Piccolo Corso Biblico

CORPO E CORPOREITA'



FILOSOFIE E TEOLOGIE DEL CORPO
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LETTERA PASTORALE SULLA SESSUALITÀ UMANA
della CONFERENZA EPISCOPALE DELLA SCANDINAVIA-Quinta domenica di Quaresima 2023

Cari fratelli e sorelle,
I quaranta giorni di Quaresima sono un richiamo ai quaranta giorni in cui Cristo digiunò nel deserto. Ma non solo. Nella storia della salvezza, i tempi di quaranta giorni segnano varie tappe nell’opera della redenzione portata avanti da Dio e che continua ancor oggi.

Un primo intervento ebbe luogo ai giorni di Noè. Avendo visto la rovina operata dall’uomo (Genesi 6,5), il Signore sottopose la terra a un battesimo purificatorio. “Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti” (Genesi 7,12). Da qui un nuovo inizio. Quando Noè e i suoi parenti tornarono in un mondo ripulito dall’acqua, Dio fece il suo primo patto con “ogni carne”. Promise che mai più il diluvio avrebbe distrutto la terra.

Agli uomini chiese giustizia: onorare Dio, costruire la pace, essere fecondi. Siamo chiamati a vivere beati sulla terra, a trovare gioia gli uni negli altri. Il nostro potenziale è meraviglioso finché ricordiamo chi siamo: “perché a immagine di Dio, Egli ha fatto l’uomo” (Genesi 9,6).

Siamo chiamati a dare compimento a questa immagine attraverso le scelte di vita che facciamo. Per ratificare la sua alleanza, Dio pose un segno nel cielo: “Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando apparirà l’arco sulle nubi, io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra” (Genesi 9,13, 16).

Il segno dell’alleanza, l’arcobaleno, oggi è rivendicato come simbolo di un movimento allo stesso tempo politico e culturale. Riconosciamo quanto c’è di nobile nelle aspirazioni di questo movimento. Le condividiamo nella misura in cui parlano della dignità di tutti gli esseri umani e del loro desiderio di visibilità.

La Chiesa condanna ogni ingiusta discriminazione, qualunque sia, anche quella che si fonda sul genere o sull’orientamento sessuale. Dissentiamo da esso, tuttavia, quando il movimento propone una visione della natura umana che astrae dall’integrità incarnata della persona, come se il sesso fosse qualcosa di accidentale.

E ci opponiamo quando tale visione viene imposta ai bambini come una verità provata e non un’ipotesi ardita, e imposta ai minori come un pesante carico di autodeterminazione al quale non sono preparati.


È curioso: la nostra società tanto preoccupata per il corpo, di fatto lo prende alla leggera, rifiutando di vedere il corpo come segno di identità, e supponendo di conseguenza che l’unica individualità sia quella prodotta dall’autopercezione soggettiva, costruendo noi stessi a nostra immagine.

Quando professiamo che Dio ci ha fatti a sua immagine, questa non si riferisce solo all’anima. Appartiene misteriosamente anche al corpo. Per noi cristiani il corpo è legato intrinsecamente alla personalità. Noi crediamo alla risurrezione del corpo. Naturalmente, “saremo tutti trasformati” (1 Corinzi 15,51).

Cosa sarà il nostro corpo nell’eternità è difficile immaginarlo.

Crediamo nell’affermazione biblica, fondata sulla tradizione, che l’unità di mente, anima e corpo durerà per sempre. Nell’eternità saremo riconoscibili per quello che già ora siamo, però gli aspetti conflittuali che ancora impediscono lo sviluppo armonioso del nostro vero sé saranno stati risolti.

“Per grazia di Dio sono quello che sono” (1 Corinzi 15,10). San Paolo ha dovuto lottare con se stesso per fare in fede questa affermazione. Così, abbastanza spesso, anche noi. Siamo consapevoli di tutto ciò che non siamo; ci concentriamo sui doni che non abbiamo ricevuto, sull’affetto o sull’affermazione che manca nella nostra vita. Queste cose ci rattristano. Vogliamo rimediare. A volte è ragionevole. Spesso è inutile.

