Piccolo Corso Biblico

Interpretare la Bibbia

Storicità. Letteratura e Redazione .

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La Bibbia come storia La Bibbia contiene molte storie e si presenta complessivamente anche come una storia , la storia di un popolo e del suo Dio, ma i testi biblici, compresi i racconti come le saghe e le epopee, cioè le storie di clan, famiglie e popoli ,  non bisogna leggerli come una cronistoria ; non era questa l'intenzione dei redattori. Essi vogliono trasmettere un messaggio di sapienza che il popolo nei secoli ha colto nei fatti storici vissuti in relazione con Dio e che costituisce la rivelazione divina.

Il messaggio sapiente ricostruisce " a posteriori" gli eventi storici e ne esplicita il progetto salvifico divino .

Conc. Vat. II : Dei Verbum.
2. Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione.

L'archeologia ha contribuito moltissimo in questi ultimi decenni a comprendere lo sfondo storico e culturale dell'ambiente dei racconti , tuttavia non possiamo dire che i racconti siano storici nel senso della scienza storica: sono racconti di rivelazione.

La Bibbia non è una cronistoria : I testi biblici non hanno mai come obiettivo primario di riportare fedelmente i fatti nei loro particolari, in modo neutro, in una « oggettività » assoluta; essi piuttosto li interpretano e li orientano in modo da farne scaturire il significato, la rivelazione dell'azione divina secondo il Suo Progetto». Si tratta della «salvezza» che Dio ha operato negli eventi o che ha promesso di operare per mezzo dei Suoi profeti oppure che si intravede potrà operare .

D'altro canto i testi biblici
- non trasmettono un messaggio astorico, che non ha a che vedere con la storia ,
- non sono una raccolta di rivelazioni atemporali  sul mondo, su Dio, sull'uomo;
- neppure un manuale di precetti morali graditi a Dio: questa sarebbe una lettura  detta " fondamentalista " della Bibbia, sbagliata , dunque da evitare.
La Bibbia è TEOLOGIA e come TEOLOGIA va letta.
Il miracolo, il prodigio, e così l'evento storico contengono in se stessi significati o sviluppi ulteriori che la riflessione dei sapienti hanno còlto nei secoli e che costituiscono la " rivelazione, o verità salvifica" contenuta nella " verità storica" dei fatti stessi.
L'esegesi biblica deve continuamente tornare sui testi per riesprimere il messaggio biblico che contengono e che vogliono trasmettere a ciascuna generazione, nei linguaggi della loro contemporaneità, in rapporto al presente della storia. In questo modo il popolo di Dio può comprendere come in ogni momento presente l'azione divina sia orientata secondo il Progetto rivelato e in quale modo il popolo sia chiamato a collaborarvi. In questo lavoro esegetico non si può prescidere da uno studio storico-critico dei testi, così come non ci si può limitare a questo unico approccio.

La Bibbia contiene verità che non sono da intendere nel senso filosofico di conoscenze noetiche o peggio ancora in senso scientifico : la parola " verità " va intesa in senso semitico come  " conoscenza " che è esperienza, incontro, amore, etc. La lettura degli eventi storici intende evidenziare una presenza e una intenzionalità divina nascosta ai comuni mezzi di indagine storica. Non solo ogni miracolo o prodigio divino ma ogni evento della storia rivela l'azione divina.

La Bibbia funziona come un grande " corpo" in cui i diversi libri svolgono funzioni diverse, come fossero diverse "membra" che contribuiscono in modo diverso a dare " vita" unitaria all'insieme . Questa vita unitaria è un Progetto divino che si rivela e si disvela nella storia umana. Essi infatti raccontano la storia delle rivelazioni di Dio , la "storia" del " progetto unitario " di Dio.

Dio vuole vivere insieme agli uomini per farli partecipi della sua felicità eterna. Questo progetto salvifico si è rivelato nei fatti della storia. E' il progetto che in 1400 La Bibbia , unitariamente , è storia della rivelazione divina e storia di salvezza .anni di storia e di riflessione la Bibbia testimonia e annuncia.
Dio ha compiutamente realizzato il Suo Progetto in Gesù , l'UOMO che ha la condizione divina . Gesù è il " progetto divino compiuto " e in definitiva l'elemento che unifica , che da senso unitario a tutta la Bibbia e a tutta la storia.Gli autori biblici Gli scritti della Bibbia sono redatti in generi letterari diversi: riguardano la storia, il diritto, la morale, il culto, la liturgia ; sono poesia , religiosa, lirica, gnomica ; sono parabole, enigmi, allegorie, metafore ; sono corrispondenza privata, annali, memoriali, profezie, apocalissi, etc.

