Corso di Religione


Sciiti contro sunniti, il conflitto dilaga






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di Gianandrea Gaiani 05-04-2015 lanuovabq.it


Lo scontro epocale in atto tra sciiti e sunniti sembra giunto a un punto di svolta...


...che potrebbe preannunciare un’ulteriore escalation del conflitto e delle “sotto-guerre” che lo compongono, come quella yemenita, la lotta allo Stato Islamico e ad al-Qaeda o il confronto tra Fratelli Musulmani, movimenti laici e salafiti/wahabiti.



Tracciare un bilancio anche solo sull’andamento delle operazioni belliche è complicato perché sui diversi fronti l’esito delle battaglie fornisce indicazioni spesso contrastanti. In Siria la penetrazione dei miliziani dello Stato Islamico nei dintorni di Damasco unita alle vittorie militari dei qaedisti del Fronte al-Nusra nel settore settentrionale di Idlib sembrano indicare una svolta militare favorevole non tanto alla rivolta sunnita contro Bashar Assad quanto soprattutto alla componente jihadista della ribellione. Insieme ad al-Nusra hanno conquistato Idlib, al confine con la Turchia, le milizie salafite Ahrar al-Sham e Jund al-Aqsa, fazioni sostenute dall’Arabia Saudita e che condividono con i qaedisti l’obiettivo di imporre la sharia e costituire in Siria uno stato islamico.

Considerato che Riad è in prima linea nell’appoggiare il programma di addestramento di 5 mila ribelli siriani “moderati” varato da Washington e che sta per prendere il via in territorio turco, c’è da chiedersi se con il termine “moderati” si intendano anche le milizie di al-Qaeda e i wahabiti. In tal caso con mezzo miliardo di dollari stanziato dagli Stati Uniti verranno addestrati combattenti che probabilmente militeranno al fianco di al-Nusra, movimento che è stato colpito dai raid aerei statunitensi al pari dello Stato Islamico a fine settembre dell’anno scorso, quando presero il via le operazioni aeree della Coalizione.

Non stupisce forse che i sauditi appoggino al-Qaeda in Siria pur di combattere gli sciiti, ma che gli USA addestrino uomini destinati con ogni probabilità a militare sotto la bandiera di coloro che colpirono New York e Washington l’11 settembre 2001 lascia quanto meno perplessi. A proposito di ambiguità anche la Turchia si è felicitata per la vittoria conseguita da al-Nusra sulle truppe di Assad, come hanno riferito fonti governative al quotidiano Hurriyet. Le forze governative siriane registrano rovesci anche nel sud dove ancora i miliziani di al-Nusra hanno conquistato Nasib, ultimo posto di frontiera con la Giordania ancora in mano ai lealisti.

Le battaglie di marzo avrebbero provocato in Siria quasi 5 mila morti secondo i dati forni dall’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), organizzazione vicina agli insorti con sede a Londra, tra i quali 1.135 civili, 1.405 militari lealisti e paramilitari filo-Assad, 762 ribelli e miliziani curdi siriani e ben 1.490 combattenti stranieri arruolati nei gruppi jihadisti, soprattutto Stato Islamico e Fronte al-Nusra.

In Iraq invece la situazione militare sembra volgere a vantaggio degli sciiti specie dopo la caduta di Tikrit, città natale di Saddam Hussein riconquistata dopo tre tentativi e un mese di battaglia dall’esercito di Baghdad e soprattutto dalle milizie sciite filo-iraniane affiancate dai pasdaran forniti da Teheran con compiti di consiglieri militari e forse anche di combattimento.

La caduta di Tikrit in un’offensiva che gli Stati Uniti avevano sconsigliato (e che hanno solo blandamente appoggiato con alcuni raid aerei effettuati nelle fasi finali della battaglia su diretta richiesta del governo iracheno) rappresenta la prima vittoria di rilievo conseguita dalle forze di Baghdad contro lo Stato Islamico e assume un’importanza ancora maggiore considerato che è stata ottenuta senza l’aiuto di USA e Occidente. I saccheggi e le devastazioni compiuti nella città abitata da sunniti dalle milizie sciite che l’hanno occupata è stata solo in parte frenata dalle forze regolari di Baghdad e contribuiranno a rendere più difficile la riconciliazione sociale in Iraq.

