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Parigi : cronaca di un attentato annunciato. Musulmani italiani: un'occasione e un rischio.

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Dar al Islam contro la Francia di Valentina Colombo 15-11-2015 lanuovabq.it


Nel settembre scorso il numero 6 di DAR AL-ISLAM, la rivista dello Stato Islamico in lingua francese, esordiva con le seguenti parole: “Noi scriviamo queste righe nel momento in cui il governo francese proclama sui mezzi di comunicazione che vuole amplificare la sua guerra contro lo Stato del califfato. […] oggi i governi crociati in mano agli ebrei usurai incitano gli idolatri sciiti e democratici dell’esercito libero o altri a combattere il califfato.”

Un attacco indiscriminato alla Francia, agli ebrei, agli sciiti e a chiunque, su incitamento dell’Occidente, voglia combattere il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. Da un lato il presidente François Hollande viene accusato di essere alleato del “tiranno” re Salman di Arabia Saudita, dall’altro vengono attaccati i “sapienti del male” ovvero i salafiti e i Fratelli musulmani, non solo quelli egiziani, ma soprattutto quelli che operano in Europa, come Yusuf Qaradawi, e in Francia, come l’imam di Bordeaux Tareq Oubrou.

Già il numero 2 di Dar al-Islam titolava “Che Allah maledica la Francia” e vi si ribadiva che la rivista in francese dello Stato islamico – rivista che non è la traduzione di DABIQ, ma un’edizione a se stante – non si rivolge “né ai ricercatori, né ai giornalisti miscredenti o pseudo-musulmani che desoderano studiare lo Stato islamico”, non si rivolge nemmeno “agli pseudo-partigiani del jihad che pensano di fare qualcosa per la loro religione trascorrendo le notti sulle reti sociali”.

Si sottolineava che “Dar al-Islam non è che uno strumento che invita all’egira [verso lo Stato islamico] e al jihad.” Nello stesso numero veniva sottolineata l’ostilità della Francia nei confronti dell’islam: “nessuno può ignorare che la Francia è abitata da un odio sordo e irrazionale contro l’islam e i musulmani che l’ha spinta a porsi al comando della coalizione contro il Califfato.”

Infine l’intervista a un jihadista tunisino dello Stato islamico, Abou Mouqatil al-Tounsi, si concludeva con una richiesta di consigli per i “fratelli francesi”. Al-Tounsi rispose: “Per Allah, dovete risvegliarvi e combatterli, se solo vedeste quel che fanno con i loro aerei, come terrorizzano le nostre donne e i nostri bambini. […] Li incito a seguire la via dei fratelli che hanno condotto delle operazioni laggiù. Le armi sono facili da reperire in quei paesi. Riponete la vostra fiducia in Allah. Consiglio loro di non scegliere obiettivi specifici. Uccidete chiunque. Tutti i miscredenti sono per noi degli obiettivi. Non ti affaticare a cercare obiettivi specifici. Uccidi qualsiasi miscredente.”

Alla domanda se avesse un messaggio per i miscredenti in Francia, al-Tounsi è laconico: “Dico loro. Ben presto vedrete la bandiera di la ilaha illa Allah [Non esiste altro dio al di fuori di Allah] sventolare sull’Eliseo. […] Non c’è che il mare tra noi e voi.” Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi, quanto appena riportato appare una cronaca di una morte annunciata, con l’unica differenza che il mare non separa più perché lo Stato islamico e i suoi simpatizzanti sono in Francia, sono francesi.

La Francia è indubbiamente il paese più nel mirino dell’ISIS per il suo passato coloniale, per la sua laicità, per la sua battaglia contro lo Stato islamico, ma la Francia è anche il paese in cui più di ogni altro si stanno riproducendo le dinamiche e gli scontri che dilaniano da quasi un anno e mezzo il jihadismo in particolare e l’estremismo islamico in generale. Queste dinamiche vedono lo Stato islamico avanzare e raccogliere simpatizzanti, giuramenti di fedeltà di singole persone e altre organizzazioni jihadiste laddove Al Qaeda ha perso la presa.