Gli autori di questi libri , o meglio gli autori e i redattori, , hanno "lavorato" per 1400 anni in molti paesi del mediterraneo e del Medio Oriente, dalla Persia all'Italia. Ci sono re, soldati, pastori, pescatori, profeti, rabbini, cortigiani, sacerdoti , profeti, etc.

Persone eterogenee per estrazione sociale, cultura, etnia, distanti nel tempo e nello spazio. Eppure tutti questi "libri" , di generi diversi , di autori e redattori successivi diversi non costituiscono semplicemente una antologia di scritti sacri , un collezione ; essi costituiscono una unità, un "Grande Libro" chiamato col termine Bibbia.

Redazioni e forme letterarie dell'AT[fonte : Bibbia Piemme ]

La forma del Pentateuco ad esempio si può spiegare con una teoria interpretativa chiamata " teoria documentaria" ( Wellhausen ) secondo la quale alla base dei 5 libri c'è una molteplicità di documenti e tradizioni orali e scritte di epoche diverse che sono state poi riunite e rielaborate in prospettiva " normativa" .

Questa teoria presuppone :
- una tradizione chiamata Jahvista (tradizione indicata con J ):si tratta di una tradizione intorno al nome divino JHWH che viene datata in epoca Salomonica ( X sec. a. C.) . Sarebbe un primo nucleo di Tradizioni
- una tradizione chiamata Elohista  (tradizione indicata con E ): si tratta di un nucleo successivo nato nel Regno del Nord dopo lo scisma e la morte di Salomone. intorno al nome divino ELOHIM.
- una tradizione R , nata dopo l'occupazione assira del Regno del Nord e l'esilio ( 721 a.C.) che ha fuso insieme secondo una nuova prospettiva teologica J e E.
- una tradizione chiamata Deuteronomista (tradizione indicata con D )nata durante la monarchia all'epoca della riforma religiosa di Giosia   ( 622 a.C.)
- una tradizione chiamata Sacerdotale (tradizione indicata con P) nata all'epoca dell'esilio di Babilonia ( 586 a.C.)

La teoria documentaria del Pentateuco è messa in continua crisi dagli studi recenti .

Le epoche in cui sono nate le diverse tradizioni sono oggi in discussione; si può dire, semplificando, che sulle tradizioni JDP c'è un largo consenso. Il Pentateuco  sarebbe opera di un redattore dell epoca di Esdra ( IV sec. a.C.) che ha utilizzato le 4 tradizioni JEPD per una nuova prospettiva teologica.

Se l’epoca di composizione principale del Pentateuco si colloca tra il VII e il V sec. (redazioni D e P) è evidente che le narrazioni di eventi lontani, quali i patriarchi o l'esodo (collocati rispettivamente nel XIX e nel XIII sec. a.C.) non corrispondono ai nostri criteri di storicità; la prospettiva di questi testi è primariamente teologica (com'è evidente nel "racconto delle origini", Gn 1-11) e la storia che in essi è contenuta è piuttosto "storia interpretata" alla luce della fede nel Dio di Israele.
[ cf Bibbia Piemme -pagg 20-25 ]
La storia della formazione dell'AT è una storia di continua rilettura della propria relazione con Dio, degli eventi di rivelazione , con la prospettiva di coglierne il disegno e di proiettarlo sull presente. Ogni libro della Bibbia è frutto di diversi strati di redazioni e revisioni in cui gli autori hanno utilizzato una o più forme espressive di quelle a disposizione per costruire un quadro teologico interpretativo per il presente della storia .Tradizione orale e scritturaVerso la fine del II° millennio a.C. iniziarono a prendere forma, in Israele, i primi cicli orali di racconti.

Pentateuco samaritano

Per molto tempo gli studiosi hanno pensato di poter ricostruire la storia della formazione dei testi dell'Antico Testamento e di interpretarli in base soltanto al metodo della critica storica e letteraria .

Verso la metà del 900 la cosiddetta "scuola scandinava" ha messo in risalto l'importanza della "tradizione orale". In altre parole, è chiaro ormai come, alla base dei testi scritti dell'Antico Testamento, è necessario presupporre una lunga serie di tradizioni precedenti che, come avviene ancora oggi in molte civiltà, venivano trasmesse oralmente, talora con sorprendente fedeltà.

