Corso di Religione

DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA CATTOLICA



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Valori e principi permanenti della DSC  Credits : (*) santaritalatina.it. incontri storia della chiesa 

Nella rigorosa scristianizzazione operata nella società moderna e contemporanea, l'Avvenimento salvifico cristiano è stato sistematicamente sostituito con la concezione dell'uomo che basta a se stesso e che si realizza in un "progetto ateistico" (Centesimus annus , n. 23). 

A tale impostazione antropologica non potevano che opporsi gli interventi del Magistero ecclesiale dell'ultimo secolo. L'hanno fatto con la denuncia e con la proposta; seguendo un metodo più deduttivo o più induttivo, esortando al discernimento e a partire dall'uomo. L'hanno fatto ribadendo punti fondamentali, che costituiscono un "corpus" articolato e organico di tutto rispetto. Li richiamiamo in estrema sintesi. 

a) Priorità della persona sulla società 

La persona umana consiste ed è ben definita solo a partire dal suo rapporto con Dio, al quale è naturalmente aperta e del quale è creata immagine e somiglianza. Creata per se stessa, non può mai essere ridotta a mezzo; ha dignità infinita, è soggetto di diritti inalienabili; deve restare alla radice, al centro e al vertice di ogni forma di socialità. Dall'incontro con Cristo riceve una novità ontologica e un nuovo principio di conoscenza e di azione. Tutto ciò le consente di non essere ridotta a frammento della materia fisica o a numero anonimo di qualsiasi collettivismo. Le situazioni culturali, socio-economiche e politiche, dei diversi tempi e luoghi, poco o tanto la condizionano; ma non la determinano mai del tutto. Con la sua libertà creativa intrattiene relazioni e costruisce una società al suo servizio. Una società e uno Stato sono realmente democratici nella misura in cui riconoscono e si pongono al servizio della libertà di questo tipo di uomo, e innanzitutto della libertà di professare anche comunitariamente la propria religione. 

b) Preminenza della società sullo Stato 

La persona umana per sua natura è anche un essere sociale, data la sua innata indigenza e la sua connaturale tendenza a comunicare con altri. Per la crescita integrale della persona è necessaria la partecipazione e l'integrazione sociale; ma qualsiasi forma di società civile deve restare sempre al servizio della persona. Le persone si esprimono e crescono, dando liberamente origine a diverse forme di società dette "organismi intermedi": famiglia, associazioni e forme di cooperazione educative e lavorative, enti locali, ecc.

. Il potere politico, il diritto e le strutture economiche sono al loro servizio e ne integrano le insufficienze in vista del bene comune. Ne deriva che lo Stato liberale non deve confinare nella sfera privata e individuale i valori etici - religiosi - ideali del cittadino; lo Stato totalitario non deve asservire, concentrare, dominare ogni valore ed iniziativa sociale; lo Stato sociale, del benessere, assistenziale, non possono tollerare un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Sul potere come servizio si mediti il lucido saggio di R. Guardini, Il potere, Morcelliana, Brescia 1951. 

c) La Chiesa non è subordinata allo Stato 

La sbandierata formula "Libera Chiesa in libero Stato" è servita di fatto ad intendere la distinzione e la separazione della Chiesa dallo Stato come assorbimento della Chiesa nello Stato. Lo Stato liberale (e ancor più quello totalitario) ha preteso di concedere diritto ad esistere e di normare ogni espressione ed opera esterna e sociale del popolo cristiano.

La Chiesa è stata ridotta ad una funzione pedagogica e morale, sempre all'interno dello Stato, come parte integrante di esso, come "strumento del regno". Ciò è avvenuto dai tempi di Machiavelli, della formula "cuius regio, eius et religio", della "Costituzione civile del clero", dei recentemente caduti regimi dell'Est Europeo, ecc.. La Chiesa ha sostenuto la distinzione tra Chiesa e Stato, dai tempi del Decreto di papa Gelasio I (+496) al Concilio Vaticano II.