Al tempo stesso lo Stato islamico sta ricorrendo alle tattiche tipiche di Al Qaeda, quali gli attacchi multipli e contemporanei come nei recenti fatti parigini. Tuttavia lo Stato islamico, così come ha semplificato il messaggio rispetto ad Al Qaeda, sta “banalizzando” gli attacchi: l’11 settembre non era ripetibile, era spettacolare, mentre i recenti attacchi possono creare spirito di emulazione, considerata la facilità di messa in atto.

Dall’arma da fuoco al coltello tutto è molto più semplice. A pagina 34 dell’ultimo numero di DAR AL-ISLAM si trova un capitolo che cita il seguente versetto coranico: “Preparate, contro di loro, tutte le forze che potrete [raccogliere] e i cavalli addestrati, per terrorizzare il nemico di Allah e il vostro e altri ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce. Tutto quello che spenderete per la causa di Allah vi sarà restituito e non sarete danneggiati.” (8, 60)

Da pagina 35 a pagina 38 segue invece la descrizione di come preparare e usare armi dal kalashnikov alla granata, proprio le armi che pare siano state usate negli attentati di Parigi. E’ interessante comunque notare come il versetto appena citato sia il motto della Fratellanza musulmana. Il nemico di Allah è, a seconda dei casi, il crociato, l’ebreo, il musulmano ipocrita.

La Francia non solo presenta il sostrato sociale (scontento, rabbia) che funge da terreno fertile per ogni fenomeno di radicalizzazione, non solo presenta terze generazioni che nutrono rancore nei confronti del proprio paese e vivono una schizofrenia identitaria che li porta a un ritorno alla religione nella sua forma più conservatrice e radicale, non solo è il simbolo di una laicità che è il nemico principale dell’ideologia islamista.

In Francia la Fratellanza musulmana agisce, attraverso la rete l’Union des Organisations Islamiques de France (UOIF), dagli anni Ottanta del secolo scorso con le proprie moschee e i propri predicatori. Se è pur vero che oggi l’UOIF condanna gli attentati da Charlie Hebdo e supermercato kasher sino a quelli del 13 novembre, bisogna prendere atto che alcuni suoi predicatori di punta, quali Hassan Iquioussen, e alcuni dei suoi teologi di riferimento, come Yusuf Qaradawi, giustificano gli attentati suicidi, hanno invocato il jihad in Siria, attaccano gli sciiti e gli ebrei alla stregua dello Stato islamico.

Ed è questo sostrato ideologico e sociale che va analizzato e va controllato in Italia e altrove in Europa. Quanto accaduto in Francia è un attacco ad hoc per la Francia che potrebbe facilmente replicarsi nel vicino Belgio che da sempre ha reti islamiste comuni alla Francia.

L’Italia, in modo particolare Roma, rimane un obiettivo sensibile, ma soprattutto simbolico per la presenza del Vaticano. L’Italia, al pari dell’Europa, deve scommettere sulle seconde generazioni e, unitamente all’Europa, deve comprendere, quanto affermato nel luglio scorso da David Cameron alla Ninestiles School di Birmingham: “Nel contrastare l’estremismo islamista, una parte fondamentale della nostra strategia è di occuparci dei suoi due volti, quello non violento e quello violento. Questo significa che dobbiamo anche occuparci di quelle organizzazioni che non difendono la violenza, ma che comunque promuovono altre parti dell’estremismo. Dobbiamo dimostrare che se dici “condanno la violenza, ma l’infedele è un essere inferiore”, o “la violenza a Londra non è giustificata, ma gli attacchi suicidi in Israele sono un’altra faccenda”, anche tu sei parte del problema. Che tu lo voglia o no, e spesso lo vuoi, stai dando sostegno a chi vuole la violenza”.

In questo senso l’Europa dovrebbe avere il coraggio di riconoscere e combattere ogni ideologia radicale, da quella apparentemente moderata a quella jihadista, ma dovrebbe avere il coraggio di interrompere ogni rapporto economico e politico con tutti quegli Stati che promuovono la stessa ideologia e la stessa interpretazione radicale dell’Islam, primi fra tutti l’Arabia saudita e l’Iran.

