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L'incarnazione del Verbo

Dio è onnipotente ?

La rivelazione divina si svolge nella storia come una serie di eventi straordinari di salvezza , miracoli e prodigi, il cui significato viene compreso attraverso le parole dei profeti , dei testimoni , delle riflessioni dei sapienti che contemplano questi eventi.

La riflessione sapienziale su questi eventi conduce anche ad una certa conoscenza di Dio stesso. Questo spirito che noi chiamiamo Dio si è rivelato come un dio che controlla e padroneggia le grandi forze che l'uomo osserva agire nella natura ( vedi l'esodo dall'Egitto), che fa nascere uomini da donne infertili ( Isacco etc.) da vergini ( Gesù) che controlla gli astri ( ferma il sole per Giosuè) , che controlla la storia stessa.

La riflessione sapienziale sulle opere divine fa dire al popolo di Israele che Dio è " onnipotente" , "creatore " di tutto ( cielo e terra) "signore" di tutto e della storia stessa. Egli agisce , opera, attraverso la sua " Parola", poichè tutto ciò che promette attraverso i suoi profeti sempre si compie .
Nella sua Parola ( Logos, Verbum,Verbo) cè il suo "pensiero" , la sua " volontà" e il suo "potere".

-----> citazioni

Il modo con cui noi diciamo Dio onnipotente è limitato a questa comprensione .

Se così stanno le cose per quale ragione ha fatto sì che il suo Verbo si incarnasse, diventasse uomo(dio) , patisse la condizione umana, fosse perseguitato, crocifisso come un criminale , e morisse come ogni mortale?

Se Dio può fare tutto con la sua parola non poteva forse salvare l'umanità , parteciparle la sua natura divina, farla risogere da morte nella sua dimensione solo " pensando" e " annunciando" tutto ciò?

Forse Dio non è onnipotente in senso filosofico, assoluto, ma è diversamente onnipotente ?
---> Mancuso

La Ricapitolazione

Il Verbo si è fatto uomo. Perchè?
Paolo il rabbino cristiano :

Col 1, 3 ss
.. è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; 
è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui:
quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili.

Piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza,
per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, 
rappacificare con il sangue della sua croce gli esseri della terra e quelli del cielo.
Figlio diletto,  per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati

Egli è il capo del corpo, che è la Chiesa; è il principio di tutto, 
il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose
ci ha liberati dal potere delle tenebre, ci ha trasferiti nel regno suo
ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce,

Dio ha voluto ricapitolare in Lui tutte le cose, tutta la creazione.
Assumendo in sè la creazione, il Verbo la " ricrea" , la fa "nuova", crea un "nuovo mondo" che partecipa della natura divina che è eterna. Muore come ogni uomo ma la sua natura divina risorge la natura umana che ha assunto portandola a perfezione , alla eternità.
Gesù è l'uomodio , la creazione portata a perfezione , l'uomo portato alla vita eterna insieme a Dio.
La ricapitolazione in sè stesso di tutte le cose operata da Gesù , attraverso la sua morte/resurrezione diventa una creazione nuova , perfetta, eterna.
Ora c'è una creazione corrotta, destinata al " fuoco distruttore" ed una creazione nuova, perfetta, ricapitolata in Gesù risorto.

---> citazione ... voi che mi avete seguito nella Nuova Creazione.

L'opera della Nuova Creazione si compie in Gesù , nella sua breve vicenda storica. Ma Gesù non se la tiene per se stesso : Egli la comunica a chiunque crede in lui, confida in Lui, si affida a Lui. Egli stesso ammaestra l'umanità a " seguirlo" in libertà in questa opera attraverso la personale incorporazione in Lui .

Gv 6,54...

Gesù è vero cibo evera bevanda di un nuovo ordine naturale ( panevinotransustanziatoconnaturadivina ,materiaspirito , materialuce, etc. ) che l'uomo assimila in sè per trasformare tutto se stesso in questa nuova natura, per diventare uomodio.

Si tratta di un processo nuovo che si manifesta storicamente come una somiglianza a Gesù pur rimanendo esseri personali ( vedi S. Francesco e tutti i santi cristiani e forse anche di altre culture)

---> citazione nuovo

La nuova creatura per raggiungere il suo stato compiuto, perfetto, ha bisogno di un maestro che la guidi nel percorso storico fino alla resurrezione finale: Gesù sceglie la forma del discepolato che si svolge in una nuova alleanza eterna con Dio.Gesù è l' unico uomodio compiuto e solo Lui può far da maestro alla sue nuove creature.

---> citazione nessuno si faccia maestro o padre....

Che senso ha tutto questo fatto da un dio onnipotente?

Il  Verbo si è fatto carne perché ama l’umanità anteponendo il proprio benessere-la beatitudine divina- al bene dell’uomo.

( --> parabola samaritano)

Il samaritano è l'unico al quale Gesù applica il verbo avere compassione, espressione che viene usata per indicare l'atteggiamento di Dio nell'At e di Gesù nei vangeli. Nel vangelo di Luca questo verbo compare unicamente in 7,13 nell’episodio della resurrezione del figlio della vedova di Nain e in 15,20 nella parabola dell’amore del padre (figliol prodigo). In entrambi i casi si tratta di restituire vita a un morto (“questo tuo fratello era morto”, Lc 15,32).

Nei gesti del miscredente samaritano Gesù rivela la pratica non solo dell’amore al prossimo come a sé stessi, ma un amore preferenziale: il bene del malcapitato è più importante del proprio.Gesù invita a superare il precetto, espresso nel Levitico, di amare il prossimo come se stesso per immedesimarsi nell’amore compassionevole di Dio che si fa prossimo di chiunque si trova in condizioni di necessità.

Il Verbo si è incarnato perchè Dio " è fatto così:
- ha compassione per tutti
- si fa prossimo di chiunque si trova in condizioni di necessità.
- il bene del malcapitato è più importante del proprio ...fino a morire
- e restituire vita ai morti (“questo tuo fratello era morto”, Lc 15,32).

Il percorso storico umano, essere incarnati , ha questo senso : la carità fino alla morte.Questa soltanto è vita. Eterna.

L'uomo nuovo vive la sua condizione da povero, umile ,misericordioso ,costruttore di felicità per tutti, collaboratore dell'estensione dell ' opera di ricapitolazione in Gesù , etc, la vive per natura nuova.Non è mai perfetto perchè rimane esposto alla tentazione del male , può ancora sbagliare, perdersi,può persino rifiutare la sua stessa nuova natura, ma non può mai disperare di essere riportato da Gesù-maestro nel giusto cammino. Quante volte lo perdona Gesù ? 70x7 volte al giorno.La nuova creatura viene continuamente nutrita da Gesù attraverso il memoriale delle sue salvezze, i sacramenti della sua Chiesa.

La religione ha ancora senso ? La nuova creatura è ancora religiosa?

L'uomo nuovo rimane costituzonalmente religioso ma è chiamato a vivere di sola fede.La religione è tutto ciò che l'uomo vecchio fa per avvicinarsi a Dio e farsi accettare da Lui attraverso istituzioni di mediazione ; la fede è tutto ciò che l'uomo fa per conoscere e seguire Gesù, personalmente, accettandolo incondizionatamente e senza mediazioni.

-la comunità religiosa è una istituzione che tende a conservarsi nella storia , che ha una dottrina che considera l'unica certa e immutabile,che indroduce in un percorso storico di osservanza di precetti e riti ,
- la comunità di fede è manifestazione storica del Regno messianico come vita di amore umanodivino, la carità, è estensione nella storia della carità di Dio, il suo Regno.

E SE DIO RIFIUTA LA RELIGIONE?
P. Alberto Maggi OSM APPUNTI Cefalù - 2004
Introduzione

Nel trattare questo argomento, occorre prima distinguere tra religione e spiritualità.

La spiritualità nasce dall’intimo degli uomini, è la forza interiore che lo spinge verso l’infinito, l’assoluto. È il desiderio, innato in ogni creatura, di pienezza di vita. La spiritualità nasce dall’uomo che, creato a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26), nel corso della sua esistenza sviluppa, attraverso atti concreti, questa somiglianza al fine di giungere a essere “immagine e gloria di Dio” (1 Cor 11,7).

Nello specifico cristiano la spiritualità conduce alla fede. [ ???? ]

La religione invece è un artefatto culturale. Nata come strumento per sviluppare la spiritualità dell’uomo in realtà la religione l’opprime e la soffoca, perché per sua natura ogni religione è violenta.

La differenza tra religione e spiritualità (o fede) è che mentre la prima nasce dagli uomini ed è diretta verso la divinità, la seconda nasce da Dio ed è rivolta agli uomini (“Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi”, 1 Gv 4,10; Rm 5,8).