Il cammino dell’accettazione di noi stessi passa attraverso il nostro impegno con ciò che è reale. La realtà della nostra vita abbraccia le nostre contraddizioni e ferite. La Bibbia e le vite dei santi mostrano che le nostre ferite possono, per grazia, diventare fonti di guarigione per noi stessi e per gli altri.

L’immagine di Dio nella natura umana si manifesta nella complementarità del maschile e del femminile. L’uomo e la donna sono creati l’uno per l’altra: il comandamento di essere fecondi dipende da questa reciprocità, santificata nell’unione nuziale.

Nella Scrittura, il matrimonio dell’uomo e della donna diventa immagine della comunione di Dio con l’umanità, che sarà perfetta nelle nozze dell’Agnello alla fine della storia (Apocalisse 19,6).

Non significa che tale unione, per noi, sia facile o indolore. Ad alcuni sembra un’opzione impossibile. Ad un livello interiore, l’integrazione di caratteristiche maschili e femminili può essere ardua. La Chiesa lo riconosce. Desidera abbracciare e consolare tutti coloro che vivono con difficoltà questa problematica.

Come vostri vescovi vogliamo sottolineare che siamo qui per tutti, per accompagnare tutti. Il desiderio di amore e la ricerca di un’integrazione sessuale tocca intimamente gli esseri umani. Sotto questo aspetto siamo vulnerabili. Ci vuole pazienza nel cammino verso l’integrazione, e gioia per ogni passo ulteriore.

C’è già, per esempio, un enorme salto di qualità nel passare dalla promiscuità alla fedeltà, indipendentemente dal fatto che la relazione stabile corrisponda pienamente o meno all’ordine oggettivo di un’unione nuziale sacramentalmente benedetta.

Ogni ricerca di integrazione è degna di rispetto, merita incoraggiamento. La crescita in saggezza e virtù ha uno sviluppo organico. Avviene gradualmente. Allo stesso tempo la crescita, per dare buoni risultati (o per essere feconda), deve procedere verso una meta.

La nostra missione e il nostro compito di vescovi è indicare il cammino pacificante e vivificante dei comandamenti di Cristo, stretto all’inizio, ma che si dilata man mano che avanziamo. Mancheremmo nei vostri confronti se offrissimo di meno.

Non siamo stati ordinati per predicare nostre piccole nozioni. Nell’ospitale fraternità della Chiesa c’è posto per tutti. La Chiesa, dice un antico testo, è “la misericordia di Dio che scende sugli uomini” (dal midrash siriaco del IV secolo “La Caverna dei Tesori”). Questa misericordia non esclude nessuno, ma stabilisce un alto ideale . L’ideale è enunciato nei comandamenti, che ci aiutano a crescere rispetto a concezioni di sé troppo anguste.

Siamo chiamati a diventare donne e uomini nuovi. In tutti noi ci sono elementi caotici che vanno messi in ordine. La comunione sacramentale presuppone un consenso coerentemente vissuto alle condizioni poste dall’alleanza sigillata nel sangue di Cristo.

Può accadere che le circostanze rendano impossibile a un cattolico ricevere i sacramenti per un certo periodo. Non è per questo che cessa di essere membro della Chiesa. L’esperienza d’esilio interiore abbracciato nella fede può portare a un più profondo senso di appartenenza.

Nelle Scritture gli esili spesso ci rivelano questo. Ognuno di noi ha un esodo da fare, ma non camminiamo soli. Il segno della prima alleanza di Dio ci circonda anche nei momenti di prova. Ci chiama a cercare il senso della nostra esistenza, non tanto nei frammenti di luce dell’arcobaleno, ma nella fonte divina dello spettro pieno e meraviglioso che è di Dio e che ci chiama ad essere simili a Dio.

Come discepoli di Cristo, immagine di Dio (Colossesi 1,15), non possiamo ridurre il segno dell’arcobaleno a qualcosa di meno del patto vivificante tra il Creatore e la creazione.

Dio ci ha conferito “beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventassimo per loro mezzo partecipi della natura divina” (2 Pietro 1,4). L’immagine di Dio impressa nel nostro essere richiama la santificazione in Cristo. Qualsiasi considerazione del desiderio umano che ponga l’asticella più in basso di questo è inadeguato da un punto di vista cristiano.