Il relativismo valoriale, la Realpolitik non aiuteranno a sconfiggere lo Stato islamico.

I finanziamenti sauditi e qatarini ai Fratelli musulmani europei, alle università, ai centri studi occidentali non favoriranno certo né l’integrazione né la pace né la lotta al terrorismo, ma impediranno – come stanno già facendo – ogni critica all’islam politico “moderato” che punta alla conquista del potere proprio come lo Stato islamico con l’unica differenza dei metodi usati e dei tempi in cui raggiungere l’obiettivo.

Musulmani italiani: un'occasione e un rischio di Massimo Introvigne 14-11-2015 lanuovabq.it

Per uno di quei paradossi che la cronaca ci propone spesso, la tragedia di Parigi è avvenuta nel bel mezzo del convegno romano "Da musulmani immigrati a cittadini italiani", che si è svolto venerdì e sabato presso la Facoltà Valdese di Teologia, dove ho presentato la relazione di apertura. Un convegno che avrebbe voluto celebrare, pur senza nascondere problemi e rischi, l'integrazione come cittadini italiani di decine di migliaia di musulmani, immigrati o figli di immigrati, che negli ultimi anni hanno acquisito la cittadinanza del nostro Paese.

Quanti sono? E come inciderà su di loro la nuova vicenda terroristica di Parigi? Anzitutto, i numeri. Sono al centro del mestiere del sociologo, ma sono anche un punto di partenza obbligatorio per tutti. A Roma ho presentato in anteprima una elaborazione statistica del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni di cui sono fondatore, parte di una nuova versione della "Enciclopedia delle religioni in Italia" da me diretta insieme a PierLuigi Zoccateli che sarà online il mese prossimo sul sito cesnur.com. Quanto al numero di musulmani cittadini italiani, essi sono nel 2015 245.600, la terza minoranza religiosa fra i cittadini italiani dopo i protestanti (442.000) e i Testimoni di Geova (422.000). Si tratta solo dei cittadini italiani, compresi quelli che hanno acquisito la cittadinanza negli ultimi anni, tra i quali da un quinto a un quarto sono di origine marocchina. Vanno aggiunti un milione e seicentomila musulmani presenti fra gli immigrati non cittadini residenti sul territorio italiano. In totale, oltre un milione e ottocentomila musulmani sono presenti in Italia fra cittadini e non cittadini.

Ovviamente in Italia non ci sono un milione e ottocentomila terroristi. Al contrario, la grande maggioranza dei musulmani presenti in Italia condanna con fermezza attentati come quelli di Parigi e aspira a coesistere in pace con la maggioranza non musulmana. Si potrebbe dire che c'è più difficoltà a condannare gli attentati che colpiscono obiettivi ebraici o israeliani, ma a simpatizzare per al-Qa'ida o per l'ISIS sono davvero in pochi. Da una parte, dunque, occorre evitare generalizzazioni e stereotipi che rischiamo sempre di prevalere in momenti di forte e giustificata emozione.

Dall'altra, si deve tenere conto che una minoranza piccola ma pericolosa di ultra-fondamentalisti, alimentata da una predicazione radicale, dove pesca e recluta il terrorismo, esiste in Italia come in Francia e altrove, e intensificare la vigilanza è obbligatorio. Senza dimenticare che le cause ultime di quello che è successo a Parigi non sono in Europa ma in Siria e in Iraq. Non lo ha detto Salvini, ma un popolare blogger saudita: "Non tutti i musulmani sono terroristi. Ma oggi ho l'impressione che tutti i terroristi siano musulmani". Neanche questo è vero - ci sono terroristi legati all'estremismo induista, protestante fondamentalista e perfino buddhista, o al narcotraffico - ma segnala un'altra verità scomoda. I terroristi sono parte dell'islam.

