciuti in Italia, pertanto l’adottante per il nostro ordinamento non risulta essere coniuge della madre dell’adottata e quindi il tipo di adozione riconosciuta all’estero ( Spagna) non è da ritenersi riconducibile alla ipotesi di adozione di minore in casi particolari».

La “madre” adottante non si arrende e fa ricorso in appello. Qui i giudici hanno respinto la richiesta di riconoscimento del “matrimonio” e dunque anche del divorzio, ma invece hanno accolto quella riguardante «le condizioni relative alla responsabilità genitoriale nei confronti della figlia», oggi dodicenne.

Le motivazioni ricalcano quelle indicate in altre sentenze analoghe e fanno riferimento al rapporto ormai decennale che la piccola ha intessuto con la coppia. La bambina – così scrivono i giudici -«ha vissuto con entrambe sin dalla nascita, per quasi dieci anni (...) che da loro è stata allevata, curata e mantenuta e che con loro ha evidentemente costruito stabili e forti relazioni affettive ed educative».

Due donne «che hanno realizzato l'originario progetto di genitorialità condivisa, nell'ambito di una famiglia fondata sulla comunione materiale e spirituale di due persone di sesso femminile». Alla minore deve essere dunque riconosciuto il «diritto fondamentale di continuare a godere dell'apporto materiale e affettivo delle due persone che da molti anni si sono assunte la responsabilità genitoriale nel suo interesse».

E, a specchio, alla madre adottiva devono essere riconosciuti «tutti i doveri e i diritti che derivano dalla filiazione naturale». Insomma “famiglia” e “genitori” sono realtà non naturali, ma condizioni nate dal vissuto affettivo, da prassi consolidate, da consuetudini di assistenza reciproca e di cura dei bambini. Un tempo disposizioni simili di autorità straniere non avrebbero avuto diritto di cittadinanza nel nostro Paese perché contrarie all’ordine pubblico (ex artt. 64-66 l. 218/95), cioè contrarie all’impianto generale dell’ordinamento giuridico italiano, contrastanti con i valori fondanti indicati dalla Costituzione.

Tra questi c’è anche il diritto del minore di crescere con un padre e una madre. Il collegio della sezione Minori e Famiglia della Corte d'Appello invece è di avviso opposto. I giudici sostengono, rifacendosi a una sentenza della Cassazione (19405/2013), che l’ordine pubblico a cui riferirsi è quello sovranazionale. In tema di adozione di minori molti documenti internazionali mettono l’accento sul prevalente interesse del bambino. E dunque, così concludono, non può essere considerato «contrario all'ordine pubblico un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello stesso sesso» perché – e qui i giudici richiamano la decisione della collega Cavallo - il primo fattore da tenere in considerazione è «l'interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare».

Ed è proprio per questo motivo – aggiungiamo noi – che il figlio non avrebbe dovuto essere adottato dall’altra donna, perché due donne non fanno una famiglia e dunque il loro rapporto lede il superiore interesse del minore. Inoltre il termine “famiglia”, come abbiamo visto, ricorre più volte nella decisione del collegio, ma è assolutamente improprio, perché la Costituzione, il codice civile e le leggi ordinarie indicano come famiglia solo quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Inoltre la Corte di Appello interpreta la legge sulle adozioni esattamente come aveva atto la collega Cavallo facendo riferimento all’art. 44 lettera d) della legge 184/83 che indica la possibilità che l’adottante sia persone non coniugata.

Ma, come avevamo fatto notare proprio un mese fa a commento della decisione del Tribunale di Roma, è vero che il minore può essere adottato anche da un convivente, ma solo nel caso in cui «vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo». Nel caso presente la minore non necessita di affidamento preadottivo perché la madre biologica può validamente prendersi cura di lei. In buona sostanza questa è la terza ordinanza che legittima nel nostro Paese la stepchild adoption.

La Cirinnà è già legge per i giudici e i parlamentari che si stanno scannando sull’adozione gay sono stati superati a sinistra dai magistrati. Le loro diatribe vanno bene ormai solo per i manuali di storia.


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