Mentre nella religione conta ciò che l’uomo fa per Dio, la spiritualità nasce da quel che Dio fa per gli uomini.
Nella religione è sacro il Libro.
Nella spiritualità è sacro l’uomo (Mc 2,27).
Nella religione è importante il sacrificio, nella spiritualità l’amore (“Misericordia io voglio e non sacrifici”, Mt 9,13; 12,7; Os 6,6).

Le crociate e le guerre sante non nascono dalla spiritualità, ma dalla religione.
Per questo è illusorio pensare che le religioni possano portare la pace nell’umanità.
Le religioni sono per loro natura violente.
Ogni religione ha la pretesa di essere l’unica assoluta rivelazione della divinità, a riprova della quale rivendica il possesso di un testo sacro, rivelato, comunicato o scritto direttamente da Dio. Questa sacra scrittura, ritenuta espressione definitiva della volontà di Dio, dà il diritto alla religione di dividere le persone tra fedeli e infedeli, tra puri e impuri, di promettere un premio o di minacciare un castigo, innescando forme crescenti di violenza morale, psicologica e, quando le leggi civili lo consentono, anche fisica.

Naturalmente ogni religione è convinta di essere portatrice di pace e che il Male, o il Satana, sia qualcosa che appartiene alle altre religioni, filosofie o sistemi di potere. La certezza di essere il Bene consente di ostacolare, combattere e sconfiggere, con qualunque mezzo, tutto quel che si ritiene gli sia contrario.

Ogni religione ritiene di avere l’esclusiva della fratellanza e della pace, ma la storia insegna che proprio in nome della religione gli uomini si sono scannati gli uni contro gli altri, uccidendo e massacrando per la difesa del loro Dio.
Non va dimenticato che il cristianesimo è stato la religione più omicida che sia mai apparsa nella storia. È triste e angosciante doverlo ammettere, ma nessuna religione ha tanti morti sulla coscienza come il cristianesimo.
Fin dai suoi inizi la violenza è stata la costante della Chiesa: hanno ucciso più persone i papi per imporre la religione cristiana che gli imperatori romani per contrastarla.
Se sono incontestabili le radici cristiane dell’Europa, è anche incontestabile che queste radici sono state abbondantemente annaffiate col sangue di milioni di vittime. La violenza della Chiesa non si è rivolta solo agli “infedeli”, musulmani ed ebrei, ma agli stessi cristiani, sia a quelli considerati eretici, che sono stati bruciati, squartati, bolliti, arrostiti, sia alle streghe, torturate e condannate al rogo, ma anche a quanti non si sottomettevano completamente al suo potere. Il tutto in nome del Cristo.

E in nome di Cristo sono stati perpetrati genocidi e stragi: intere popolazioni ed etnie sono state cancellate dalla faccia della terra (basti pensare agli Aztechi e ai Maya, solo per citare i più conosciuti) e altre sono state sottomesse cancellando la loro cultura, la loro storia e le loro tradizioni. Bartolomeo de Las Casa, nella sua Brevissima relazione sulla distruzione delle Indie, scrive pagine raccapriccianti. Lui era cappellano degli occupanti, ma cambiò atteggiamento di fronte alla conquista e all’evangelizzazione delle Indie quando fu testimone a Cuba del crudele supplizio al quale fu sottoposto Hatuei, capo delle resistenza degli indios: giudicato eretico e ribelle fu condannato a essere bruciato vivo.

Il cattolicissimo condottiero spagnolo Hernan Cortés, massacrò e cancellò dalla faccia della terra intere popolazioni in Messico. Cortés può essere ritenuto l’inventore della “guerra preventiva”: l’invasione di un paese con lo scopo di impadronirsi delle sue ricchezze, ma con la giustificazione di volervi portare valori postivi (cristianesimo, democrazia, etc.).

Hernan Cortés invitava i suoi soldati a sterminare ferocemente tutti, uomini, donne, vecchi e bambini “per spargere e inculcare il terrore della loro ferocia in ogni angolo di quelle terre; onde incutere durevole timore tra quei greggi di agnelli mansueti, in ogni contrada ove entrano sono usi commettere per prima cosa un crudele e memorando massacro”. Terminato il massacro, le mani delle vittime venivano infilzate in lunghi bastoni “cosicché gli altri indiani potessero vedere quanto era stato fatto in quel villaggio”. “E egualmente gli spiedi coi bambini a rosolare a fuoco lento fra le urla delle madri, per terrorizzare i villaggi, e i bambini gettati in aria a decine per i giuochi dei conquistadores, in gara tra loro a chi li infilzava nella spada con più destrezza prima che rotolassero a terra” (cf G. Zizola, in Rocca, 20/2004, p. 52).

Naturalmente le motivazioni, per la guerra, sono sempre oscene e menzognere, ma rivestite di nobili intenti. Lo sterminio delle popolazioni dell’America latina “era l’estirpazione dell’idolatria e la conversione degli indigeni alla fede cristiana” (D. Ulloa, Los predicadores divididos. Los dominicos en Nueva España).

Non è stato Maometto, ma un papa, Urbano II, a lanciare la prima guerra santa, e al grido di “Dio lo vuole” (Deus lo vult), non fu difficile trovare tutti i supporti teologici per giustificarla. È pertanto evidente che l’adesione ai principi di testi ritenuti sacri non è sufficiente per esorcizzare la violenza nei confronti degli uomini. Per questo non basta che un testo sia considerato sacro, occorre anche che l’uomo venga considerato sacro.

Se il bene dell’uomo non viene messo al primo posto come valore sacro, non solo i testi dell’Antico Testamento, ma persino i Vangeli possono essere usati per fare il male anziché per compiere il bene. San Tommaso arriverà ad affermare, commentando il testo di Paolo “La lettera uccide, ma lo Spirito dà la vita” (2 Cor 3,6), che “Per lettera si deve intendere ogni legge esterna all'uomo, precetti della morale evangelica compresi, che possono uccidere se non esistesse nell'intimo la grazia sanante della fede” (I 2a q.106 art.2).

La Parola di Dio si svela solo a quanti mettono il bene dell’altro al primo posto nella loro esistenza. E’ questa la verità che permette l’ascolto della voce del Signore (“Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”, Gv 18,37).

Quando ciò non accade, si rischia di disonorare l’uomo per onorare Dio, come fa il sacerdote, protagonista della Parabola del Samaritano (Lc 10,3037), il quale, trovandosi di fronte a un ferito, non ha alcun dubbio su quel che deve fare. Il rispetto della Legge divina è per lui più importante della sofferenza del moribondo. Per rispettare la Legge, che proibiva a un sacerdote di toccare un ferito (Nm 19,16), sacrifica l’uomo.

Lo stesso vangelo, quando non è più a servizio del bene e della felicità degli uomini, ma viene usato come strumento di potere per sottometterli, si fa portatore di morte anziché di vita. Il potere esercitato in nome di Dio è il più perverso, perché ha convinto gli uomini della necessità di sottomettersi ai suoi rappresentanti quale unica via di salvezza. Questo rende le persone non solo schiave, ma complici di questa schiavitù accettata e assunta a valore.

La buona notizia di Gesù.

Dai vangeli appare che Gesù, Figlio di Dio, manifestazione visibile del Dio invisibile, e “Dio con noi” (Mt 1,23) ha avuto un rapporto sempre fortemente conflittuale con tutto quel che riguarda la religione: le leggi, le persone, i luoghi di culto.
Per comprendere il comportamento di Gesù occorre vedere che cosa s’intendeva a quel tempo per religione.

Sotto questo nome si raccoglieva quell'insieme di comportamenti che l'uomo doveva avere nei confronti della divinità per ottenerne la sua benevolenza. Tutto questo con Gesù non ha più valore. Il Cristo ha proposto un rapporto nuovo con Dio non più basato su quel che l’uomo deve fare nei suoi confronti, ma su quello che Dio, rivelato come Padre, fa nei confronti dei suoi figli.

Con Gesù è finita la religione ed è nata la fede. Per questo nei vangeli la parola religione non si trova, e nel Nuovo Testamento compare una sola volta, ma per indicare la religione ebraica (“Essi avevano contro di lui certe questioni intorno alla propria religione [deisidaimonias]”, At 25,19).

Il termine greco che viene tradotto con religione, (gr. deisidaimonía) è composto dal verbo temere (gr. déidô) e da dèmone (gr. daimôn) e significa il timore degli dèi/dèmoni, paura delle potenze celesti, degli spiriti maligni, superstizione, religione. Alcuni traduttori rendono con religione il termine greco thrêskeia, che ha più il significato di culto religioso (“Nessuno v’impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nella venerazione [thrêskeia] degli angeli, Col 2,18; cf At 26,5; Gc 1,26.27).
Il mondo della religione e le persone religiose vengono presentate nei vangeli come refrattari all’azione dello Spirito, nemici accaniti di Gesù ed irriducibili avversari del progetto di Dio sull’umanità.