Ciò non esclude che alcune cose fossero messe direttamente per iscritto; nondimeno la stesura scritta della maggior parte di queste tradizioni, relative al popolo di Israele e alla sua storia, è avvenuta in tempi relativamente più recenti, spesso in seguito a momenti di forte crisi, che obbligarono Israele a una più profonda riflessione. Ne è un buon esempio l'esilio babilonese (a partire dal 586 a.C), durante e dopo il quale nacquero o si svilupparono molti testi biblici, a partire dallo stesso Pentateuco.

L'esistenza della tradizione orale ci conduce a una seconda, importante osservazione: la comunicazione orale si serve di forme fisse di trasmissione, che si adattano al tipo di messaggio da trasmettere e sono spesso relative al contesto storico e alla situazione in cui nascono. 

Nei diversi libri dell' At sono infatti riflesse forme espressive , orali e scritte caratteristiche di vari ambienti della vita del popolo :
- la famiglia , il clan , il popolo , la nazione
- il culto , il tempio e le sue istituzioni,
- l'ambito giuridico, i tribunali , i giudici, le cause
- le istituzioni civili , la monarchia
- i circoli profetici , apocalittici,
- i circoli sapienziali

- etc

I generi letterari Ogni testo scritto rivela così l'appartenenza a un ben definito "genere letterario" : racconti di miracolo, controversie, elegie, parabole, saghe, miti, salmi, vangeli, etc. Ciascuno ben conosce la differenza tra un libro giallo, un romanzo storico e un testo scientifico, tra un articolo di cronaca nera, un "pezzo" sportivo e un "fondo" politico.

Nei primi decenni del nostro secolo Hermann Gunkel (+ 1932) iniziò ad applicare queste idee ai testi biblici: la tradizione orale crea precisi "generi letterari", i quali sono a loro volta in relazione con l' "ambiente vitale" ovvero la concreta situazione storica in cui nascono i diversi testi biblici.

L'ambito della famiglia, della tribù, della comunità Molte forme letterarie presenti nei libri dell'Antico Testamento riflettono in primo luogo gli usi comuni della vita familiare, o, più in generale, della vita ordinaria, quotidiana, della tribù o della comunità. I testi scritti hanno spesso alla base, pertanto, forme di espressione tipiche della comunicazione orale, familiare, tribale, comunitaria.

Ogni famiglia, tribù, comunità, possiede tradizioni relative agli antenati, che, in forma di racconto, vengono tramandate oralmente nel corso delle generazioni. Gli studiosi parlano a questo proposito di "saghe" e di "leggende", di narrazioni relative a personaggi illustri del proprio passato: in queste narrazioni l'interesse non sta nella storia in se stessa quanto nel significato che essa riveste per gli ascoltatori.In questo modo si sono formati i racconti sui patriarchi contenuti nella Genesi: frammenti della storia di una comunità, continuamente riproposti per il significato attuale che assumono alle orecchie degli ascoltatori.

Le saghe dell'Antico Testamento sono spesso caratterizzate dal desiderio di spiegare, attraverso il ricorso a un fatto del passato, una realtà presente; si parla allora di "narrazioni eziologiche" (dal greco aition, «causa»). In questo modo l'Israelita scopre nelle storie patriarcali le proprie radici più profonde e vi ritrova la propria identità.

Un'altra forma letteraria che si sviluppa in ambito familiare è il "proverbio", un breve detto che nasce dall'osservazione della realtà alla luce dell'esperienza. Gran parte della letteratura sapienziale (dal libro dei Proverbi fino al più recente Siracide) trova dunque la sua origine nella vita ordinaria della famiglia e della società. Esiste infatti una "sapienza familiare" che ha come scopo l'educazione dei giovani e che si esprime con formule fisse che compaiono a più riprese nei testi biblici.

Possiamo ricordare a questo proposito anche i primi testi legislativi (rintracciabili in Esodo, Levi-tico, Numeri) relativi al comportamento da tenere all'interno della comunità, nei rapporti reciproci tra gli altri membri della società tribale.

Infine, tra le forme letterarie nate nell'ambito familiare, da ricordare i "canti", espressione privilegiata di alcuni momenti forti della vita comunitaria. Così nell'Antico Testamento troviamo canti d'amore (come il Cantico dei Cantici), canti conviviali (cfr. Is 22,13; 56,12), lamenti funebri (2 Sam 1,19-27; l'intero libro delle Lamentazioni).

Il problema del linguaggio miticoIl problema del mito si presenta subito agli occhi del lettore dell'Antico Testamento.

I racconti sulla creazione (Gn 1-11), molti testi dei Salmi o di Giobbe, testi profetici di Isaia ed Ezechiele, mostrano sorprendenti contatti con i miti propri dei popoli vicini, in particolare quelli dell'area cananaica e mesopotamica (Assiri e Babilonési). Forse anche nel caso dell'Antico Testamento dobbiamo ammettere la presenza di narrazioni mitiche?