Ora, le nozioni di ciò che significa essere umano, e quindi essere sessuato sono in divenire. Ciò che oggi è dato per scontato domani può essere rifiutato. Chiunque scommette molto su teorie passeggere rischia di essere assai mortificato. Abbiamo bisogno di radici profonde.

Cerchiamo allora di appropriarci dei principi fondamentali dell’antropologia cristiana, mentre ci avviciniamo con amicizia, con rispetto, a coloro che si sentono estranei ad essi. Lo dobbiamo al Signore, a noi stessi e al nostro mondo, per rendere conto di ciò in cui crediamo e del perché crediamo che sia vero.

Molti sono perplessi sull’insegnamento cristiano tradizionale sulla sessualità. A questi offriamo un’amichevole parola di consiglio. Innanzitutto: cercate di familiarizzare con la chiamata e la promessa di Cristo, di conoscerlo meglio attraverso le Scritture e nella preghiera, attraverso la liturgia e lo studio di tutto l’insegnamento della Chiesa, non solo attraverso frammenti presi qua e là. Partecipate alla vita della Chiesa. Così si amplierà l’orizzonte delle domande dalle quali siete partiti, e anche la vostra mente e il vostro cuore.

In secondo luogo, consideriamo i limiti di un discorso puramente laico sulla sessualità. Ha bisogno di essere arricchito. Abbiamo bisogno di termini adeguati per parlare di queste cose importanti. Avremo un contributo prezioso da offrire se recupereremo la natura sacramentale della sessualità nel disegno di Dio, la bellezza della castità cristiana e la gioia dell’amicizia, che mostra quale grande intimità liberatrice si può trovare anche nelle relazioni non sessuali.

Il punto dell’insegnamento della Chiesa non è quello di ridurre l’amore, ma di realizzarlo.

Alla fine del prologo, il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 ripete un passo del Catechismo Romano del 1566: “Tutta la sostanza della dottrina e dell’insegnamento deve essere orientata alla carità che non avrà mai fine. Infatti sia che si espongano le verità della fede o i motivi della speranza o i doveri dell’attività morale, sempre e in tutto va dato rilievo all’amore di nostro Signore. Così da far comprendere che ogni esercizio di perfetta virtù cristiana non può scaturire se non dall’amore, come nell’ amore ha d’altronde il suo ultimo fine” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 25; cfr. Catechismo Romano, Prefazione 10; cfr. 1 Corinzi 13,8).

Da questo amore è stato fatto il mondo, e ha preso forma la nostra natura. Questo amore si è reso manifesto nell’esemplarità di Cristo, nel suo insegnamento, nella sua passione salvifica e nella sua morte. L’amore ha trionfato nella sua gloriosa risurrezione, che celebreremo con gioia durante i cinquanta giorni della Pasqua. La nostra comunità cattolica, dalle molte sfaccettature e dai tanti colori, possa testimoniare questo amore nella verità.


Czeslaw Kozon, Copenaghen, presidente
Anders Cardinale Arborelius, Stoccolma
Peter Bürcher, Reykjavik
Bernt Eidsvig, Oslo
Berislav Grgic, Tromso
Marco Pasinato, Helsinki
David Tencer, Reykjavik
Erik Varden, Trondheim
Il Corpo nella cultura occidentale
Teologia del corpo .Nella storia del cristianesimo ci furono periodi in cui le filosofie e teologie del corpo oscillavano tra il rigorismo e il lassismo .

Così fu per lo gnosticismo che influenzò anche le comunità cristiane dei dei primi secoli il quale oscillava fra rigore ed lassismo.

Se da un lato l' etica gnostiva affermava una valutazione negativa della materia e del corpo che spingeva alcuni gruppi ad astenersi anche dal matrimonio e dalla procreazione, fino ad arrivare all'ascetismo più rigoroso (Saturnino, encratiti ), dall'altro v'era la convinzione di altri gruppi che l'anima fosse assolutamente estranea al mondo materiale e questo portava a considerare in termini relativistici ogni atto connesso con il corpo ( Basilide, Carpocrate, barbelognostici, fibioniti , cainiti).
Puritanesimo protestante e Giansenismo cattolico. di Massimo Introvigne 16-05-2011 - http://www.labussolaquotidiana.it

" Il Giansenismo (sec. XVII-XVIII) fu la reazione al lassismo teorico dei teologi moralisti che dal probabilismo , sistema che ritiene lecito seguire un’opinione solidamente probabile, erano scivolati nella casistica , la tendenza a formarsi non sui grandi principi ma sulle applicazioni particolari e dalla casistica erano caduti nel lassismo , che ritiene lecito seguire un’opinione non solidamente fondata e nel lassimo pratico che consisteva nei costumi corrotti di molti fedeli ed ecclesiastici .