LA BESTEMMIA DEL FIGLIO DELL’UOMO (MT 9,3)

Il primo scontro tra Gesù e i rappresentanti della religione viene riportato da Matteo all’inizio del capitolo IX del suo vangelo.
In questo capitolo l'evangelista affronta la tematica del condono dei peccati quale espressione dell'amore di Dio a tutta l'umanità.
Questo episodio assume un particolare valore in quanto è l'unica volta che, in questo vangelo, Gesù cancella i peccati. L’azione di Gesù è in aperto contrasto con tutto l’insegnamento religioso riguardo il peccato e le modalità per ottenerne il perdono.
Mt 9,1 Salito su una barca, Gesù passò all'altra riva e giunse nella sua città
Nell'episodio precedente Gesù stava in terra pagana, pertanto “l'altra riva” qui significa il suo rientro in terra d'Israele. Infatti Gesù giunge a Cafarnao. È la città dove egli abitava (“andò ad abitare a Cafarnao”, Mt 4,13), ha operato, ma è anche la città che non gli ha creduto: “E tu Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino all'Ade sarai precipitata” (Mt 11,23).
A Cafarnao c’è la sinagoga e il dominio che questa esercita sugli abitanti li rende impermeabili all’azione del Signore. Per l’evangelista luoghi e persone religiose sono totalmente refrattarie all’azione di Dio.
2 Ed ecco gli portarono un paralitico steso sul letto. Gesù vista la loro fede, disse al paralitico: “Coraggio, figliolo, ti sono cancellati i tuoi peccati”.
A Cafarnao Gesù ha già guarito il servo paralizzato del centurione (Mt 8,513).
L’eco delle azioni vivificanti di Gesù si diffonde (“conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì”, Mt 4,24),
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e quanti, come il paralitico, sono considerati come dei morti che respirano ma allo stesso tempo sono desiderosi di vita, si avvicinano a Gesù.
Secondo la religione giudaica, i peccati possono essere perdonati solo da Dio (Es 34,67; Sal 25,18), e gli uomini per ottenere il suo perdono devono passare attraverso un rituale ben preciso che è prescritto dalla Scrittura (“Il sacerdote farà per loro il rito espiatorio e sarà loro perdonato”, Lv 4,20) e soprattutto offrire un animale in sacrificio (Lv 4,20.26.13.35).
Contrariamente alla prassi religiosa, Gesù non chiede all’uomo se sia pentito delle sue colpe, e non lo rimprovera per i peccati.
Al Signore non interessa quel che l’uomo ha fatto. L’azione di Gesù riguarda il presente dell’uomo e non il suo passato.
Il Cristo non si rivolge all’uomo con un rimprovero, ma con un incoraggiamento, e lo chiama figliolo: È l’unica volta che Gesù si rivolge a qualcuno in questo modo, con un’espressione che denota intenso affetto (ha il significato di figlio/bambino mio). Quando l’uomo peccatore s’incontra col Signore, non viene umiliato per le sue colpe, ma avvolto dalla tenerezza materna del suo amore.
L'azione di Gesù non consiste nel perdonare i peccati ma nel cancellarli. Mentre il perdono dei peccati è una conseguenza dell'azione dell'uomo che pentitosi chiede perdono per il peccato e offre il sacrificio di riparazione a Dio, cancellare i peccati è un'azione che compete soltanto a Dio, ed è gratuita (Ef 2,19).
È la differenza tra il dono e il merito sulla quale si basa la distinzione tra la fede e la religione.
Se nella religione si esige la conversione come condizione per meritare il perdono, nella fede la conversione è un effetto del condono (dal latino condonare, “concedere in dono”), gratuitamente concesso.
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Se nella religione l'accesso a Dio avviene dopo l'offerta di un sacrificio, nella fede Dio non pretende offerte ma è lui che si offre e chiede di essere accolto.
Gesù non perdona i peccati dell'uomo per le azioni di penitenza, di sacrificio, ma li cancella. Come Gesù illustrerà nella Parabola dei due debitori, il condono non viene concesso per le promesse del debitore, ma per la misericordia del creditore (Mt 18,2627). Ugualmente cancellare i peccati è un'azione che è dovuta alla grande generosità di Dio, un dono gratuito non dovuto ai meriti dell'uomo ma alla misericordia del Padre che “dimostra la grandezza del suo amore per noi in questo: che mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8).
Immediatamente si scatena il contrattacco contro questa tremenda azione compiuta da Gesù, il cui comportamento rischia di scardinare il rigido e preciso cerimoniale col quale l’uomo doveva chiedere perdono da Dio.
3 Ed ecco, alcuni scribi dissero fra sé: “Questo bestemmia”.
Il condono dei peccati concesso da Gesù provoca la reazione stizzita e sprezzante degli scribi, che trovano incompatibile la facile assoluzione con la quale Gesù che evitano di nominare (Questo) cancella i peccati dell'uomo, con l’insegnamento tradizionale da loro imposto, dottrina che rendeva sempre più complicato e più difficile, e soprattutto oneroso, da parte dell'uomo ottenere il perdono dei peccati.
È la prima volta che Gesù, il Dio con noi (Mt 1,23), s'incontra con un gruppo di scribi, ovvero i Teologi Ufficiali, ed è subito scontro.
Il termine greco grammateôn (lett. letterati), dall'ebraico soferîm, normalmente tradotto con scribi, non ha solo il significato di scrivano, compito considerato sacro di colui che è incaricato di fare copie dei testi delle sacre scritture. Il significato del termine ebraico sôfer è infatti quello di Predicatore della Torah, Rabbino, Teologo Ufficiale, Cancelliere.
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Quale custode del testo sacro, lo scriba è colui che possiede la competenza e l'autorità giuridica per spiegare il diritto, interpretarlo ed applicarlo. Ordinato sôfer all'età di 40 anni, dopo un lungo e intenso periodo di preparazione e di studi, lo scriba riceve, con l'ordinazione, lo spirito di Mosè (Nm 11,16ss) e viene considerato il diretto successore dei Profeti e il conoscitore e interprete del divino volere.
L'autorità dello scriba è illimitata in quanto egli gode di infallibilità, le sue sentenze sono intoccabili e ritenute superiori a quelle della stessa Bibbia: “una voce celeste [ebr. bat qôl] aveva dichiarato: tutte le parole degli scribi sono parole del Dio vivente...” (Ber. M.1,3). Si credeva e insegnava che “le decisioni e le parole degli scribi sono superiori alla Torah” (Ber. M. 1,3), e che “è più colpevole insegnare contro gli ordini degli scribi che contro la Torah...” (Sanh. M. 11,3; cfr. 10,3). Per tutto questo gli scribi godono di enorme prestigio presso la gente: più del Sommo sacerdote e dello stesso re: “Il successo dell’uomo è nelle mani el Signore, è lui che dona allo scriba la sua gloria” (Sir 10,5); Lo scriba “svolge il suo compito fra i grandi, è presente alle riunioni dei capi” (Sir 39,4).
La prima volta che gli scribi, depositari della volontà di Dio, ascoltano Gesù, non solo non riconoscono in lui la Parola di Dio, ma lo giudicano un bestemmiatore, perché, come essi insegnano, solo Dio può perdonare i peccati (Mc 2,7). Del resto in nessuno scritto della tradizione rabbinica si trovava che il Messia, in forza del suo potere, potesse perdonare i peccati, potestà ritenuta esclusiva di Dio.
L'evangelista sottolinea la totale incompatibilità tra Dio e l'istituzione religiosa che pretende contenerlo, esprimerlo e rappresentarlo.
Il gesto di Gesù è pericoloso per tutto il sistema religioso. Ha cancellato i peccati di quel tale senza nominare Dio!
Il condono dei peccati al paralitico è per i difensori dell'ortodossia un crimine degno di morte (nel Libro del Levitico e dei Numeri, la bestemmia è un crimine che merita la morte, Lv 24,1114; Nm 15,3031).
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Gli scribi, pensando che Gesù bestemmia, ritengono che sia meritevole di morte. Ed è per l'accusa di essere un bestemmiatore che Gesù verrà messo a morte.
La prima e l’ultima volta che Gesù si trova di fronte alle massime autorità religiose, queste sentenzieranno che Gesù è un bestemmiatore (Mt 26,6566; Mc 14,64).
4 E Gesù vedendo i loro pensieri, disse: “Perché mai pensate malignità nel vostro cuore?”
Il cuore nella cultura ebraica indica la coscienza dell'individuo, la mente.
Mentre nei portatori del paralitico, Gesù vede la fede (v. 2), in questi scribi Gesù vede la malvagità dei loro pensieri. Il termine malignità richiama l’azione del maligno (Mt 5,37), nome col quale si identifica il diavolo.
Gli scribi, in quanto rappresentanti del supremo magistero d’Israele e depositari della volontà di Dio, in realtà, agiscono come il nemico di Dio, il diavolo. La situazione del popolo è drammatica: quelli che essi credono pastori sono in realtà lupi rapaci.