La questione è risolvibile solo facendo ricorso a una nozione corretta di "mito".
Per lungo tempo si è identificato il mito con la favola, contrapponendolo alla storia e relegandolo con il mondo della fantasia e del sentimento. Gli studi più recenti (C. Lévi-Strauss, P. Ricoeur) hanno cambiato radicalmente una tale impostazione negativa. Al mito è riconosciuta una funzione particolare: esso è una interpretazione dell'enigma dell'esistenza, una risposta ai "perché" della vita umana espressa attraverso un linguaggio narrativo e simbolico.

Il mito non si oppone alla storia, ma va al di là della storia stessa, ricercandone le radici più profonde. Per questo il mito fa sempre riferimento al tempo delle origini e la sua "verità" non sta nell'ambito della veridicità storica, ma del messaggio annunziato. Si tratta di una particolare forma di pensiero ed espressione dell'uomo che tuttavia ha sempre un senso e una verità da comunicare.

L'Antico Testamento ben conosce i miti dei popoli vicini. Da un lato, l'atteggiamento degli autori biblici è quello di una cosciente e radicale opera di demitizzazione: elementi e motivi propri dei racconti mitici vendono ripresi e inseriti in un contesto storico preciso, eliminando inoltre ogni riferimento politeistico. Così, ad esempio, Is 51, 9-11 (cfr. Sai 74,13-14) riprende il motivo mitico della lotta degli dei contro i mostri del Caos primordiale, applicandolo alla vittoria del Signore che fa uscire gli esiliati da Babilonia.

D'altra parte, è altrettanto evidente che molti testi dell'Antico Testamento continuano a utilizzare un linguaggio mitico: ciò è ben chiaro se solo si pensa alle relazioni tra Gn 1-11 e i miti mesopotamici di Gilga-mes e dell'Enotria elis. Per "linguaggio mitico" intendiamo il rappresentare aspetti della realtà umana o divina in forma di racconto e attraverso l'uso di immagini e simboli propri appunto del mito.

Nel mito la realtà storica rivive nella sua perenne attualità simbolica: «in questo caso, infatti, il termine "mito" non designa un contenuto fabuloso, ma semplicemente un modo arcaico di esprimere un contenuto più profondo. Senza alcuna difficoltà, sotto lo strato dell'antica narrazione, scopriamo quel contenuto, veramente mirabile per quanto riguarda le qualità e la condensazione delle verità che vi sono racchiuse»
(Giovanni Paolo II, Catechesi del/711/'1979).

La sfera giuridica Ogni comunità ha da sempre posto tra le sue preoccupazioni principali la salvaguardia dell'integrità della comunità stessa; così essa tende a dotarsi di regole e norme e, allo stesso tempo, di organismi o procedure atte a garantire l'osservanza delle norme stesse e la punizione dell'eventuale trasgressore. In Israele la preoc-cupazione-per il diritto, comune anche ai popoli vicini, ha dato origine a forme letterarie che caratterizzano una vasta serie di testi biblici.

Prima dell'insediamento delle tribù israelitiche in Canaan, l'amministrazione della giustizia è demandata al padre, nell'ambito familiare, o, nell'ambito tribale, al capotribù. In seguito, con la sedentarizzazione, l'intera comunità dei cittadini maschi, adulti e liberi diviene l'unica istanza competente per l'amministrazione della giustizia: l'espressione biblica «stare alla porta» indica il radunarsi della comunità per discutere un caso di giustizia, alla porta della città appunto, luogo ordinario di ritrovo; esempio celebre è il caso di Booz in Rt 4, lss. In epoca monarchica anche il re eserciterà funzioni di giustizia (il ben noto caso di Salomone, 1 Re 3,16-28), ma la procedura giudiziaria è ormai ben stabilita.

La convocazione del tribunale e dei testimoni apre il dibattito pubblico (Sal 50,1-6; Mic 6,1-2; Is 41,1), all'inizio del quale vi è sempre il discorso di accusa della parte lesa. Molti testi dell'Antico Testamento riflettono questo tipo di discorso: cfr. Dt 21,20; 1 Sam 12,7-17; Sal 50,7-21; Is 5,1-7 ecc. All'accusa segue la risposta dell' accusato, la sua difesa: cfr. quella di Geremia in Ger 26,12-15; testi profetici come Ger 2,29-35 e Mic 6,1-5 risentono di questo genere letterario.

