Il senso della fede nel Cristianesimo
Documento del Concilio Vat II -
NOSTRA AETATE
1...Gli uomini attendono dalle varie religioni
la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come
oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo,
il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l'origine
e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità,
la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo
e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo
la nostra origine e verso cui tendiamo.
Nel cristianesimo il
senso religioso
, con l'adesione
di fede alla Parola ( // Promessa ) di Gesù , diventa
senso della fede
di tutto il popolo.
Documento del Concilio Vat II -
LUMEN GENTIUM
Il senso della fede e i carismi nel popolo di Dio
12. Il popolo santo di Dio partecipa pure
dell'ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza
di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità,
e coll'offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra
acclamanti al nome suo (cfr. Eb 13,15).
La totalità dei fedeli, avendo l'unzione che viene dal Santo,
(cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta
questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della
fede di tutto il popolo, quando " dai vescovi fino agli
ultimi fedeli laici " mostra l'universale suo consenso in cose
di fede e di morale.
E invero, per quel senso della fede, che è suscitato
e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del
sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente,
di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola
di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente
alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con
retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente
l'applica nella vita.
Partecipazione dei laici alla funzione profetica del Cristo
35. Cristo, il grande profeta, il quale
con la testimonianza della sua vita e con la potenza della sua parola
ha proclamato il regno del Padre, adempie il suo ufficio profetico
fino alla piena manifestazione della gloria, non solo per mezzo della
gerarchia, che insegna in nome e con la potestà di lui, ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni provvedendoli del senso della fede e della grazia della parola (cfr.
At 2,17-18; Ap 19,10), perché la forza del Vangelo risplenda
nella vita quotidiana, familiare e sociale. Essi si mostrano figli
della promessa quando, forti nella fede e nella speranza, mettono a
profitto il tempo presente (cfr. Ef 5,16; Col 4,5) e con pazienza aspettano
la gloria futura (cfr. Rm 8,25).
E questa speranza non devono nasconderla
nel segreto del loro cuore, ma con una continua conversione e lotta "contro
i dominatori di questo mondo tenebroso e contro gli spiriti maligni" (Ef
6,12), devono esprimerla anche attraverso le strutture della vita secolare.
Come i sacramenti della nuova legge, alimento della vita e dell'apostolato
dei fedeli, prefigurano un cielo nuovo e una nuova terra (cfr. Ap 21,1),
così i laici diventano araldi efficaci della fede in ciò
che si spera (cfr. Eb 11,1), se senza incertezze congiungono a una
vita di fede la professione di questa stessa fede. Questa evangelizzazione
o annunzio di Cristo fatto con la testimonianza della vita e con
la parola acquista una certa nota specifica e una particolare efficacia
dal fatto che viene compiuta nelle comuni condizioni del secolo.
L'educazione del sentimento religioso nel cristianesimoDocumento Nostra Eetate . N°2
Molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno
errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità
divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che
il Creatore (cfr. Rm 1,21 e 25), oppure, vivendo e morendo senza Dio
in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale.
La Chiesa allora annuncia,
ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è "
via, verità e Vita " (Gv 14,6), in cui gli uomini devono
trovare la pienezza della Vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato
con se stesso tutte le cose. Essa perciò esorta i suoi figli
affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo
e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre
rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano,
conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali
che si trovano in essi.
Il sentimento religioso ed il senso
della fede devono essere educati alla ricerca della Verità,
altrimenti possono portare l'uomo all'inganno. Il papa bacchetta i teologiMassimo Introvigne09-12-2012 http://www.lanuovabq.it
Il 7 dicembre 2012 Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i membri della Commissione Teologica Internazionale in occasione della loro plenaria, pronunciando un importante discorso sullo stato della teologia, che ha preso lo spunto dal documento della stessa Commissione «La teologia oggi. Prospettive, principi e criteri», pubblicato all’inizio di quest’anno.
Nel suo intervento il Pontefice ha offerto preziose precisazioni su un dibattito da tempo in corso, quello sul senso comune dei fedeli. Si tratta del senso della fede condiviso e diffuso nel popolo cattolico, che è una fonte importante della teologia ma che va bene inteso per evitare pericolosi equivoci.