Gesù allora sfida gli scribi:
5 Che cos'è più facile dire: Ti sono cancellati i peccati, o dire: Alzati e cammina?
Gesù non affronta gli scribi su un piano teologico (la bestemmia), ma su quello della vita.
Dire: “Ti sono cancellati i tuoi peccati!” è facile, perché non è possibile verificare l'avvenuto perdono. Ecco perché Gesù non invita mai gli uomini a chiedere perdono a Dio, ma invita sempre a cancellare le colpe gli uni degli altri.
Che l'uomo chieda perdono a Dio delle sue colpe, e che questi venga perdonato, non si può verificare. Ma che l'uomo cancelli le colpe di un altro nei suoi confronti, questo si vede.
Per questo Gesù non invita mai a chiedere perdono a Dio, ma sempre a perdonare gli altri. È il perdono concesso agli
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altri che rende operativo, efficace e visibile il perdono concesso da Dio.
Quando la comunità cristiana chiede perdono a Dio, ma poi è incapace di perdonare gli uomini, si allontana da Gesù e si è avvicina pericolosamente alla sinagoga retta dagli scribi. Gesù non è venuto a creare un nuovo sinedrio dove gli uomini si sentano giudicati e condannati, ma la comunità di fratelli dove non c’è colpa e non c’è peccato che non possano essere cancellati e il perdono concesso illimitatamente, “fino a settanta volte sette” (Mt 18,22), a somiglianza dell’infinita misericordia del Padre.
6 Affinché sappiate che il Figlio dell'UOMO ha il potere in terra di cancellare i peccati, allora dice al paralitico: Alzati, prendi il tuo letto e va a casa tua.
7 Ed egli alzatosi andò a casa sua.
Senza attendere nessuna risposta, Gesù passa all'azione e guarisce il paralitico che viene invitato a tornare a casa sua (“alzatosi se ne tornò a casa sua”).
Gesù non lo invia al Tempio per ringraziare.
Il Signore non si è limitato a cancellare all'uomo il passato di peccatore, ma gli ha trasmesso una forza vitale per una vita nuova.
Ancora una volta Matteo vuol dimostrare che in Gesù si manifesta Dio, colui che “perdona le colpe e cura le infermità” (Sal 103, 3): Dio è con Gesù e non con gli scribi. Non è lui che bestemmia, ma sono le autorità che bestemmiano. Il loro insegnamento non è altro che una bestemmia che deturpa il volto di Dio.
Figlio dell’uomo
La motivazione del perdono concesso da Gesù al paralitico è il potere che è stato dato da Dio al Figlio dell’uomo sulla terra: Gesù ha potuto comportarsi in questa maniera perché, è il Figlio dell’uomo.
Il Figlio dell’uomo è un tema cruciale per la comprensione della figura di Gesù e della sua attività. Nei vangeli Figlio dell’uomo è, dopo il nome proprio, la denominazione principale di Gesù. Un dato rivelatore dell’importanza di questa denominazione è che si trova sempre in bocca a Gesù e attribuita a se stesso (eccetto che in Gv 12,34, dove appare come risposta della folla).
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Figlio dell’uomo è la traduzione di un’espressione aramaica bar nash(a), [ebr. ben’ adam] “figlio di uomo”, e significa uomo. L’espressione non è originaria degli evangelisti, ma ripresa dal Libro di Daniele (Dn 7,1314), dove si descrive un sogno nel quale il profeta vede la successione di quattro imperi rappresentati dalle bestie, simbolo di crudeltà e disumanità, con le quali si indicavano le nazioni pagane (Ger 4,7; 5,6; Ez 29,3; 32; Sal 57,3). L’apparizione delle quattro bestie indica che nessuna di queste contribuisce a umanizzare il genere umano né a migliorarne l’esistenza; al contrario, la peggiorano per il crescendo di ferocia.
Nel corso della visione, Daniele parla di “uno simile a un figlio d’uomo”, cioè un uomo, il quale riceve il potere prima detenuto da Nabucodonosor: “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati potere [exousia], gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Dn 7,1314; 4,33; 5,18). Il messaggio di Daniele è che Dio distrugge i poteri politici disumani che, con la loro ingiustizia e crudeltà, opprimono i popoli. Dopo aver ridotto alla rovina o all’impotenza questi regni, Dio inaugurerà un regno universale di carattere umano, degno dell’uomo. Non sorgerà un impero in più che si aggiungerà alla serie, ma si instaurerà una nuova maniera di regnare, umana, non bestiale, garantita dal figlio dell’uomo. In epoca posteriore al libro profetico, la figura umana venne interpretata nella letteratura rabbinica come una rappresentazione del Messia e gli evangelisti identificano in Gesù questo Figlio dell’uomo.
Missione del Cristo è quella di effondere all’umanità una vita di qualità divina, che trasformi l’uomo interiormente infondendogli una nuova vitalità. Con l’immagine del figlio dell’uomo, gli evangelisti vogliono indicare il trionfo dell’umano sul disumano, cioè la progressiva scomparsa dei sistemi che ostacolano lo sviluppo dell’uomo, e, di conseguenza, la possibilità per l’umanità di avanzare nel cammino della sua maturazione e pienezza. Nei vangeli, il figlio dell’uomo indica colui agisce in terra come Dio stesso, colui che rende presente il divino e la sua forza di vita nella storia umana, e per questo rappresenta il massimo dell’umanità, l’Uomo per eccellenza.
In Gesù si realizza in pienezza la creazione dell’uomo, portandolo a una pienezza umana che include la condizione divina. L’impegno del Cristo di un amore senza limiti agli uomini, lo porta al massimo delle possibilità umane e allo stesso tempo lo pone in piena sintonia con la realtà divina, che, essendo amore (1 Gv 4,8), non può non comunicarglisi. Pertanto figlio dell’uomo appare come il punto d’incontro tra il massimo dell’umano e la realtà di Dio, il luogo dove s’incontra e si fonde l’umano con il divino (“Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”, Gv 1,51).
In quanto Figlio dell’uomo, il Messia, contrariamente alle attese del popolo, non sarà un leader politico, ma il detentore della pienezza umana e, con essa, della condizione divina. La sua missione è aprire agli uomini il cammino verso una pienezza come la sua. Gesù non è un sovrano al quale sottomettersi, ma il modello d’uomo al quale ognuno può aspirare.
Questa autorità il Figlio dell’uomo non l’esercita attraverso il dominio ma con la comunicazione di vita a tutti gli uomini. L’autorità di Dio si manifesta nell’uomo non quando questi domina (il Dio degli scribi), ma quando dà la vita. Figlio dell’uomo è colui che, avendo ricevuto lo Spirito di Dio, ha autorità divina e agisce in nome di Dio sulla terra.
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8 A quella vista le folle furono prese da paura/timore e glorificavano Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.
L'evangelista sottolinea il contrasto tra la reazione degli scribi e quella delle folle, e la distanza che esiste tra il popolo e la gerarchia religiosa.
Mentre per gli scribi Gesù è un nemico di Dio (“Bestemmia”), le folle si rendono conto che hanno assistito a un evento che attribuiscono a Dio. Per questo l'evangelista scrive che furono prese da paura/timore, espressione classica che nella Bibbia accompagna le manifestazioni divine (Gen 28,17).
Nella reazione delle folle è possibile notare un'incongruenza dal punto di vista letterario. Le folle glorificano Dio perché: “aveva dato un tale potere agli uomini”.
A quali uomini? È solo Gesù colui che ha cancellato i peccati. Le folle comprendono che la capacità di cancellare i peccati non è esclusiva del figlio dell’uomo, ma è una possibilità per tutti quelli che come lui ricevono lo Spirito. Il plurale uomini è un'estensione di quelli che agiscono come Gesù, come i discepoli, che verranno più avanti invitati a concedere illimitatamente il perdono (Mt 18,22).
La pienezza raggiunta dal Cristo non è un privilegio unico del Figlio dell’uomo, ma Gesù, colui che battezza in Spirito santo (Mt 3,11; Mc 1,8; Lc 3,16; Gv 1,33), comunica ad altri lo stesso Spirito che è in lui. La partecipazione dello Spirito ricevuto da Gesù indica che altri uomini entrano nella via della pienezza umana, e che la denominazione il Figlio dell’uomo include anche loro (“Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”, Gv 1,16).
L’impegno d’amore di Gesù, per quanto eccezionale e straordinario, è dentro le possibilità umane. Figlio dell’uomo è Gesù in quanto il Cristo è colui nel quale risiede la pienezza dello Spirito, ma ogni uomo può tendere a diventare Figlio dell’uomo, modello dello sviluppo umano.
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Compito della comunità del Dio con noi è cancellare le colpe degli altri e comunicare energia vitale che permettono di riprendere il cammino.