Parte importante del processo è la confessione dell'accusato con la quale egli si riconosce colpevole (2 Sam 12,13); molti testi di "confessione dei peccati" sono costruiti su questo schema giuridico: cfr. Sai 51. Nel postesilio la "confessione dei peccati" diviene un genere letterario ben definito, come attestano Esd 9-10; Ne 9; Dn 3,24-45; 9; Bar 1,15-3,8. La sentenza, di assoluzione o di condanna, chiude il processo; formule frequenti come «merita la morte» (2 Sam 12,5), «non merita la morte», e altre simili rilevano direttamente dal linguaggio giuridico.

Alla base delle decisioni giudiziarie troviamo evidentemente le leggi, che costituiscono una parte notevole dei testi dell'Antico Testamento. Le singole leggi si caratterizzano per la loro formulazione, "casuistica" o"apodittica"; nel primo caso (cfr. molti esempi in Es 21) la legge si occupa di singole situazioni concrete, adattando il giudizio alla complessità e diversità della situazione stessa. Il diritto apodittico è formulato invece senza possibilità di attenuanti (cfr. Gn 9,6) e quasi sempre è relativo a trasgressioni gravi nell'ordine etico-religioso (omicidio, sacrilegio...) che comportano in genere la pena di morte.

La sfera del culto- Il culto come fonte di letteratura. Nel mondo antico il culto costituisce un elemento essenziale per la vita stessa della società; Israele non fa eccezione a questa regola. Intorno alla sfera del culto si cristallizzano in Israele, sin dall'epoca premonarchica, tradizioni e osservanze che, ben presto, verranno messe in forma scritta o influiranno, in qualche modo, nella stesura dei testi.

Sin dall'epoca patriarcale la vita cultuale tende a stabilirsi intorno a luoghi ben precisi, i santuari, punti di ritrovo per il pastore seminomade e, in seguito, centri della vita religiosa delle popolazioni locali, ormai se-dentarizzate. Così avviene per tutte le località legate in diversi modi alle tradizioni sui patriarchi: Betel, Mamre, Bersabea, Sichem, Dan... Molti di questi luoghi sacri custodiscono tradizioni e racconti relativi a episodi legati alla nascita del luogo stesso: sono proprio tali tradizioni che, in un secondo tempo, entreranno a far parte di un più vasto racconto scritto; è il caso, ad esempio, di Gn 28,10-22; Gdc 6,11-24. La narrazione sull'arca (2 Sam 6) contiene in sé la spiegazione della nascita del santuario di Gerusalemme.

Intorno ai santuari si sviluppano poi le tradizioni legate alle feste religiose, le più importanti delle quali sono feste di pellegrinaggio, come la Pasqua o la festa delle Capanne, in origine feste di natura pastorale (la Pasqua, festa di primavera) o agricola (la festa delle Capanne, festa autunnale del raccolto). Intorno a queste feste nascono racconti che ne legittimano e ne spiegano l'origine e raccolte di prescrizioni di carattere cultuale. Il testo di Es 12-13, pur composto di diversi strati redazionali, è comunque una spiegazione "storica" della festa di Pasqua e una esposizione delle norme più importanti relative alla celebrazione della festa. In epoca postesilica il libro di Ester (Est 9,20ss.) giustifica e spiega la festa ebraica di Purim mentre, alla fine del II sec. a.C, 1 Mac 4,36-61 fonda l'esistenza della festa della Dedicazione.

Testi legali legati al culto. La sfera del diritto, di cui ci siamo occupati nel paragrafo precedente, nelle società antiche riguarda anche l'ambito del culto. Così non è infrequente trovare nell'Antico Testamento testi che devono la loro origine a forme espressive proprie della legislazione cultuale.

È questo il caso, prima di tutto, dei calendari delle diverse festività israelitiche (cfr. Lv 23, Nm 28 e Dt 16,1-17) che stabiliscono la cronologia delle feste utilizzando evidentemente tradizioni ben consolidate. Nel postesilio, i Ebri delle Cronache sono una buona espressione di questa preoccupazione liturgica; le feste hanno ormai rituali stabiliti che spesso vengono descritti minuziosamente.

I primi capitoli del libro del Levitico (Lv 1-7) contengono una accurata descrizione dei rituali relativi ai sacrifici, parte essenziale del culto divino. Questi testi scritti nascono evidentemente da tradizioni cultuali preesistenti, trasmesse oralmente dai sacerdoti e soltanto dopo (anche in seguito alla catastrofe dell'esilio babilonese) messe in forma scritta.

Il libro dei Salmi resta la migliore espressione di testi nati nell'ambito del culto. I salmi, infatti, sono prima di tutto preghiere, giunte a noi nella forma in cui venivano cantate nel tempio di Gerusalemme, in epoca postesilica.