Se si cerca, ha detto il Papa, un «codice genetico della teologia cattolica», occorre porsi subito la domanda su quale teologia sia, appunto, «autenticamente cattolica». Il Pontefice è consapevole del fatto che oggi non manca chi pensa che la domanda giusta non sia questa.
Viviamo infatti «in un contesto culturale dove taluni sono tentati di privare la teologia di uno statuto accademico, a causa del suo legame intrinseco con la fede». Costoro pensano che una scienza legata a un'istituzione religiosa non possa essere vera scienza. Intimiditi da queste critiche, alcuni teologi cedono al contesto laicista e cercano di proporre una teologia neutra e «non confessionale», cadendo così nell'errore di «prescindere dalla dimensione credente e confessionale della teologia, con il rischio di confonderla e di ridurla alle scienze religiose».
In realtà, spiega il Papa, le scienze religiose sono una disciplina di studio del tutto legittima, ma non vanno confuse con la teologia, che non può essere neutra.
La teologia insieme «è inscindibilmente confessionale e razionale», ma il suo carattere confessionale non è una buona ragione per dichiararla non scientifica o espellerla dalle università. Solo il pregiudizio laicista può pensare che quanto è confessionale, in questo caso cattolico, sia per definizione non scientifico. Al contrario, «la sua presenza [della teologia] all’interno dell’istituzione universitaria garantisce, o dovrebbe garantire, una visione ampia ed integrale della stessa ragione umana». Perché, come Benedetto XVI ha spiegato tante volte, una ragione che non dialoga con la fede finisce per inaridirsi e sfiorire proprio in quanto ragione.
Ma come una teologia può essere oggi insieme rigorosamente scientifica e veramente cattolica?
Il Papa risponde introducendo il tema centrale del suo discorso, «l’attenzione che i teologi devono riservare al sensus fidelium». Si tratta, come si è accennato, di un argomento molto delicato e dibattuto, su cui il Pontefice interviene a fare chiarezza.
Molti infatti oggi contrappongono il «sensus fidelium» ( la sensibilità diffusa tra i fedeli ) al Magistero. E questo avviene, per così dire, sia «a sinistra» sia «a destra».
Un certo «progressismo» afferma volentieri che, specialmente sui temi morali, il Magistero offre certi insegnamenti ma si deve anche tenere conto della sensibilità dei fedeli, che in materia di anticoncezionali, aborto, omosessualità, rapporti prematrimoniali sarebbe ormai maggioritariamente diversa.
Nello stesso tempo, un certo «tradizionalismo» - quando vuole criticare il Magistero attuale accusandolo di non essere conforme alla Tradizione - risponde all'obiezione secondo cui
spetta precisamente al Magistero definire che cosa sia oggi la Tradizione affermando che è il senso comune dei fedeli a percepire il contrasto fra certi insegnamenti odierni e quelli tradizionali.
I sociologi hanno più volte osservato come chi argomenta in questo modo, da destra o da sinistra, di rado si rende conto delle difficoltà che esistono quando si tratta di accertare che cosa pensi veramente la maggioranza dei fedeli.
In un articolo apparso lo scorso 5 dicembre sul quotidiano inglese «The Guardian» la sociologa Linda Woodhead parla della «sondaggite» come di una nuova malattia diffusa tra gli studiosi di scienze religiose che, neanche fossero politici che si preparano alle elezioni, pretendono di decidere ogni questione relativa allo stato della religione tramite i sondaggi. Ma i sondaggi sono per loro natura incerti, così che occorre sempre molta cautela quando si afferma che «il popolo cattolico» pensa questo o quest'altro.
Non senza spirito, nella sua autobiografia «La mia vita» il cardinale Joseph Ratzinger aveva osservato che molti teologi, quando parlano del'«opinione dei fedeli», si riferiscono alla loro stessa opinione e a quella degli studenti e amici fedeli alle loro soggettive teorie.
Il Papa ricorda in tema di sensibilità comune dei fedeli che «il Concilio Vaticano II, ribadendo il ruolo specifico ed insostituibile che spetta al Magistero, ha sottolineato nondimeno che l’insieme del Popolo di Dio partecipa dell’ufficio profetico di Cristo, realizzando così il desiderio ispirato, espresso da Mosè: "Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!" (Nm 11,29)».