In termini strategici, le conseguenze della battaglia di Tikrit sono ancora tutte da valutare. Baghdad potrebbe appoggiarsi ancora di più su Teheran per scatenare al più presto l’offensiva su Mosul, Fallujah e la provincia occidentale di al-Anbar con l’obiettivo di riconquistare le aree occupate dal Califfato l’estate scorsa. Dopo la vittoria a Tikrit, dove i miliziani del Califfo hanno combattuto una battaglia difensiva tesa solo a ritardare l’avanzata nemica, è possibile che l’Iraq prenda le distanze dagli Stati Uniti, rivelatisi finora un partner tutt’altro che decisivo nella guerra al Califfato, per stringersi ulteriormente all’Iran e appoggiarsi militarmente ed economicamente sulla Russia.

Mosca "sostiene gli sforzi" di Baghdad "per contenere la minaccia proveniente dallo Stato Islamico" e "per preservare la sovranità e l'integrità territoriale dell' Iraq" ha detto ieri il vice ministro degli Esteri Mikhail Bogdanov che ha visitato Baghdad il 2 aprile per consegnare un messaggio personale del presidente russo Vladimir Putin al primo ministro iracheno Haydar al-Abadi e discutere di cooperazione nel settore energetico, commerciale e militare.

Ancora incerta la partita tra sciiti e sunniti nello Yemen dove l’intervento della Coalizione araba a guida saudita/egiziana contro i miliziani sciiti Houthi appoggiati dall’Iran non ha finora portato a grandi risultati. Circa 600 i morti e un migliaio i feriti nei raid aerei arabi che avranno forse distrutto (come sostiene Riad) le difese antiaeree, i missili balistici e i cacciabombardieri dei reparti militari yemeniti passati dalla parte degli insorti ma di certo non hanno fermato l’offensiva degli Houthi che già controllano la capitale Sana’a e hanno raggiunto la città meridionale di Aden senza riuscire però a conquistarla completamente.

Per fermarli sono intervenute le artiglierie navali della flotta egiziana e saudita ma è probabile che senza un attacco terrestre i sauditi e i loro alleati non riusciranno a fermare il nemico. Al tempo stesso un’invasione dello Yemen esporrebbe gli eserciti arabi al logorio di una lunga operazioni anti-insurrezionale in un Paese dove ai miliziani sciiti è da aggiungere una fortissima presenza di orze di al-Qaeda che di fatto controllano l’est del Paese e stanno approfittando della guerra in atto per rafforzarsi come ha dimostrato l’evasione dj 300 membri di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) avvenuta il 2 aprile dal carcere di al-Mukalla, nel sud est dello Yemen, preso d’assalto dai miliziani.

I qaedisti non si sono limitati a liberare i loro compagni ma hanno occupato l’intera città prendendo possesso, come hanno ammesso fonti dell’esercito yemenita, “del quartier generale della II Regione Militare senza incontrare resistenza”. L’ipotes più accreditata presso gli analisti è che i qaedisti yemeniti intendano proclamare un proprio emirato nella provincia dell'Hadramaut.

A conferma di come tutti i conflitti in atto nel mondo arabo siano interconnessi alcuni gruppi di miliziani sciiti iracheni sostenuti dall'Iran, hanno annunciato di essere pronti a partire per lo Yemen e combattere al fianco dei ribelli dell'imam Abdel Malik al Houthi. Gruppi come le brigate Hezbollah, le milizie Badr e le Bande della Gente della Verità oltre ad altre piccole milizie locali hanno dato la loro disponibilità a inviare uomini nello Yemen.

A complicare gli scenari bellici tra sciiti e sunniti contribuiscono i dubbi sull’accordo raggiunto nel negoziato sul programma nucleare iraniano.


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