L'ambito delle istituzioni civili: la monarchia Nelle monarchie del Medio Oriente antico si sviluppano molte forme letterarie legate alla vita della corte e alla amministrazione dello stato; in particolare, gli annali regali registrano gli eventi importanti della vita del re. Così anche in Israele, con la nascita della monarchia davidica e, in conseguenza, di una organizzazione statale ben delineata, si sviluppano forme letterarie ben precise che saranno poi alla base di molti testi dell'Antico Testamento.

Già prima della nascita della monarchia esistevano "liste" tribali relative in particolare alla distribuzione dei territori secondo le diverse tribù; tali liste sono probabilmente rispecchiate in Gs 13-19. In epoca monarchica il genere letterario delle liste, per noi arido e quasi superfluo, acquista una notevole importanza. Le liste dei funzionari regali ad esempio (cfr. 2 Sam 8,15-18; 20,23-25; 1 Re 4,2-6; se ne vedano i paralleli in 1-2 Cr), servono a legittimare l'esistenza e l'ordinamento della monarchia israelitica. Le lunghe liste contenute nei libri di Esdra e Neemia (cfr. Esd 2; Ne 7; cfr. 1 Cr 1-9) hanno lo scopo di garantire l'integrità e l'ap-partenza al popolo di Israele delle famiglie dei rimpatriati dall'esilio babilonese.

Nel caso di Israele non possediamo nessuna raccolta di "annali" di corte. Eppure più volte i libri di Samuele e dei Re, come pure i libri delle Cronache, rinviano all'esistenza di testi come gli Atti di Salomone, la Cronaca dei re di Israele e Giuda. Si tratta di atti ufficiali del regno a noi sconosciuti, ma che tali non erano agli autori dei libri citati e che, anzi, sono serviti loro da fonti.

Intorno alla monarchia, e probabilmente all'interno della stessa corte israelitica, si sviluppano inoltre i primi nuclei di narrazioni che entreranno poi a far parte dei testi storici dell'Antico Testamento (soprattutto 1-2 Sam; 1-2 Re e 1-2 Cr). Ricordiamo in particolare la narrazione relativa a Samuele e Saul (1 Sam 1-15), costituita da tradizioni indipendenti legate assieme in un secondo tempo.

Il lungo racconto di 1 Sam 16 -2 Sam 5, l'ascesa di Davide al trono di Saul, nasce sulla base di tradizioni risalenti alla stessa epoca davidica. Così la narrazione nota come Storia della successione di Davide (2 Sam 9 - 1 Re 2), benché composta tardivamente, forse poco prima dell'esilio, si basa su fonti verosimilmente originali.

Nell'ambito delle forme letterarie nate intorno all'istituzione monarchica occorre ricordare anche la letteratura sapienziale che, tuttavia, affonda le sue origini anche al di fuori della monarchia e che richiede, per questo, una trattazione separata.

La letteratura sapienziale In Egitto e in Mesopotamia, fin dal II millennio a.C, si sviluppa un tipo di letteratura che definiamo "sapienziale": la "sapienza" nasce prima di tutto nell'ambito delle corti regali come educazione all'arte del buon governo per i futuri funzionari del re. Si tratta di una sapienza pragmatica, che fa ricorso all'esperienza comune della vita. Tuttavia, ben presto, nasce una seconda corrente sapienziale, che, ribellandosi all'ottimismo tradizionale, inizia a riflettere sulle contraddizioni della vita umana e, molto spesso, sul problema cardale della sofferenza. Anche questo secondo tipo di sapienza, tuttavia, rimane caratterizzato dalla concre-Bezza e continua ad affondare le sue radici nell'esperienza ordinaria della vita dell'uomo.

A partire dall'epoca salomonica nasce in Israele una analoga corrente sapienziale, che darà vita, nel corso ri secoli successivi, ai libri dei Proverbi, di Giobbe, di Qoelet, del Siracide, della Sapienza, oltre a una vaserie di testi sapienziali disseminati all'interno di altri libri biblici. Il celebre testo di Gn 2-3 ha, come da tempo è stato riconosciuto, un sottofondo sapienziale.

Analogamente alla sapienza dei popoli vicini, la sapienza di Israele si caratterizza come "arte del vivere" e come educazione integrale dell'uomo.

