Corso di Religione



Con quale islam trattare?
Vienna ci prova, ma sbaglia

di Valentina Colombo 07-03-2015 lanuovabq.it

Il 25 febbraio scorso il Parlamento austriaco ha votato la riforma della legge sull’islam (Islamgesetz) la cui stesura risaliva al lontano 1912 quando l’Imperatore Francesco Giuseppe, a seguito dell’annessione della Bosnia-Erzegovina, volle trovare il modo di integrare i soldati bosniaci nell’esercito asburgico.  Da quel momento, come si legge all’articolo 1, «Gli aderenti all’islam secondo il rito hanafita saranno riconosciuti come comunità religiosa nel Regno e nei territori rappresentati nel Consiglio imperiale». 

Una riforma necessaria, a distanza di un secolo, e fortemente voluta da Sebastian Kurz, giovane ministro  degli Esteri e dell’integrazione che a fronte della minaccia globale dell’estremismo islamico ha ritenuto opportuno ridiscutere e apportare alcune modifiche alla legge originaria. Fondamentalmente la riforma consiste nel tentativo di ridurre l’influenza politica ed economica dall’esterno e nella promozione di un islam austriaco. Un semplice adattamento alle esigenze dell’epoca in cui viviamo e un tentativo di costruire un nuovo approccio all’islam che vive in contesto di minoranza, ma che continua a crescere nei numeri e che, soprattutto, in molti Paesi europei non è più un fenomeno di importazione che riguarda solo individui che risiedono temporaneamente in Europa, ma che è ormai la religione di alcuni di milioni di cittadini europei.  Le principali innovazioni riguardano il divieto di finanziamenti esteri all’islam austriaco e il conseguente divieto di ingerenza estera per quanto concerne la formazione degli imam. Per il resto la legge rimane invariata anche se la sua riforma viene giustificata da un contesto che richiede una politica di anti-radicalizzazione dell’islam. 

Purtroppo, nonostante le buone intenzioni di Kurz, la riforma dell’Islamgesetz ha evidenziato ancora una volta il vulnus che riguarda la rappresentatività dell’islam, meglio dei musulmani. Pochi hanno evidenziato che nel 1979 l’Islamische Glaubensgemeinschaft in Österreich (IGGiÖ), che vanta legami sia con il movimento dei Fratelli musulmani sia con il turco Milli Görüs, è stata riconosciuta dal Kultusamt, l’ufficio preposto ai culti in seno al ministero della Cultura e dell’Educazione, come il rappresentante ufficiale di tutti i musulmani di rito hanafita in Austria in base all’Islamgesetz del 1912. Non solo, nel 1988 la Islamverordnung ne ha esteso la rappresentatività a tutti i musulmani presenti sul territorio austriaco. Solo nel 2013 la comunità alevita, realtà islamica ritenuta eterodossa ma molto diffusa in Turchia,  ha ottenuto il riconoscimento attenuando il monopolio dell’IGGiÖ.  La recente riforma non mette quindi in discussione il monopolio dell’IGGiÖ come riferimento dello Stato austriaco. L’IGGiÖ è infatti l’unica associazione che, dopo una prima reazione negativa manifestata all’inizio del dibattito sulla riforma, ne ha preso atto e non ha mosso alcuna critica pur affermando che si tratta di un testo “perfettibile”.  Tuttavia al di fuori della cerchia dell’IGGiÖ, che comprende nove comunità a livello regionale, in seno all’islam austriaco regnano, seppur con motivazioni diverse, scontento e rabbia.

