Sommario
Il doppio gioco dei Fratelli musulmani
L’attentato al procuratore generale Hisham Barakat
e gli attacchi simultanei contro posti di blocco dell'esercito egiziano nel
nord del Sinai confermano che l’Egitto è più che mai in prima linea nella
lotta contro il terrorismo.di Valentina Colombo 05-07-2015 http://www.lanuovabq.it
Apparentemente si tratta di una guerra su fronti diversi: quello
interno rappresentato dagli attacchi da parte della rete dei Fratelli
musulmani e dall’esterno da parte dello Stato
islamico che approfitta dell’instabilità nella penisola del Sinai,
così come del sostegno di alcune tribù della zona, per minare la sicurezza
del Paese. Di fatto, si tratta di un fronte comune che vede nel presidente
El Sisi un tiranno, un nemico dell’islam da annientare.
Nonostante i Fratelli musulmani, con un comunicato emesso
il 7 luglio 2014 dall’International Union of Muslim
Scholars presieduta
da Yusuf Qaradawi, siano stati i primi a dichiarare l’illegalità dal punto
di vista sharaitico del califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, nonostante tutte
le organizzazioni islamiche legate
al movimento dei Fratelli musulmani in Occidente continuino a condannare
gli attentati commessi dagli adepti dello Stato islamico, nessun comunicato
è stato emesso per condannare quando accaduto nel Sinai. Qaradawi ha invece
condannato l’uccisione di Barakat, ma al contempo ne ha attribuito la responsabilità
al regime di El Sisi.
Non solo, lo scorso 1 luglio lo shaykh di Al Jazeera –
accusato di applicare un doppio binario valutativo nella condanna del terrorismo
– ha emesso un comunicato in cui
sottolinea di «condannare tutto il terrorismo». Il testo del documento
è fondamentale per comprendere la vera posizione dello shaykh che, alla
data odierna, presiede ancora il Consiglio Europeo
per la Fatwa e la Ricerca a Dublino.
«Condanno il terrorismo dei gruppi estremisti armati
come l’Isis e associati che uccide le persone senza rispettare il diritto,
infanga la religione del Dio unico, e si cela dietro attentati atroci nei
confronti di persone innocenti. Condanno il terrorismo settario che prende
di mira chi segue un’altra interpretazione della religione o un’altra scuola,
e uccide a proprio piacimento, creando
divisione a livello sociale e scatenando reazioni settarie. Condanno il
terrorismo del regime del colpo di Stato in Egitto, che si è impossessato
delle libertà, ha messo a repentaglio la politica e ha falsificato le sentenze,
ha incarcerato giovani, ha ucciso per le strade e torturato nelle prigioni.
Condanno il terrorismo del regime siriano che uccide i cittadini […] con
armi chimiche per distruggere tutte le città e far sì che la gente le abbandoni.
Condanno il terrorismo dell’occupazione
sionista che governa sulla terra [santa] e ne uccide la gente. […]».
Nessuna condanna degli attentati di Hamas, nessuna condanna
degli attentati in Egitto, nessuna condanna senza se e senza ma nella speranza
che il lettore sia seguace della stessa ideologia che distingue tra jihad
e resistenza oppure abbia dimenticato altre dichiarazioni e comunicati
di Qaradawi che andavano in direzione
opposta. Celebri sono le fatwe di Qaradawi, e della maggior parte dei teologi
legati al circuito dei Fratelli musulmani, a favore degli attentati suicidi
in Israele. Il 7 aprile 2013 Qaradawi, nel corso di una intervista rilasciata
ad Al Jazeera, ha dichiarato che «il jihad in Siria è ora un dovere che
incombe su tutti i musulmani». D’altronde nulla di nuovo per chi segue
l’ideologia dei Fratelli musulmani, poiché il fondatore Hasan al-Banna
apriva la sua Lettera del jihad con le seguenti parole: «Allah
ha imposto il jihad a ogni musulmano, si tratta di un obbligo chiaro, inevitabile
dal quale non v’è scampo». Lo stesso al-Banna nella Lettera
ai giovani affermava che «il jihad è la nostra via». È quindi evidente che le condanne
di «tutto il terrorismo» di Qaradawi sono relative, perché come sempre
dipende dall’identità delle vittime e da chi commette
l’azione.
D’altronde, lo stesso Qaradawi non ha mai preso le distanze
dalle dichiarazioni di Essam Teleima e Akram Kassab, due dei suoi discepoli
più fedeli, nel momento in cui hanno
incitato ad applicare il taglione nei confronti dei giudici egiziani e
del gran Mufti d’Egitto che hanno condannato a morte Mohamed Morsi e altri
membri di spicco della Fratellanza egiziana. Akram Kassab, membro dell’International
Union of Muslim Scholars, ha scritto sulla propria pagina Facebook che
«liberarsi dei tribunali militari e dei giudici è un obbligo previsto dalla
legge, una necessità umana». Essam Teleima, a sua volta, dalla televisione
Mekmeleen, legata alla Fratellanza
e che trasmette dalla Turchia, ha dichiarato lecita, dal punto di vista
sharaitico, l’applicazione del taglione per chiunque abbia condannato a
morte un oppresso.
L’Egitto, e gli egiziani, conoscono molto bene la storia
di violenza «sharaiticamente corretta» legata alla Fratellanza, sanno perfettamente
che – come ha evidenziato l’editorialista
Khayr Allah Khayr Allah sul quotidiano arabo Asharq Alawsat – «non si può
distinguere tra un Fratello musulmano moderato e un Fratello musulmano
estremista» perché «tutti i Fratelli musulmani sono fatti della stessa
pasta. Da Osama bin Laden a Abu Bakr al-Baghdadi, passando per Abu Mus’ab
al-Zarqawi e Aiman al-Zawahiri, tutti sono fatti della stessa pasta dei
Fratelli musulmani». Gli egiziani sanno che il problema non risiede in
colui che viene definito l’ideologo del jihad, Sayyid Qutb, ma nelle idee
del fondatore dei Fratelli musulmani Hasan al-Banna che ha ribadito più
volte nei propri scritti l’obbligo del jihad.
Ancora una volta il relativismo dei valori e delle condanne
dei Fratelli musulmani viene riconfermato, lo stesso relativismo che ha
ricordato nei mesi scorsi il francese Mohammed Louizi, fuoriuscito dall’Union
des Organisations Islamiques de France (Uoif), sottolineando la falsità di chi condanna gli attentati dell’Isis
quando è necessario – per apparire moderato agli occhi delle istituzioni
– ma tace quando intellettuali, bloggers musulmani vengono condannati di
apostasia in Mauritania, in Sudan o in Arabia Saudita solo perché si tratta
di condanne «sharaiticamente corrette».
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