E’ significativo l’elogio che venne fatto a qualche teologo del Seicento, chiamato “ Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” perché era riuscito ad eliminare dall’elenco dei suoi peccati il duello (che allora era scusato con facilità), l’infedeltà e il piacere, etc.….
Principali esponenti del Giansenismo
Cornelius Jansen (1585–1638), professore alla Old University di Louvain.

- + Cornelius Janssen (1585-1638)
- + Du Vergier (abate di Saint-Cyran) (1581-1643) De la fréquente comunion (1643): necessità di tornare alla prassi della chiesa primitiva, che ammetteva alla comunione solo dopo una lunga e severa penitenza (Eucaristia premio per i santi, non un rimedio per i peccatori)
- + Antoine Arnauld (1612-1694)
- + Jacqueline (Angélique) Arnauld (1591-1661) abbadessa del monastero di Port Royal des Champs - diventa il centro spirituale dei giansenisti, tra gli altri Racine e Pascal (cfr, Le lettere provinciali) .
B. Pascal accusava i Gesuiti di lassimo pratico ma Sant’Alfonso de Liguori , maestro comune di teologia morale, demolì il mito del lassismo pratico attribuito ai gesuiti: « Le opinioni dei gesuiti non sono né eccessivamente libere né eccessivamente rigide, ma mantengono un corretto equilibrio». (A.M. de’ Liguori, cit. in W.V. Bangert, Storia della Compagnia di Gesù)
Dottrine Giansenio nega il carattere soprannaturale dello stato di giustizia originale : la natura umana, intrinsecamente corrotta, ha perso la vera libertà (mantenendo solo l'immunità dalla coazione esterna); la volontà umana dunque segue necessariamente la grazia, se le viene offerta (non è sempre concessa agli uomini ) altrimenti seguono la concupiscenza e peccano). ... per i giansenisti, vi sono precetti divini per il cui adempimento mancano all’uomo le energie necessarie; e nel caso riceva queste energie, ossia la grazia di Dio, ormai non è più libero di compiere l’opera buona. Di fronte a un Dio arbitro assoluto della nostra sorte l’atteggiamento più spontaneo è il timore, non l’amore!

Rigorismo: visione negativa delle opere dei peccatori ,rifiuto del probabilismo , cumulo di condizioni quasi impossibili per ricevere la comunione. Fu l’ennesimo tentativo di trasformare la Chiesa da una società in cui c’è posto per tutti (buoni e cattivi, santi e peccatori) in una conventicola di pochi eletti ]


La "teologia del corpo" di Giovanni Paolo II come risposta agli squilibri sessuali del clero.Nel 2011 Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia in occasione del trentesimo anniversario di fondazione dell’Istituto, che il beato Giovanni Paolo II (1920-2005) volle creare contemporaneamente al Pontifico Consiglio per la Famiglia.

Il Papa ha ricordato che all’Istituto il beato Giovanni Paolo II volle affidare «in particolare, per lo studio, la ricerca e la diffusione, le sue “Catechesi sull’amore umano”, che contengono una profonda riflessione sul corpo».


Si tratta di una parte molto importante del Magistero del beato Papa Wojtyla, in una lunga serie di catechesi del mercoledì.  Rilette oggi, quelle catechesi si rivelano provvidenziali, anche se non furono da tutti comprese né – purtroppo – messe a frutto. Un inquadramento storico può aiutarci a comprenderne l’importanza, prima di ascoltare che cosa ne ha detto Benedetto XVI.
L’atteggiamento cattolico nei confronti dei rapporti sessuali e del corpo – anche se con eccezioni – è sempre stato molto equilibrato. Lo stesso Medioevo, che gode sul punto di una cattiva fama, ci ha invece offerto trattazioni teologiche molto sobrie e prudenti. Al contrario, l’avversione per la sessualità in genere che talora coinvolge anche le donne, considerate principalmente come «occasioni prossime di peccato» per gli uomini e specialmente per i sacerdoti, assume profili di una durezza senza precedenti tra i protestanti, che penetrano anche tra i cattolici soprattutto attraverso il rapporto tra puritanesimo protestante e giansenismo cattolico: un rapporto complesso, ma comunque molto rilevante.