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SABATO 13
LA BESTEMMIA ALLO SPIRITO SANTO (MT 12,31)
Gesù ha parlato di libertà dal giogo della Legge, e i discepoli si comportano di conseguenza, ignorando il comandamento del sabato, ritenuto il più importante. L’osservanza di questo unico comandamento garantiva infatti l'ubbidienza del volere di Dio, ma per la sua trasgressione era prevista la pena di morte (Es 31,1415) in quanto la violazione del sabato equivaleva alla disubbidienza di tutta la Legge.
In giorno di sabato è proibito effettuare qualsiasi tipo di lavoro. La casistica farisaica distingueva in trentanove lavori principali, desunti dai trentanove lavori che erano stati necessari per la costruzione del Tempio:
Seminare, arare, mietere, legare i covoni, trebbiare, vegliare, scegliere, macinare, ventilare, impastare, cuocere;
tosare la lana, imbiancarla, cardarla, tingerla, tessere, ordire, fare due fili, intrecciare due fili, separare due fili di una corda, annodare, sciogliere, cucire due punti, strappare il filo per cucire due punti;
cacciare, uccidere, scuoiare, salare, conciare, raschiare, tagliare.
scrivere due lettere dell'alfabeto, cancellare.
costruire, demolire;
accendere un fuoco, spegnerlo;
Battere con il martello;
Portare un oggetto da un posto in un altro (Sab. M. 7,2).
Ognuna di queste azioni era a loro volta suddivisa in trentanove lavori secondari per un totale di millecinquecentoventuno lavori proibiti. Il sabato era inoltre proibito percorrere più di ottocentottanta metri.
È questo il primo sabato che incontriamo nel vangelo di Matteo. Si credeva che se tutto Israele avesse osservato, secondo le prescrizioni della Legge, due sabati consecutivi, sarebbe iniziato subito il regno di Dio.
Mt 12,9 Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga.
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I farisei hanno rimproverato i discepoli di Gesù per la trasgressione del sabato. Gesù non si limita a difendere i suoi seguaci e ammonire i farisei, ma li va ad affrontare sul loro terreno. Per questo va nella loro sinagoga, il luogo dove i farisei imponevano la loro spiritualità al popolo.
Il termine loro sinagoga è un’espressione costante con la quale Matteo prende le distanze dall’istituzione sinagogale giudaica (Mt 4,23; 9,35; 13,54). L’ultima volta che era apparsa la sinagoga era stato per indicarla quale luogo di condanna per i discepoli di Gesù (Mt 10,17).
10 Ed ecco, un uomo con una mano inaridita [xêran]. E chiesero a Gesù «È permesso curare di sabato?», al fine di accusarlo.
Con una descrizione ad effetto (ed ecco) l’evangelista introduce l’unico personaggio presente nella sinagoga: un invalido.
Un uomo con un simile impedimento non può lavorare e quindi vivere dignitosamente. Per di più, secondo la mentalità corrente, l’invalido era tale perché castigato da Dio, come insegna il Talmud: “(Chi vede) un mutilato, un cieco, uno la cui testa è colpita dalla lebbra, uno zoppo, uno che è affetto da un’infiammazione e gli albini: dica “Benedetto il giudice veritiero” (Ber. 58b).
Matteo, attraverso questo personaggio, intende denunciare i nefasti effetti della dottrina farisaica sul popolo: lo rende invalido, senza più speranza. Nella situazione dell’uomo l’evangelista illustra, infatti, quella di tutto il popolo: inaridito, senza più speranza e vita. Per rendere evidente l’identità tra il popolo e l’invalido, Matteo usa per l’infermità di quest’ultimo l’aggettivo inaridito, lo stesso che si trova nel Libro del profeta Ezechiele nella visione della pianura piena di ossa: “Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite [xêra]… queste ossa sono tutta la gente d’Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite [xêra], la nostra speranza è svanita” (Ez 37,2.11).
La domanda posta dai presenti (che al v. 14 saranno esplicitamente identificati nei farisei) a Gesù, non è diretta ad apprendere ma a giudicare e condannare. Essi sanno che in giorno di saba
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to la Legge proibisce di compiere qualunque attività (Es 20,8; Ger 17,2127) e che il Talmud vieta non solo di curare un malato, ma anche di visitarlo: “In sabato non si può raddrizzare una frattura. Colui che si è slogato una mano o un piede non può tenerlo in acqua fredda” (Sab. 22,6). Per i pii farisei, la sofferenza dell’uomo è irrilevante di fronte all’ossequio della Legge divina.
11 Ma egli disse loro «Quale uomo tra voi, avendo una pecora, una (sola), se questa gli cade di sabato in un fosso, non l'afferra e la solleverà?
12 Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso di sabato fare del bene».
I farisei hanno chiesto a Gesù se sia lecito curare in giorno di sabato. Gesù risponde allargando il quesito al valore di ogni uomo, ridicolizzando il comportamento dei farisei per i quali il loro interesse viene prima del bene dell’uomo.
Per Gesù il bene dell'uomo è più importante dell'osservanza dei precetti divini.
Il criterio di quel che è bene e quel che è male, permesso o no, non si basa per Gesù sull'osservanza o no della Legge, ma sul fare del bene, ossia sulla pratica dell'amore, e l'amore non riconosce alcun limite che gli venga posto. Tra il sacrificio da offrire a Dio e la misericordia verso gli uomini, Gesù sceglie quest’ultima (Mt 12,7).
Nel suo esempio Gesù si richiama al rigido regolamento del movimento monastico degli Esseni, monaci contestatori del tempio di Gerusalemme. Costoro sull’osservanza del sabato erano intransigenti: “Nel giorno di sabato nessuno aiuti una bestia a partorire e se cade in una cisterna o in una fossa il giorno di sabato non la si tiri su” (CD XI, 1314). Il rigore degli Esseni si estendeva persino agli uomini: “Se una qualsiasi persona cade in un luogo pieno d’acqua o in un altro luogo nessuno la faccia salire con una scala o con una corda o con qualsiasi altro oggetto” (CD XI, 1617).
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13 Allora dice all'uomo: «Stendi la mano». Egli la stese, e quella ritornò sana come l'altra.
Senza attendere alcuna risposta dai presenti, Gesù compie quel che ha detto: fare del bene. Gesù restituisce con la salute la vita e la dignità all’uomo. Il bene dell’individuo viene prima del rispetto della Legge di Dio.
Quella di Gesù non è stata una scusabile trasgressione involontaria (Nm 15,2229), ma volontaria, pubblica e meditata. Pertanto, il trasgressore del sabato è meritevole della pena di morte (Nm 15,3031), secondo quanto prescritto nel Libro dell’Esodo: “Osserverete dunque il sabato, perché lo dovrete ritenere santo. Chi lo profanerà sarà messo a morte; chiunque in quel giorno farà qualche lavoro, sarà eliminato dal suo popolo. Durante sei giorni si lavori, ma il settimo giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore. Chiunque farà un lavoro di sabato sarà messo a morte” (Es 31,1415; Nm 15,3236).
14 I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui per eliminarlo.
In giorno di sabato per i farisei non è assolutamente permesso curare un uomo, ma si può decidere di assassinarlo.
Quel che guida i farisei è il tornaconto, il proprio interesse e in base a questo interesse tutto diventa lecito. La decisione di eliminare Gesù (la prima che compare in questo Vangelo) è la conseguenza finale della logica aberrante che guida i farisei: secondo la loro fanatica concezione del sabato in questo giorno non si poteva fare del bene (curare) ma fare del male sì (non curare).
I farisei non hanno accolto l’invito di Gesù di imparare cosa significhi che Dio preferisce la misericordia al sacrificio e per questo condannano degli innocenti (Mt 12,7).
A essi non interessa il bene dell’uomo, ma il sacrificio dello stesso a Dio. L'ostentazione delle loro preghiere e dei loro digiuni non serve altro che a camuffare pensieri omicidi.
I farisei decidono di eliminare Gesù perché sta iniziando a mettere in pratica quanto aveva annunciato: la fine del pesante
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giogo della Legge sostituito dal suo giogo, quello dell'amore, e molta gente lo sta seguendo su questa via (Mt 11,29).
15 Ma Gesù, saputolo, si allontanò [anechôrêsen] di là. Molti lo seguirono ed egli li curò tutti,
Il verbo allontanare, adoperato dall’evangelista, è lo stesso che si trova nel Libro dell’Esodo, quando il faraone cercò di uccidere Mosè: “Allora Mosè si allontanò [anechôrêsen] dal faraone e si stabilì nel paese di Madian” (Es 2,15). Come il faraone cercava di uccidere Mosè, così i farisei vogliono eliminare Gesù. Faraone e farisei sono i nemici della libertà degli uomini.