Il Pontefice cita il passaggio centrale al riguardo, che si trova nella «Lumen gentium»: «La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo (cfr 1 Gv 2,20.27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale» (n. 12).
Dunque esiste davvero «questo dono, il sensus fidei, [il quale] costituisce nel credente una sorta di istinto soprannaturale che ha una connaturalità vitale con lo stesso oggetto della fede». Ed è anche vero che «il sensus fidei è un criterio per discernere se una verità appartenga o no al deposito vivente della tradizione apostolica» Ma queste affermazioni vanno immediatamente approfondite e precisate, perché c'è chi le utilizza in modo malizioso.
Oggi «è particolarmente importante precisare i criteri che permettono di distinguere ilsensus fidelium autentico dalle sue contraffazioni». Il senso comune dei fedeli «non è una sorta di opinione pubblica ecclesiale» e non si misura con i sondaggi. Soprattutto, non ha senso contrapporre il «sensus fidei» al Magistero, o utilizzarlo come una sorta di tribunale che potrebbe giudicare e condannare il Magistero, perché il senso comune che interessa è quello dei «fedeli», e per fedeli s'intendono coloro che prendono sul serio il Magistero e a questo lealmente aderiscono.
Dunque, spiega il Pontefice a proposito del «sensus fidelium», «non è pensabile poterlo menzionare per contestare gli insegnamenti del Magistero, poiché il sensus fìdei non può svilupparsi autenticamente nel credente se non nella misura in cui egli partecipa pienamente alla vita della Chiesa, e ciò esige l’adesione responsabile al suo Magistero, al deposito della fede».
Il Papa ha concluso mostrando come «questo stesso senso soprannaturale della fede dei credenti» ha dei contenuti che rispondono alle sfide dei tempi. Così, oggi porta i fedeli «a reagire con vigore anche contro il pregiudizio secondo cui le religioni, ed in particolare le religioni monoteiste, sarebbero intrinsecamente portatrici di violenza, soprattutto a causa della pretesa che esse avanzano dell’esistenza di una verità universale».
Anche questo è un tema centrale del Magistero di Benedetto XVI, approfondito in particolare nel viaggio in Terra Santa del 2009 e nell'incontro interreligioso di Assisi del 2011. «Alcuni - ha affermato il Pontefice - ritengono che solo il “politeismo dei valori” garantirebbe la tolleranza e la pace civile e sarebbe conforme allo spirito di una società democratica pluralistica». È piuttosto il contrario.
Certo, «nella storia vi sono state o vi sono forme di violenza operate nel nome di Dio». Tuttavia «queste non sono da attribuire al monoteismo, ma a cause storiche, principalmente agli errori degli uomini». Invece, «è proprio l’oblio di Dio ad immergere le società umane in una forma di relativismo, che genera ineluttabilmente la violenza. Quando si nega la possibilità per tutti di riferirsi ad una verità oggettiva, il dialogo viene reso impossibile e la violenza, dichiarata o nascosta, diventa la regola dei rapporti umani.
Senza l’apertura al trascendente, che permette di trovare delle risposte agli interrogativi sul senso della vita e sulla maniera di vivere in modo morale, senza questa apertura l’uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace».
Qui, ha notato Benedetto XVI, s'inserisce anche il tema della dottrina sociale della Chiesa come parte integrante dell'insegnamento cattolico. Infatti, «se la rottura del rapporto degli uomini con Dio porta con sé uno squilibrio profondo nelle relazioni tra gli uomini stessi, la riconciliazione con Dio, operata dalla Croce di Cristo, “nostra pace” (Ef 2,14) è la sorgente fondamentale dell’unità e della fraternità».
Dunque, rispetto all'insieme della fede cattolica, «la dottrina sociale non è un’aggiunta estrinseca, ma, senza trascurare l’apporto di una filosofia sociale, attinge i suoi principi di fondo alle sorgenti stesse della fede».
Anche la dottrina sociale è dunque parte di quel Magistero cui sia i teologi sia i fedeli hanno il dovere di aderire, senza contrapporgli artificiosamente un «sensus fidelium» ricavato dai sondaggi, da una presunta «opinione pubblica ecclesiale» o peggio dalle soggettive opinioni di qualche teologo o intellettuale.
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