La dimensione religiosa e quella politica non sono realtà omogenee. Quella religiosa appartiene alla libertà di coscienza delle persone; non tocca allo Stato laico stabilire cosa si deve credere o modificare, tanto meno impedire di professare la propria fede. Se ciò avvenisse, il cristiano è tenuto ad obbedire prima a Dio che agli uomini (cfr. At 4, 19). Sostenendo questo la Chiesa ha rappresentato in questo ultimo secolo la più tenace alternativa al totalitarismo di Stato. 

d) I quattro principi permanenti

Anche dai tre contenuti sintetici appena esposti, affiorano i capisaldi imprescindibili per comprendere l'originalità della DSC, dal suo sorgere e nel suo svilupparsi.  Qui ci limitiamo a rimandare ai principali documenti nei quali tali princìpi sono espressamente enunciati.

Principio personalista cf.: -Rerum novarum, 32-39; Pio XII, Radiomessaggio natalizio 1944, 5; Mater et Magistra, 228-229; Pacem in terris, 3.14; Gaudium et spes, 12. 25. 29-31; Centesimus annus, 54-55. 

Principio di sussidiarietà cf.: -Rerum novarum, 28; Quadragesimo anno, 80-81; Mater et Magistra, 57-62; Pacem in terris, 48; Gaudium et spes, 75; Octogesima adveniens, 25; Familiaris Consortio, 45; Centesimus annus, 10. 15. 48. 

Principio di solidarietà cf.: -Summi Pontificatus, 15-16; Pacem in terris, 36; Gaudium et spes ,32; Populorum progressio, 43-44. 48. 64-65. 80; Laborem exercens, 8; Sollecitudo rei socialis, 38- 40; Centesimus annus, 10. 15. 41. 43.49..70

Principio del bene comune cf.: -Rerum novarum, 26; Quadragesimo anno, 109; Mater et Magistra, 69. 84-85; Pacem in terris, 23-24; Gaudium et spes, 26. 74; Sollecitudo rei socialis, 10; Centesimus annus, 11. 

Cinque princìpi per una speranza
L’Europa ha conosciuto in questo frattempo due profonde lacerazioni spirituali, con le quali, piaccia o non piaccia, bisogna fare i conti.

Nel secolo XVI la Riforma protestante e lo strappo della Chiesa anglicana hanno spezzato il legame più forte che connetteva le diverse genti e le diverse mentalità, quello dell’appartenenza ecclesiale. E nel secolo XVIII la rivoluzione culturale illuministica, propagandata dalle imprese napoleoniche, ha scavato un solco praticamente incolmabile tra la visione del mondo dei credenti e quella dei non credenti.

Senza dubbio si può e si deve auspicare che queste divisioni non si esasperino e non impediscano le giuste collaborazioni, purché il risultato della nostra volontà di concordia e di dialogo non sia alla fine il prevalere dello scetticismo e della totale scristianizzazione. Ma non si può ignorare che queste spaccature ci sono; e sarebbe ingannevole ritenere che esse siano insignificanti e senza effetti.

Così come stanno le cose, crederei che la cosa più utile e meno utopistica sia ricercare quanto, dell’eredità umanistica e cristiana che è retaggio comune dei nostri popoli, possa essere proposto come livello minimo di comune filosofia operativa e quasi un’ideale comproprietà morale di tutte le coscienze europee. A questo fine, mi parrebbe opportuno individuare e proporre cinque princìpi universalmente accettabili, che valgano come temi ispiratori e caratterizzanti dell’essere e dell’agire della “res publica” europea.

1° - il principio del primato dell’uomo
Il primo principio si riferisce all’uomo, al suo primato sulle cose, alla sua inalienabile dignità.17 L’uomo – come dice sant’Ambrogio – è “il culmine e quasi il compendio dell’universo e la suprema bellezza di ogni creazione” (Esamerone IX, 75).
“Credenti e non credenti – nota il Concilio Vaticano II – sono press’a poco concordi nel ritenere che quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e suo vertice… L’uomo ha ragione di ritenersi superiore a tutte le cose, a motivo della sua intelligenza, con cui partecipa della luce della mente di Dio” (Gaudium et spes ,12.15).