Nel comunicato dell’Initiative Liberaler Muslime Österreich (Iniziativa dei Musulmani Liberali), un’associazione in cui prevale la connotazione laica, si legge: «L’Iniziativa dei Musulmani Liberali è contraria alla nuova Islamgesetz perché l’IGGiÖ non rappresenta gli interessi dei musulmani poiché è solo un’organizzazione che include solo specifiche organizzazioni. […] La maggior parte dei musulmani in Austria non è estremista […] Tutte queste organizzazioni non rappresentano gli interessi religiosi dei musulmani che vivono in Austria e molte di queste organizzazioni sono vicine al jihadismo e al terrorismo».  Si ricorda altresì che l’IGGiÖ, non essendo mai stata eletta né scelta, non ha ricevuto alcun mandato da parte dei musulmani austriaci. Il fatto più interessante è che si sono levate aspre critiche anche dall’associazionismo islamico. La Muslimische Jugend in Österreich (MJÖ), ovvero i Giovani musulmani in Austria, ha criticato non solo la riforma, ma ha anche denunciato la connivenza di Fuat Sanac, presidente dell’IGGiÖ, con il governo e con una legge che si prepone di controllare l’associazionismo islamico in Italia. Dal canto suo, Sanac ha accusato l’associazione giovanile, che sino al 2012 era membro dell’organizzazione da lui presieduta, di ricevere fondi dall’estero, di essere quindi preoccupata per la propria sussistenza e di temere eventuali controlli finanziari.  

Le reazioni alla riforma dell’Islamgesetz riconducono all’annosa e quanto mai risolta questione della rappresentanza dell’islam e dovrebbero fare riflettere anche il nostro ministro dell’Interno Alfano nel momento in cui pare abbia intenzione di riaprire le porte a un dibattito con i cosiddetti rappresentanti dell’islam italiano.  Ebbene, la recente esperienza austriaca e le successive reazioni evidenziano l’impossibilità di concepire la presenza musulmana sul territorio europeo su base comunitaria. Ogni qualvolta ci si abbandona a siffatto approccio la “comunità”, meglio le comunità, in questione sono semplicemente associazioni che si sono autodenominate “comunità islamica” e non hanno alcun mandato dal basso. Alle sedicenti comunità/associazioni andrebbe applicata la stessa logica che sottende alla critica di non islamicità del Califfato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi che è stato accusato dai Fratelli musulmani, ovvero da coloro che hanno un quasi totale monopolio delle comunità islamiche, di avere imposto dall’alto la propria presenza senza un consenso. A rigore di logica la stessa regola dovrebbe valere per chi in Occidente si autonomina rappresentante dell’islam o dei musulmani.

Bisogna ammettere che se l’islam presenta una problematicità fisiologica, quella della mancanza di autorità centrale, a maggior ragione - e qui risiede la principale criticità dell’Islamgesetz – non si potrà procedere a un’intesa tra lo Stato e un’associazione islamica alla quale si conferisce il titolo di rappresentare tutti i musulmani. Mai si potrà affermare che una di queste associazioni rappresenti la totalità dei musulmani in un dato paese perché potrà rappresentare solo i propri membri paganti la quota associativa. É questo il motivo per cui, nonostante le migliori intenzioni del ministro Kurz, la riforma dell’Islamgesetz ha soltanto acuito le fratture interne all’islam austriaco. Ciononostante, proprio per il dibattito che ha innescato potrebbe rappresentare un punto di passaggio verso una migliore comprensione del fenomeno islam e il presupposto per una Islamgesetz del tutto nuova nella quale non esisterà più alcun “signor Islam”, ma sono considerate tutte le diverse anime dei musulmani in Austria.

Credo che in un momento cruciale per il rapporto tra Occidente e islam sarebbe indispensabile avviare a livello nazionale, ma soprattutto a livello europeo un sano dibattito sulla rappresentatività della galassia islam al fine di poterne valorizzare tutte le sfumature interpretative, tutti i vissuti con i relativi sostrati culturali, storici e linguistici. Siffatto dibattito sarebbe un primo passo costruttivo di un’anti-radicalizzazione imposta dall’alto, ma mirante a valorizzare la pluralità dal basso e dimostrerebbe che l’islam organizzato/politico, che agisce in nome di meri interessi politici e non in nome della stragrande maggioranza dei musulmani che vivono in Europa, non è che una realtà esigua che discrimina e che si è impossessata in modo arrogante e illecito di un ruolo che non le spetta.

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