Paradossalmente – ma non troppo – questa visione negativa della sessualità e delle donne ha come conseguenza una tolleranza ( non teorica, perché in teoria l’opposizione è durissima, ma)  pratica dell’omosessualità , e la formazione di  circoli di pastori e preti omosessuali , rilevati e denunciati un po’ dovunque dalle cronache del XVII e XVIII secolo, dal New England puritano fino alla Francia giansenista.  L’eco del rigorismo giansenista – nonostante il successo della teologia morale di sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), che riporta il rapporto con la sessualità nell’alveo di un sano equilibrio – continua a farsi sentire nei seminari e tra i sacerdoti per tutto il secolo XIX e fino al XX, insieme con le sue  non volute ma da un certo punto di vista fatali conseguenze in ordine al formarsi di subculture omosessuali. 
Queste subculture, insieme ad altre distorsioni in materia di sessualità, non hanno un rapporto necessario con il celibato – tanto che esistono anche tra i pastori protestanti sposati – ma derivano da una visione distorta della sessualità, che non è a sua volta «tradizionale» o «medievale» ma è un frutto tipico del mondo moderno.  Quando si affrontano questioni relative a scandali che hanno coinvolto sacerdoti e seminaristi, non si può dimenticare che gli squilibri che si sono introdotti nell’accostamento alla sessualità anche nella formazione del clero e dei religiosi non sono solo quelli di origine recente e del dopo-1968, pure importantissimi.

In parte sono antichi, derivano almeno dal giansenismo, e hanno avvelenato per secoli il pozzo cui si dovrebbe attingere l’acqua viva di una formazione equilibrata.

Rimontare rispetto a questa situazione è certamente un’opera lunga e faticosa, che però può ora giovarsi di un Magistero recente particolarmente ampio, convincente ed esaustivo, che va appunto dalle catechesi del mercoledì del beato Giovanni Paolo II – senza dimenticare le opere dedicate al tema da Karol Wojtyla prima dell’elezione al soglio di Pietro, tra cui Amore e responsabilità (1960) – fino agli spunti dell’enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est (2005). 
Questo straordinario Magistero rimane ancora troppo poco conosciuto. Si può dire che contenga gran parte delle risposte alla crisi attuale. Si può raccomandare di farlo studiare sistematicamente anche nei noviziati e nei seminari, senza temere che l’analisi dell’amore tra gli sposi turbi i candidati agli ordini sacri, che nella società contemporanea sono comunque aggrediti da ogni parte – si pensi ai danni inflitti anche ai sacerdoti e ai seminaristi dalla pornografia via Internet – da tante voci distorte in tema di sessualità.
Benedetto XVI ha presentato l’insegnamento sul punto del beato Giovanni Paolo II come uno sforzo di «coniugare la teologia del corpo con quella dell’amore per trovare l’unità del cammino dell’uomo» Il Papa ha voluto raccontare un episodio che risale agli anni 1560, cioè – osservo – precisamente quando idee protestanti cominciavano a penetrare anche nel mondo cattolico.

«Poco dopo la morte di Michelangelo [1475-1564], Paolo Veronese [1528-1588] fu chiamato davanti all’Inquisizione, con l’accusa di aver dipinto figure inappropriate intorno all’Ultima Cena. Il pittore rispose che anche nella Cappella Sistina i corpi erano rappresentati nudi, con poca riverenza. Fu proprio l’inquisitore che prese la difesa di Michelangelo con una risposta diventata famosa: “Non sai che in queste figure non vi è cosa se non di Spirito?”».