Pertanto, come si è visto sopra la sapienza ha alla base la forma letteraria del "proverbio", nato in ambiente familiare o popolare, come espressione di una esperienza vissuta. Per il saggio la realtà ha un senso; Dio è infatti presente nella sua creazione e garantisce l'ordine delle cose. La sapienza antica di Israele, quale si rispecchia ad esempio nei Proverbi, ma, in seguito, anche nel Siracide, è essenzialmente ottimista.

Come avviene in Egitto e in Mesopotamia, anche in Israele la sapienza si sviluppa nell'ambito della monarchia. Non a caso il re Salomone ci viene presentato come il "saggio" per eccellenza (1 Re 5,9-14); molti dei detti sapienziali contenuti nelle parti più antiche dei Proverbi (Prv 10-30) si riferiscono al re o comunque alle doti che deve possedere chi è chiamato a compiti di responsabilità. Diversi testi sapienziali riflettono l'esistenza di vere e proprie scuole: i discorsi della sapienza in Prv 1-9 sembrano indirizzati a giovani studenti; così è stata avanzata l'ipotesi che la storia di Giuseppe (Gn 37-50) fosse un testo didattico a sfondo sapienziale.

La corte, da un lato, e la vita del popolo, dall'altro, costituiscono così i due ambiti principali dove la letteratura sapienziale nasce e si sviluppa. Ma a partire dal ritomo dall'esilio babilonese la sapienza israelitica acquista una dimensione più profonda, giungendo a contestare l'impostazione tradizionale. Con Giobbe e Qoelet, tra il V e il in sec. a.C, la sapienza israelitica acquisterà una dimensione più speculativa, riflettendo a fondo sui problemi del dolore, della morte, della giustizia di Dio.

Tuttavia il punto di partenza di questo tipo di letteratura continuerà ad essere l'esperienza concreta della vita quotidiana. Solo alla fine del I sec. a.C, con il libro della Sapienza, scritto ad Alessandria d'Egitto da un Ebreo di lingua e cultura greca, il mondo della filosofia inizierà a far sentire il suo influsso all'interno delle correnti sapienziali.

La letteratura profetica La figura del profeta. Il profeta (dal greco pro-phémi) è un uomo che "parla davanti" o "al posto" di Dio. Il profeta non è tanto, come crede l'opinione comune, l'uomo del futuro, quanto del presente, profondamente radicato nella storia del proprio tempo, che annunzia la parola di Dio nel contesto della propria situazione storica. Il profeta è forse l'espressione più caratteristica della religione israelitica. E Signore, il Dio di Israele, è un Dio della storia, presente nelle vicende del popolo.

Il profeta è mosso dalla convinzione di essere inviato da Dio perché il popolo possa comprendere il senso di tale presenza. E profeta è così un uomo che sa leggere la storia del suo tempo alla luce della fede, ammonendo i trasgressori e minacciando castighi o ripetendo le promesse divine di salvezza e solo in questo senso, partendo dal presente, arriva a parlare del futuro.

E fenomeno profetico ha orìgine in Israele molto prima dell'apparizione dei primi due profeti scrittori, Amos e Osea (circa nell'vill sec. a.C). Già in 1 Sam 10,5ss. 10-13; 19,18-24 si parla di gruppi di profeti che sembrano esistere in epoca premonarchica. Ciò fa pensare che l'ufficio profetico fosse in qualche modo istituzionalizzato. In seguito i profeti appariranno legati alla monarchia: si pensi ai profeti di corte del re Davide, Natan e Gad (2 Sam 7.12; 1 Sam 22,5; ecc.) e, più avanti, ai rapporti tra Elia ed Acab (1 Re 17-19). Spesso il rapporto re-profeta viene visto in chiave conflittuale: è il caso, ad esempio, di Isaia e di Geremia.

La letteratura relativa ai profeti. I primi testi relativi ai profeti si presentano sotto forma di narrazioni isolate o raggruppate in cicli più vasti. Quest'ultimo è il caso di grandi cicli di racconti sul profeta Elia (1 Re 17-19. 21; 2 Re 1) e su Eliseo (2 Re 2-8). All'interno di questi cicli si possono identificare sezioni più ridotte relative a singoli miracoli o fatti della vita di quel determinato profeta, tramandati in forma orale e solo in seguito inseriti in forma scritta all'interno di una narrazione più vasta.