La guarigione che Gesù ha operato nei confronti dell’uomo nella sinagoga viene ora estesa a tutti coloro che con Gesù abbandonano la sinagoga, luogo d’oppressione e di morte. Nonostante sia ancora il sabato, costoro seguono Gesù che li ha liberati dal giogo della Legge: il temuto esodo dalle istituzioni si sta avverando.
16 ordinando loro di non manifestarlo,
17 affinché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia:
18 Ecco il mio figlio che io ho scelto; il mio amato, nel quale mi sono compiaciuto. Porrò il mio Spirito sopra di lui e annunzierà il Diritto ai pagani (le genti) [ethnesin].
19 Non altercherà, né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce.
20 Una canna incrinata non spezzerà, e uno stoppino fumigante non spegnerà, finché abbia fatto trionfare il Diritto;
21 e nel suo nome spereranno i pagani (le genti) [ethnê].
E’ questa la più lunga citazione contenuta nel vangelo di Matteo. L’evangelista vede realizzato in Gesù un testo di Isaia (Is 42,14), che riporta adattandolo liberamente alla sua linea teologica (non usa la traduzione greca dei LXX e traduce liberamente l'ebraico). Il termine greco pais significa sia servo sia figlio. L’espressione “il mio amato nel quale mi sono compiaciuto” che compare tre volte in questo vangelo (nel battesimo, Mt 3,16, in questo brano e nella trasfigurazione, Mt 17,5) è sempre riferita a
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Gesù quale figlio di Dio, e pertanto il greco pais ha qui il significato di figlio.
L’azione del Signore si estende ai pagani e non è limitata a Israele. Compito di Gesù è annunziare il Diritto, la nuova norma di comportamento che rende graditi a Dio e che non consiste più nell'osservanza della Legge ma nella pratica dell'amore estesa a tutti.
Mentre la Legge era prerogativa esclusiva di Israele, l'amore può essere compreso da tutte le nazioni. Questa nuova relazione con Dio la può far conoscere solo il figlio amato, espressione con la quale nella Bibbia s’indica il figlio unico o primogenito, colui che eredita tutta la sostanza del padre, come era Isacco per Giacobbe (Gen 22,2.12.16).
22 Allora gli fu portato un indemoniato cieco e muto, ed egli lo guarì, sicché il muto parlava e vedeva.
Strettamente legato a quanto affermato riguardo alla missione di Gesù (allora) l’evangelista colloca un altro episodio avente come tema la liberazione dell'uomo. Per descrivere l’azione liberatrice di Gesù l'evangelista non adopera il verbo scacciare [gr. ekballô] come nell’altro caso in cui Gesù ha scacciato il demonio dal muto (Mt 9,3233; 10,8), ma guarire, usando lo stesso verbo adoperato nell’episodio della guarigione dell'uomo dalla mano inaridita.
Con questo accorgimento l’evangelista intende unire tematicamente i due episodi: in entrambi Gesù libera il popolo dal dominio dell'istituzione giudaica. È l'adesione all'istituzione religiosa quel che indemonia gli uomini, accecandoli con l’ideologia nazionalista che li rende muti e incapaci di dialogo. Per questo la reazione della folla è di sconcerto:
23 E tutta la folla era sconvolta e diceva «Ma costui non è il figlio di Davide?».
La folla è perplessa e si chiede come mai Gesù liberi la gente dall'idea di supremazia d’Israele sugli altri popoli, che è propria del Messia “figlio di Davide” (“Terrà i popoli dei pagani
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sotto il suo giogo per servirlo e renderà gloria al Signore sotto gli occhi di tutta la terra”, Sal Salom. 17,30).
Non doveva il Messia figlio di Davide estendere il regno d’Israele conquistando e sottomettendo gli altri popoli? L’evangelista comincia a insinuare nel lettore che Gesù non sia figlio di Davide, ma, come verrà affermato da Pietro a Cesarea di Filippo, il figlio del Dio vivente (Mt 16,16). Gesù non assomiglierà a Davide, il re che toglieva la vita ai nemici, ma al Padre, colui che a tutti comunica amore e vita.
24 Ma i farisei, udendo questo, presero a dire «Costui scaccia i demòni mediante Beelzebùl, capo dei demòni».
Ogni volta che Gesù compie azioni volte a liberare il popolo, spuntano puntuali i farisei allarmati (Mt 9,11.34; 12,2.24; 15,1; 19,3).
L'opera di liberazione compiuta da Gesù inizia a sgretolare quella che era la certezza basilare d’Israele: di essere il popolo eletto chiamato a dominare tutte le altre nazioni (“Il popolo e il regno che non vorranno servirti periranno e le nazioni saranno tutte sterminate”, Is 60,12).
E i farisei passano alla controffensiva. Non potendo negare gli evidenti effetti positivi dell’azione di Gesù, tentano di diffamare i motivi, e senza molta fantasia rinnovano a Gesù l'accusa, già espressa in occasione della guarigione del muto indemoniato, di scacciare i demòni per opera “del capo dei demòni” (9,34), del quale questa volta forniscono pure il nome: Beelzebùl.
Tra i tanti demòni che popolavano il mondo giudaico, i farisei scelgono il temuto Beelzebùl, forma dispregiativa di Baal Zebub. Questo nome, composto da Baal [Signore], e Zebub [mosche] («Signore delle mosche»), è quello di una divinità filistea protettrice delle malattie, delle quali le mosche erano veicolo. Poiché a Baal Zebub si rivolgevano anche gli israeliti per ottenere la guarigione (lo stesso re Acazia si era rivolto per sapere se sarebbe guarito dalla sua infermità, 2 Re 1,2.6.16), i farisei deformarono il suo nome in Zebul, che significa letame.
Mentre BaalZebub guariva, proteggendo dalle mosche, BaalZebul, «Signore del letame», le attirava e infettava la gente.
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Con questa calunnia i farisei invitano il popolo a stare alla larga da Gesù perché, anche se apparentemente libera e guarisce le persone, in realtà le rende ancora più vittime del demònio, in quanto i suoi poteri gli vengono dal «capo dei demòni».
25 Ma egli, conosciuto i loro pensieri, disse loro «Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi.
26 Ora, se il satana scaccia il satana, egli è discorde con se stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno?
27 E se io scaccio i demòni mediante Beelzebùl, i vostri figli mediante chi li scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici.
Gesù svela la stupidità dell’accusa dei farisei mostrando la contraddizione delle loro argomentazioni: come può il satana essere in lotta contro se stesso? Se i satani si mettono in guerra tra loro, vuol dire che il potere del satana è finito. I vostri figli sono discepoli dei farisei che praticavano gli esorcismi: se Gesù, che libera le persone, agisce in nome del satana, i farisei e i loro adepti che in nome di chi agiscono? Non potendo avere due spiegazioni diverse per una stessa attività, l'accusa dei farisei tradisce la loro mala fede.
28 Ma se io mediante lo Spirito di Dio scaccio i demòni, è certo giunto fra voi il regno di Dio.
La conclusione logica dell’argomentazione di Gesù è che la liberazione da lui portata è opera dello Spirito di Dio, e segno dei benefici effetti del regno di Dio che si sta già estendendo.
29 Come potrebbe uno penetrare nella casa del forte e rapirgli i suoi beni, se prima non lega [dêsê] il forte? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa.
Il regno del satana non si sgretola per una lotta intestina tra i satani, ma perché si è manifestato qualcuno più forte del satana, e più forte del satana e dei demòni c'è solo il Dio che si manifesta in Gesù, il Cristo annunciato da Giovanni Battista come colui
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“che è più forte” (Mt 3,11). Per questo l’azione di Gesù sarà quella di saccheggiare l'istituzione religiosa, qui rappresentata dai farisei, liberando le persone a loro sottomesse.
Gesù, con la forza dello Spirito di Dio saccheggia la casa del satana. Il Cristo e il suo messaggio di liberazione hanno la forza di legare il satana e così saccheggiargli la casa, liberando le persone sotto il suo dominio.
Ma le autorità religiose, anziché collaborare con Gesù per legare il satana, saranno loro, veri agenti del satana, a legare Gesù per impedire la liberazione del popolo: “Tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo legarono [dêsantes], lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato” (Mt 27,12).
30 Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.
Raccogliere/disperdere sono verbi che si riferiscono alla riunione o dispersione del popolo di Israele (Ez 34,13.16; Is 40,11; 49,6).