Dire che "non c'entrano nulla con l'islam" non è meno infondato che sostenere che tutti i musulmani sono terroristi. La verità è che ci sono diversi modi di reagire alle grandi trasformazioni in corso nel mondo islamico. Ci sono, a seconda del modo di contare e dell'estensione che si dà al termine Europa, da sedici a ventitré milioni di musulmani nel nostro continente. La presenza di così tanti musulmani in Europa crea nuove declinazioni dell'islam. Al convegno di Roma abbiamo visto tante immagini di ragazzi e ragazze musulmane italiane che, magari - nel caso delle donne - con il velo, giocano a pallavolo e frequentano i concerti rock. Succede anche nei Paesi a maggioranza islamica.

Lo studioso americano Mark Levine, nel suo «Heavy Metal Islam», ha descritto una scena musicale giovanile in Marocco, Iran, Egitto, Pakistan che raduna decine di migliaia di giovani in concerti di musica rock o metal, comprese le forme più estreme. Concerti dove, contro i divieti islamici, la birra scorre in abbondanza. Queste forme musicali prosperano persino in Arabia Saudita. Ogni tanto la polizia arresta qualcuno, che però poi, come è capitato in Marocco, è liberato a furor di popolo dopo grandi manifestazioni giovanili, che preoccupano i regimi e di cui arrivano poche notizie in Occidente.

Non tutto è positivo, naturalmente, in questi sviluppi. Li cito perché smentiscono gli stereotipi. I giovani che si entusiasmano per l'annuale festival del rock di Casablanca e alcuni dei terroristi di Parigi non hanno solo in comune l'essere marocchini. Spesso vengono dalle stesse famiglie. La loro risposta al cocktail di instabilità politica, repressione, crisi economica e predicazione fondamentalista che caratterizza Paesi come Marocco o Egitto è molto diversa, a seconda dei percorsi biografici. Questa diversità arriva anche in Europa, e rende ogni generalizzazione sbagliata.

Per i musulmani italiani i fatti di Parigi costituiscono un duplice rischio. La minoranza radicale ne trarrà argomento per sostenere che il terrorismo "funziona" e vince. Altri, consapevoli di non avere nulla a che fare con il terrorismo, si sentiranno offesi e umiliati quando a scuola o sul posto di lavoro qualcuno li insulterà come complici degli attentati.

Ma dal rischio potrà nascere anche un'opportunità. Se c'è, un islam italiano disposto a condannare ogni forma di terrorismo senza se e senza ma dovrebbe battere un colpo. Condannando non solo gli attentati di Parigi - il che è relativamente facile - ma anche la persecuzione e la discriminazione dei cristiani e di altre minoranze religiose in troppi Paesi a maggioranza islamica, e l'uso del terrorismo nella lotta contro Israele. Siamo chiari: penso a un islam che, diventando italiano, rimanga islam.

L'islam laico e progressista che hanno in testa certi giornalisti e intellettuali semplicemente non è più islam, e ha scarso seguito fra gli immigrati. La profezia ottimista - per modo di dire - secondo cui venendo in Occidente la maggioranza dei musulmani si sarebbe secolarizzata e avrebbe abbandonato la religione si è rivelata infondata, così come la profezia pessimista secondo cui tutti i giovani musulmani, a contatto con i mali della nostra società, si sarebbero radicalizzati e trasformati in ultra-fondamentalisti.

L'islam italiano continuerà a essere fatto anche di giovani che leggono quotidianamente il Corano e di ragazze che scelgono il velo non per imposizione familiare ma come simbolo di un'identità che non vogliono abbandonare. Ma che, nello stesso tempo, praticano sport o vanno alle partite di calcio e ai concerti dei musicisti più in voga. È soprattutto tra questi giovani che il dolore delle tragedie potrà far nascere un islam insieme effettivamente islamico e capace di coesistere con identità diverse, nel reciproco rispetto. A patto di isolare i terroristi e i loro fiancheggiatori. E di non negare che esistono, e che sono anche loro musulmani.

Era la lezione, non capita, di Benedetto XVI a Ratisbona: non un'offesa all'islam, ma l'invito a riflettere sul fatto che terrorismo e violenza vengono dal suo interno, per studiarne le cause e isolarne i protagonisti. A quella lezione, di un Papa che nello stesso tempo definiva il dialogo con l'islam come obbligatorio, si tratta ora di tornare.

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