A partire da Amos e Osea, e, soprattutto, con la grande figura di Isaia, vissuto verso la fine dell'vni sec. a.C, iniziano ad apparire i primi testi scritti che raccolgono i detti e i fatti dei più importanti profeti. La Bibbia stessa fa pensare che raramente i Ebri profetici in nostro possesso possano essere fatti risalire all'opera personale dei singoli profeti. È ben noto il caso di Geremia e del suo "segretario" Baruc; ma anche Isaia (cfr. 8,16; 30,8) fa pensare a una cerchia di discepoli che sarebbero i responsabili della stesura scritta dei testi del maestro.
Le forme della letteratura profetica. Una delle forme letterarie tipiche della letteratura profetica è costituita dai resoconti delle visioni avute dal profeta: sono celebri le visioni avute da Geremia, Ezechiele, Zaccaria. Alla base dei testi relativi alle visioni sta l'esperienza personale del profeta che spesso aggiunge alla visione una parola di spiegazione. La visione di Isaia nel tempio (Is 6) e la visione della gloria di Dio in Ez 1 contengono allo stesso tempo il racconto della vocazione del profeta.

La forma più tipica del linguaggio profetico è rappresentata tuttavia dal cosiddetto "vocabolario di missione"; i testi profetici usano una serie di formule fisse e facilmente distinguibili: «la parola del Signore fu sopra (il tale profeta)...» (Os 1,1; Ez 1,3, ecc.); «così dice il Signore» (ben 425 volte in tutto l'Antico Testamento!); «oracolo del Signore» (più di 300 volte): il profeta si presenta infatti come "messaggero" gnore. di cui porta la parola. Queste formule di missione introducono gli oracoli profetici propriamente u^. ti che, dal punto di vista del contenuto, possono essere suddivisi in parole di salvezza, parole di minaccia, oracoli di giudizio.

Normalmente le parole di minaccia precedono immediatamente l'oracolo di giudizio, introdotto dalla suddetta ''formula del messaggero": è il caso di Am 3,10-11; Mie 2,1-3; Ger 23,13-15. Tra gli oracoli di giudizio spiccano quelli diretti contro popoli stranieri: presenti già in Am 13,2-3, questi oracoli sono raggruppati in raccolte indipendenti (Is 13-23; Ger 46-51; Ez 25-32) non di rado posteriori al profeta stesso. Gli oracoli contro i popoli stranieri annunziano da un lato la salvezza per Israele, dall'altro il giudizio divino sul mondo. Talora gli oracoli di giudizio sono preceduti da ammonimenti che rendono l'annunzio profetico condizionato dal comportamento degli uditori.

Le parole di salvezza invece sono quasi sempre incondizionate, ovvero rimandano a un futuro che è interamente nelle mani di Dio. I testi del Deuteroisaia sono i più ricchi di questa forma letteraria che viene descritta, a seconda dei casi, come "oracolo", "promessa" o "annuncio" di salvezza; in ogni caso si tratta di testi rivolti al futuro e relativi alla salvezza promessa dal Signore a Israele. Occorre comunque osservare come i profeti utilizzino tutte queste forme letterarie con grande libertà.

Nei libri profetici non è raro trovare l'uso di forme letterarie tipiche di altri ambienti vitali del popolo di Israele. Così Isaia, Amos, Michea, utilizzano il genere delle "lamentazioni funebri" per piangere sulla triste sorte di Israele (cfr. Is 3,25-4,1). Non è raro trovare nei profeti forme tipiche dell'ambito giuridico: il rapporto tra Dio e Israele è spesso visto come un dibattito processuale, che presuppone una situazione di conflitto tra il Signore e il suo popolo; così avviene ad esempio nei testi del Deuteroisaia (Is 40-55).


L'apocalitticaCon "apocalittica" (dal greco apokalypsis, «rivelazione») si indica un tipo di letteratura fiorita in Israele a partire dal II sec. a.C. L'origine dell'apocalittica resta tuttora incerta, anche se è probabile una sua derivazione dal filone profetico. Già in Is 24-27; 34-35; GÌ 3-4; Zc 9-14 ci troviamo di fronte a testi che già riflettono una chiara tendenza apocalittica. Più avanti, alla fine del n sec. a.C, nasce l'unica opera di carattere apocalittico dell'Antico Testamento, il libro di Daniele.

La letteratura apocalittica è una forma letteraria tipica di un periodo di crisi; il libro di Daniele nasce ad esempio in seguito alla persecuzione di Antioco IV e alle lotte maccabaiche. La visione della storia e del mondo è fondamentalmente pessimista: ci si attende un intervento risolutore di Dio che segnerà la fine di questo mondo malvagio e la nascita di un mondo nuovo.

Gli autori dei testi apocalittici, che si moltiplicheranno tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C, ma che non saranno accolti nel canone biblico, si presentano come depositari di una rivelazione particolare (è il caso di Daniele) ed espongono il loro messaggio con ricchezza di immagini e di simboli, facendo frequente ricorso all'allegoria. "


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