Non senza avere rilevato che «proprio l’inquisitore» si dimostra più equilibrato dell’opinione pubblica dell’epoca, il Papa osserva che

 «da moderni facciamo fatica a capire queste parole, perché il corpo ci appare come materia inerte, pesante, opposta alla conoscenza e alla libertà proprie dello spirito. Ma i corpi dipinti da Michelangelo sono abitati da luce, vita, splendore. Voleva mostrare così che i nostri corpi nascondono un mistero. In essi lo spirito si manifesta e opera. Sono chiamati ad essere corpi spirituali, come dice san Paolo (cfr 1Cor 15,44)». 

Nessun disprezzo del corpo, dunque, ma riflessione teologica sul suo significato e sul suo destino. «Ci possiamo allora chiedere: può questo destino del corpo illuminare le tappe del suo cammino?  Se il nostro corpo è chiamato ad essere Spirituale, non dovrà essere la sua storia quella dell’ alleanza tra corpo e Spirito Infatti, lungi dall’opporsi allo Spirito, il corpo è il luogo dove lo Spirito può abitare. Alla luce di questo è possibile capire che i nostri corpi non sono materia inerte, pesante, ma parlano, se sappiamo ascoltare, il linguaggio dell’ Amore vero». 

Il beato Giovanni Paolo II impostò il suo grande ciclo di catechesi sulla «teologia del corpo» facendo riferimento all’Antico Testamento e al racconto biblico della creazione dell’uomo.

 «Il corpo
– insegnava Papa Wojtyla e ribadisce Benedetto XVI – ci parla di un’origine che noi non abbiamo conferito a noi stessi. “Mi hai tessuto nel seno di mia madre”, dice il Salmista al Signore (Sal 139,13). Possiamo affermare che il corpo, nel rivelarci l’Origine, porta in sé un significato filiale, perché ci ricorda la nostra generazione, che attinge, tramite i nostri genitori che ci hanno trasmesso la vita, a Dio Creatore». 

Anche la creazione della donna fu oggetto di profonde riflessioni da parte del beato Giovanni Paolo II.

«Alla creazione di Adamo segue quella di Eva. La carne, ricevuta da Dio, è chiamata a rendere possibile l’unione di amore tra l’uomo e la donna e trasmettere la vita. I corpi di Adamo ed Eva appaiono, prima della Caduta, in perfetta armonia. C’è in essi un linguaggio che non hanno creato, un eros radicato nella loro natura, che li invita a riceversi mutuamente dal Creatore, per potersi così donare. Comprendiamo allora che, nell’amore, l’uomo è “ricreato”. Incipit vita nova, diceva Dante [1265-1321] (Vita Nuova I,1), la vita della nuova unità dei due in una carne».


Contro ogni svalutazione puritana, ma anche contro ogni esaltazione degradata,

«il vero fascino della sessualità nasce dalla grandezza di questo orizzonte che schiude: la bellezza integrale, l’universo dell’altra persona e del “noi” che nasce nell’unione, la promessa di comunione che vi si nasconde, la fecondità nuova, il cammino che l’amore apre verso Dio, fonte dell’amore.
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 L’unione in una sola carne si fa allora unione di tutta la vita, finché uomo e donna diventano anche un solo Spirito.

Si apre così un cammino in cui il corpo ci insegna il valore del tempo, della lenta maturazione nell’Amore»


La Chiesa non ha mai smesso d’insegnare la castità, ma anche su questa si è insinuata la distorsione puritana. Invece l’insegnamento del beato Giovanni Paolo II si presenta come una «luce» in cui 

«la virtù della castità riceve nuovo senso.
Non è un “no” ai piaceri e alla gioia della vita, ma il grande “sí” all’Amore come comunicazione profonda tra le persone, che richiede il tempo e il rispetto, come cammino insieme verso la pienezza e come Amore che diventa capace di generare vita e di accogliere generosamente la vita nuova che nasce»

L’insegnamento del beato Giovanni Paolo II in nessun modo va inteso come qualcosa che attenuerebbe la vigilanza nei confronti del peccato. Al contrario, nota Benedetto XVI,

«è certo che il corpo contiene anche un linguaggio negativo: ci parla di oppressione dell’altro, del desiderio di possedere e sfruttare».