La neutralità nei confronti di Gesù non è possibile: chi segue i farisei andrà con essi verso la rovina e la distruzione, chi segue Gesù realizzerà con lui il regno di Dio. Gesù invita a collaborare con lui per raccogliere i beni (persone) saccheggiati al satana.
31 Perciò io dico a voi: Qualunque peccato e calunnia/bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la calunnia/bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata.
Poiché l'insegnamento di Gesù gettava il discredito sulla loro dottrina, i farisei si difendono calunniando l'uomo sul quale è disceso lo Spirito di Dio (Mt 3,16), dichiarandolo posseduto da uno spirito impuro.
I farisei, profondi conoscitori della Scrittura, non possono ignorare che l'azione di Gesù può venire solo da Dio, ma poiché ammetterlo significa dover rinunciare ai propri privilegi e al proprio prestigio, affermano il contrario.
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Rivolgendosi direttamente ai farisei (dico a voi) Gesù li ammonisce che dichiarare impuro l'agire dello Spirito di Dio, è la calunnia/bestemmia contro lo Spirito, frutto di una malafede che mai si ravvederà e che quindi mai sarà perdonata.
32 E chiunque dica una parola contro il Figlio dell'UOMO gli sarà perdonato; ma chi avrà parlato contro lo Spirito, quello santo, non gli sarà perdonata né in questo tempo, né in quello futuro.
Gesù scusa chi non comprendendo il suo comportamento libero e indipendente dalle Leggi lo criticherà, per questo afferma che quel che è frutto dell'ignoranza o della fragilità delle persone verrà tutto perdonato. Ma il Signore ritiene imperdonabile il comportamento di quanti pur di non perdere il proprio prestigio “chiamano bene il male e male il bene”, come denuncia il profeta Isaia (Is 5,20).
I farisei, sentenziando che in Gesù opera uno spirito impuro, si escludono dalla possibilità di chiedere e ricevere il perdono da colui che ritengono indemoniato.
All'estrema indulgenza di Gesù verso coloro che sono nell'errore (gli uomini), si contrappone la massima severità nei confronti di coloro che volontariamente fanno cadere gli uomini in errore (i farisei).
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DOMENICA 14
LA BESTEMMIA DEL FIGLIO DI DIO (MT 26,65)
Gesù non muore, come i grandi fondatori delle religioni, attorniato dai discepoli, ma nella più completa solitudine. Tutti lo hanno abbandonato (Mt 26,56).
Immediatamente dopo la preghiera di Gesù nel Getsèmani, infatti, la situazione precipita e si succedono in un crescendo di violenza i momenti della cattura, condanna e morte del Messia di Dio.
Il processo a Gesù ricorda quello intentato contro il profeta Geremia reo di aver profetizzato la rovina del Tempio e per questo ritenuto dai sacerdoti colpevole di morte (Ger 26,112).
Mt 26,57 Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani.
Gesù viene portato direttamente al palazzo del sommo sacerdote Caifa, la più alta autorità del popolo giudaico. Costui è il vero mandante dell’arresto di Gesù (Mt 26,47).
I sommi sacerdoti si erano già radunati insieme con gli anziani del popolo nel palazzo di Caifa (Mt 26,3) per ordire la cattura e morte di Gesù. Accanto agli anziani (aristocrazia civile / potere economico) l'evangelista indica, in questo nuovo raduno dell’alto tribunale giudaico, la presenza degli scribi, rappresentanti dell’insegnamento ufficiale e anche loro membri del Sinedrio. Per le sessioni ufficiali non era previsto che il tribunale si radunasse nella casa del sommo sacerdote. L’intenzione di quanti hanno arrestato Gesù non è quella di fargli un processo legale, ma di trovare l’accusa per poterlo condannare a morte, sentenza che è stata già decisa (Mt 26,4).
26,58 Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote e, entrato dentro, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.
Pietro si era dichiarato di essere pronto a morire con Gesù (Mt 26,35), per questo, invece della fuga, lo segue di sua iniziativa, ma
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da lontano. Quella di Pietro non è una vera sequela, come si vedrà al momento del rinnegamento, perché questo discepolo è incapace di condividere il destino di Gesù. Pietro ancora insegue un’idea falsa di Messia, quello che si deve scontrare con le autorità religiose e spodestarle dal loro dominio sul popolo.
È questa falsa speranza che porta Pietro a introdursi nel palazzo di Caifa. Il termine che adopera Matteo (gr. aulé) può significare tanto palazzo quanto cortile. Qui si tratta del cortile interno del palazzo, dove Pietro si ferma tra i servi del sommo sacerdote, coloro che hanno arrestato Gesù, e si siede tra loro. Egli è ancora persuaso che Gesù si opporrà ai suoi avversari, per questo vuole vedere quale sarà la conclusione.
Ma, mettendosi dalla parte dei servitori, Pietro dimostra la scelta fatta. L'evangelista è radicale o si sta con Gesù nella sfera della vita e della libertà o si finisce con i servi nell'ambito di morte.
26,59 I sommi sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte;
L’evangelista denuncia che in realtà tutto era già stato deciso. Non si tratta di fare un processo a Gesù per dichiarare se l’accusato sia colpevole o innocente, ma di trovare il modo per ucciderlo.
La falsa testimonianza, calunnia con la quale si mandava qualcuno a morire, era considerata un crimine talmente grave da essere elencata nel decalogo (Es 20,16). I sommi sacerdoti, cultori e difensori della Legge data da Dio, sono in realtà i primi a non tenerne conto quando essa va contro i loro interessi. L'intento del Sinedrio, la suprema autorità giudaica in campo giudiziario, non è quello di giudicare un uomo, ma eliminare un pericolo per la loro istituzione. Coloro che sono ossessionati dalle norme di purità rituale, non si rendono conto dell’impurità che risiede nel loro cuore (“dal cuore vengono… false testimonianze”, Mt 15,19).
Da parte dei sommi sacerdoti non c'è nessuna ricerca della verità ma l'imposizione della menzogna. Qualunque mezzo, pur ingiusto che sia, è lecito, pur di mettere al sicuro il proprio potere (“mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male, per causa mia”, Mt 5,11). I rappresentanti dell’istituzione si comportano come i malvagi
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che non conoscono la Legge, ma ritengono che “la forza sia regola della giustizia” (Sap 2,11).
26,60 ma non ne trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni.
Il processo, per essere legale, doveva tener conto dei testimoni, tanto per accusare quanto per difendere l’imputato. L’impossibilità di trovare testimoni contro Gesù fa risaltare ancora di più l’innocenza del Cristo.
Il Sinedrio non riesce trovare capi d’accusa contro Gesù nonostante la presenza dei molti falsi testimoni, gente che pur di assecondare e compiacere i detentori del potere, sono disposti con le loro menzogne a trasgredire la Legge di Dio.
26,61 Alla fine, se ne presentarono due, dicendo: «Costui ha detto: Posso distruggere il santuario [naon] di Dio e ricostruirlo in tre giorni».
Due testimoni sono il numero richiesto per sostenere la validità di un'accusa, in base a quanto prescritto ne Libro del Deuteronomio (Dt 17,6; 19,15). Secondo questi testimoni Gesù avrebbe minacciato di distruggere il santuario (il Santo dei santi), cioè il luogo della presenza divina, il più sacro all’interno dell’area del Tempio, il luogo dove si offriva quotidianamente l’incenso al Signore.
Le frasi per le quali Gesù viene accusato in realtà non sono mai state da lui pronunciate. Gesù ha profetizzato la rovina del Tempio [ierou], e non del Santuario [naon] e non per mano sua (Mt 24,2).
Con questa accusa Gesù viene denunciato di essersi proposto come il Messia, in quanto solo il Messia poteva distruggere e ricostruire il Tempio, per restaurare la sua gloria e aumentare il suo splendore. Ce n’è più che a sufficienza per accusare il Cristo di essere un sobillatore politico.
I tre giorni alludono indirettamente alla risurrezione di Gesù, che sarà messo a morte “ma il terzo giorno risusciterà” (Mt 16,21; 17,22; 20,19). I testimoni, senza volerlo, anticipano gli effetti della morte di Gesù, quando egli si rivelerà come il vero santuario dove Dio si manifesta, e che rende ormai inutile il Tempio, la casa di Dio
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diventata una spelonca di briganti e ormai destinata alla distruzione (Mt 24,2).
26,62 Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?».
63 Ma Gesù taceva.