Tuttavia,

«sappiamo che questo linguaggio non appartiene al disegno originario di Dio, ma è frutto del peccato. Quando lo si stacca dal suo senso filiale, dalla sua connessione con il Creatore, il corpo si ribella contro l’uomo, perde la sua capacità di far trasparire la comunione e diventa terreno di appropriazione dell’altro. Non è forse questo il dramma della sessualità, che oggi rimane rinchiusa nel cerchio ristretto del proprio corpo e nell’emotività, ma che in realtà può compiersi solo nella chiamata a qualcosa di più grande?».

Ma questo dramma si può superare, e

«a questo riguardo Giovanni Paolo II parlava dell’umiltà del corpo. Un personaggio di [Paul] Claudel [1868-1955] dice al suo amato: “la promessa che il mio corpo ti fece, io sono incapace di compiere”; a cui segue la risposta: “il corpo si rompe, ma non la promessa…” (Le soulier de satin, Giorno III, Scena XIII).
La forza di questa promessa spiega come la Caduta non sia l’ultima parola sul corpo nella storia della salvezza».

Anche dal peccato sessuale si può trovare una via di redenzione.

«Dio offre all’uomo anche un cammino di redenzione del corpo, il cui linguaggio viene preservato nella famiglia. Se dopo la Caduta Eva riceve questo nome, Madre dei viventi, ciò testimonia che la forza del peccato non riesce a cancellare il linguaggio originario del corpo, la benedizione di vita che Dio continua a offrire quando uomo e donna si uniscono in una sola carne». 
Il luogo deputato a redimere l’uso del corpo dalla sua pesantezza che rischia di trascinare verso il peccato è la famiglia. «La famiglia – esclama il Papa –, ecco il luogo dove la teologia del corpo e la teologia dell’amore si intrecciano. Qui si impara la bontà del corpo, la sua testimonianza di un’origine buona, nell’esperienza di amore che riceviamo dai genitori. Qui si vive il dono di sé in una sola carne, nella carità coniugale che congiunge gli sposi. Qui si sperimenta la fecondità dell’amore, e la vita s’intreccia a quella di altre generazioni. E’ nella famiglia che l’uomo scopre la sua relazionalità, non come individuo autonomo che si autorealizza, ma come figlio, sposo, genitore, la cui identità si fonda nell’essere chiamato all’amore, a riceversi da altri e a donarsi ad altri».

-Lo studio del corpo del beato Giovanni Paolo II nasce in una dimensione antropologica, ma non si ferma lì. È autentica teologia. Mostra che il

«cammino dalla creazione trova la sua pienezza con l’Incarnazione, con la venuta di Cristo. Dio ha assunto il corpo, si è rivelato in esso. Il movimento del corpo verso l’alto viene qui integrato in un altro movimento più originario, il movimento umile di Dio che si abbassa verso il corpo, per poi elevarlo verso di sé. Come Figlio, ha ricevuto il corpo filiale nella gratitudine e nell’ascolto del Padre e ha donato questo corpo per noi, per generare così il corpo nuovo della Chiesa. La liturgia dell’Ascensione canta questa storia della carne, peccatrice in Adamo, assunta e redenta da Cristo. .È una carne che diventa sempre più piena di luce e di Spirito, piena di Dio».
Dio stesso è venuto a consacrare il ruolo del corpo assumendolo nell’Incarnazione.Considerare «la profondità della teologia del corpo» del beato Giovanni Paolo II significa interpretarla secondo quell’ermeneutica della riforma nella continuità che Benedetto XVI applica non solo ai testi del Concilio Ecumenico Vaticano II ma anche al Magistero dei pontefici post-conciliari.

Dunque anche la catechesi sul corpo del beato Giovanni Paolo II va «letta nell’insieme della tradizione». Solo questa lettura, infatti,

«evita il rischio di superficialità e consente di cogliere la grandezza della vocazione all’Amore, che è una chiamata alla comunione delle persone nella duplice forma di vita della verginità e del matrimonio». 

Un modo sicuro per leggere la teologia del corpo del beato Giovanni Paolo II «nell’insieme della tradizione» è non dimenticare il ruolo centrare che anche in questo percorso ha per Papa Wojtyla la Madonna.

«Di Maria – ha ricordato Benedetto XVI – disse Dante parole illuminanti per una teologia del corpo: “nel ventre tuo si raccese l’amore” (Paradiso XXXIII, 7). Nel suo Corpo di donna ha preso corpo quell’Amore che genera la Chiesa»


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