Visto che le accuse non hanno ottenuto il risultato sperato, Caifa interviene in qualità di giudice supremo e chiede a Gesù un suo pronunciamento. Il più alto rappresentante dell’istituzione religiosa, del quale Matteo non menziona il nome per indicare che in questo momento è il rappresentante dell’intero Sinedrio, interroga personalmente Gesù. Ma Gesù rimane in silenzio, dimostrando in questo modo di non riconoscere l’autorità di quel tribunale che l’accusa in malafede.
Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio».
L’assenza di risposta da parte di Gesù fa sì che il sommo sacerdote intervenga ancora con una domanda per sapere se egli sia o no il Messia, per avere così un motivo sufficiente per condannare il Cristo davanti a Pilato come agitatore politico.
Ritenuto figlio di Dio, il Messia, in quanto suo protetto (2 Sam 7,14; Sal 89,27; 2,7; Sap 2,1820), avrebbe trionfato sui suoi nemici. È questo ciò che veramente preoccupa il sommo sacerdote e tutto il Sinedrio, essi sanno di essere i veri nemici del Signore, del quale hanno usurpato il ruolo impadronendosi del suo popolo, e temono l’arrivo del suo Messia.
26,64 «Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico: d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'UOMO seduto alla destra della Potenza [dynameôs], e venire sulle nubi del cielo».
Gesù risponde al sommo sacerdote con le identiche parole con le quali ha risposto a Giuda “tu l'hai detto” (Mt 26,25); in questa maniera l’evangelista unisce i due traditori del loro Signore.
Nella sua risposta Gesù allude al Salmo nel quale Dio dice al Messia: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sga
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bello dei tuoi piedi” (Sal 110,1). Gesù identifica il “Figlio dell’uomo” con il Messia Figlio di Dio. Per Gesù è il Figlio dell’uomo, ovvero l’uomo nella sua pienezza umano divina, colui che siede accanto a Dio nello splendore della gloria divina.
La prova che Gesù è figlio di Dio sarà confermata dalla protezione che Dio stesso estenderà su di lui, fino al punto da salvarlo dalla morte risuscitandolo (“sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” At 2,36).
Le nubi del cielo sono un'allusione al testo profetico di Daniele (7,13: “ecco apparire sulle nubi del cielo uno simile a un figlio di uomo giunge fino al vegliardo e fu presentato a lui”), e nella simbolica dell’AT sono uno degli attributi della divinità.
Se la domanda del sommo sacerdote riguardava la figliolanza divina intesa quale protezione concessa da Dio al suo Messia, la risposta di Gesù, che provocherà la stizzita reazione del sommo sacerdote, riguarda la sua divinità, che Gesù riafferma, collocandosi alla destra di Dio.
26,65 Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia;
66 che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!».
L'unica volta che Gesù, il “Dio con noi” (Mt 1,23) rivolge la sua parola al massimo rappresentante dell'istituzione religiosa, costui la ritiene una bestemmia e, come tale, meritevole di morte (Lv 24,16).
Ora non è più tanto la pretesa di Gesù di essere il Messia, quanto il suo considerarsi uguale a Dio ciò che deve essere severamente punito. Quel che Gesù afferma è una bestemmia perché attenta all’unicità di Dio.
Non c’è più bisogno alcuno di testimoni.
Di fronte all'uomoDio, capace di comunicare vita, la reazione del sommo sacerdote è di morte, e Caifa ratifica la sentenza emessa a suo tempo dagli scribi in occasione della guarigione e del perdono dei peccati al paralitico (“costui bestemmia”, Mt 9,3).
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Il gesto di stracciarsi le vesti era contemplato nel Talmud come dovere del giudice all'udire una bestemmia (“i giudici in piedi stracciano le loro vesti in modo che non si possono più ricucire”, San. M. 7,5).
L'espressione scandalizzata del sommo sacerdote, “Ecco”, non denota meraviglia, ma qualcosa che già si conosceva (Mt 9,3) e che finalmente ora è stato svelato (“vedete che...”). Tutti i membri del Sinedrio dichiarano all’unisono che Gesù è reo di morte.
La condanna a morte di Gesù, presentato dall’evangelista come modello di umanità, è la bestemmia contro lo Spirito (Mt 12,31). Il peccato imperdonabile è commesso dai massimi rappresentanti della religione. Coloro che erano considerati i pastori d'Israele, in realtà sono più pericolosi dei lupi (Ger 23,2), e quelli che ambivano al titolo di guide conducono il popolo alla rovina.
Condannare Gesù come un criminale vuol dire infatti rifiutare completamente l’amore di Dio per l’uomo e impedire l’attuazione del progetto del Creatore. Il peccato è il rifiuto della pienezza di vita che Dio vuole comunicare agli uomini.
26,67 Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono;
Il Sinedrio al completo si rivolta contro Gesù, scatenando contro di lui tutto l’odio finora represso. Dimostrano così che la sentenza pronunciata contro Gesù non è altro che l’espressione di una criminale vendetta. La corte suprema d’Israele non è composta da uomini che applicano la Legge, ma dai “peccatori” che rifiutano con lo scherno e con l’odio il Figlio dell’uomo, il modello d’umanità che Dio ha proposto al mondo.
Quando le massime autorità religiose riescono a mettere, per la prima volta, le mani sull'uomoDio, danno sfogo al loro furore in un crescendo di violenza che inizia con un gesto profondo disprezzo, lo sputo in faccia (Nm 12,14; Dt 25,9).
La descrizione dello scherno subito da Gesù ricorda la sorte del Servo del Signore in Is 50,6: “ho offerto le mie guance a chi mi percuoteva, non ho sottratto il mio volto agli affronti e agli sputi”.
Il furore riversato contro Gesù, esprime tutto l’odio dei capi religiosi verso il Figlio dell’uomo, colui che ha realizzato in sé il progetto del Creatore. Che l’uomo diventi figlio di Dio è un pericolo
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mortale per l’istituzione religiosa che pretende di essere l’unica rappresentante e mediatrice di questo Dio. I sommi sacerdoti sanno che se gli uomini raggiungono la condizione divina diventano ingovernabili perché instaurano un rapporto intimo, interiore, vivo e fecondo con il loro Dio e non possono più essere sottomessi.
altri lo bastonavano,
26,68 dicendo: «Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?».
Burlano Gesù e la sua immagine di Dio. Gesù ha annunciato l’esaltazione del Figlio dell’uomo, seduto alla destra di Dio; ora lo ridicolizzano chiedendogli di profetizzare, cioè di indovinare, nella sua qualità di inviato di Dio, l’identità di chi lo percuote.
Per i membri del Sinedrio il loro Signore è un Dio di potenza e se veramente Gesù ne fosse l'inviato o il figlio, dovrebbe sapere chi è che lo sta colpendo. Per i detentori del potere un Dio impotente è un dio falso.
Gesù non risponde alle provocazioni, e va incontro alla morte per crocifissione, come un maledetto da Dio (Dt 21,22; Gal 3,13).
Conclusione
Gesù non viene assassinato dai cattivi, ma dai buoni, le persone religiose e pie, che hanno agito in nome della religione e per la difesa dell’onore di Dio (Gv 19,7).
Tra religione e Dio c’è assoluta incompatibilità.
L'uno esige la distruzione dell'altro. Il massimo rappresentante della religione, il sommo sacerdote, in nome di Dio, condanna a morte il Figlio di Dio (Mt 26,6567).
Dio e religione non si tollerano: insieme non possono stare.
Tentare di farli convivere è cercare di mettere assieme il “vino nuovo in otri vecchi”, con il risultato che “il vino si spande e gli otri si perdono” (Mt 9,17).
Dio ha da sempre (“In principio”, Gv 1,1; Gen 1,1) un meraviglioso progetto sull’umanità: annullare ogni distanza che lo separa dall'uomo e renderlo uguale a sé.
Questo progetto è per la religione un’idea pericolosissima: una minaccia ai propri privilegi (“Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui”, Gv 11,48), un crimine che solo la morte può
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cancellare: “I Giudei cercavano di ucciderlo… perché chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Gv 5,18).
La religione vive sulla distanza che c’è tra Dio e l’uomo. E questa distanza giustifica il bisogno di rappresentanti, momenti e luoghi speciali che permettano all’uomo di incontrarsi con Dio.
Che l'uomo possa rispondere all'appello del Signore e, accogliendo Gesù, diventare figlio di Dio (Gv 1,12) annullando ogni distanza col Padre, è per la religione una bestemmia da punire con la morte: “Non ti lapidiamo per una buona opera, ma per la bestemmia; e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio” (Gv 10,33), ma per la fede è l’unica maniera che l’uomo ha per realizzare pienamente se stesso.

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