Si può ravvisare l’attuazione giuridica di questa persuasione nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea delle nazioni Unite il 10 dicembre 1948. È ovvio che i diritti degli altri fondano ed esigono i doveri di ciascuno.

2° - il principio di solidarietà
L’appartenenza di ogni persona e di ogni legittima aggregazione alla stessa necessaria organizzazione sociale – e in ultima analisi alla stessa famiglia umana – fa sì che non si possa mai consentire che un singolo o una comunità per il gioco dei fattori economici e politici sia privata dei mezzi elementari di decorosa sussistenza. In virtù di questo principio, lo stato potrà e dovrà intervenire a salvaguardare l’uomo nelle sue concrete dimensioni di vita individuale, familiare, associativa, anche correggendo le eventuali deviazioni dei comportamenti e sbloccando i meccanismi inceppati (cf Centesimus annus , 48). In particolare, la difesa del più debole potrà comportare anche qualche limitazione dell’autonomia delle diverse parti in gioco (cf Centesimus annus ,15).


Ispirati al principio solidaristico sono, per esempio, alcuni asserti della nostra costituzione laddove si dichiara che bisogna avere un particolare riguardo per le famiglie numerose (art. 31), si garantiscono “cure gratuite agli indigenti” (art. 32), si dice che “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al sostentamento e all’assistenza sociale” (art. 38).

3° - il principio di sussidiarietà
“Una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune” (Centesimus annus, 8).

Questa dottrina – che è di assoluta rilevanza per l’attuazione di una democrazia sostanziale – è stata denunciata da Pio XI fin dal 1931:
“Come non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. E questo è insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera supplettiva le assemblee del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle” (Quadragesimo anno, 80).

Oggi questo principio è stato riscoperto e rivalutato proprio a proposito dei rapporti corretti da istituire tra la comunità europea e gli stati membri. Ad esso si appellano anche i comuni e le regioni per rivendicare le loro autonomie. Ma non bisogna dimenticare che il principio ha una valenza universale e va applicato anche a proposito di tutte le aggregazioni, contro le molte prevaricazioni stataliste (il caso tipico è, in Italia, quello della scuola).

4° - il principio della laicità dello stato
Lo stato è davvero laico quando non impone a nessuno una particolare concezione filosofica, teologica o culturale e quando non identifica il suo ordinamento giuridico con le prescrizioni di una determinata aggregazione. Lo stato moderno non può essere “confessionale” in nessun senso: non in senso religioso (per esempio, cattolico, ebraico, musulmano); non in senso scientistico o materialistico; non in senso laicistico, se per laicismo si intende – come spesso è dato riscontrare – una particolare concezione, immanentisticamente o illuministicamente ispirata, che rifiuta i valori trascendenti o li vuole confinati nel segreto dei cuori.

Ovviamente, secondo questo principio, non ci potranno essere “religioni di stato”. Questo però non vuol dire che si possa contestare o anche solo ignorare il fatto che il cattolicesimo è la religione storica del popolo italiano e la fonte preponderante della sua identità nazionale.

5° - il principio della libertà effettiva della persone e delle aggregazioni
La libertà dei singoli cittadini è analiticamente descritta e minuziosamente tutelata dagli articoli 15-28 della Costituzione italiana.18 . Ma è indispensabile che anche alle varie aggregazioni sia garantita la concreta possibilità di esistere con pienezza nella identità prescelta; di proporre agli altri le proprie convinzioni di educare secondo il proprio “credo”; di fare esperienza di vita associata in coerenza con la loro matrice ideale e le loro tradizioni, sempre nell’ambito del bene comune e nel rispetto delle libertà altrui.

Inderogabilità di questi principi

L’accettazione leale di questi principi da parte di tutti e la loro volonterosa applicazione nella vita sociale e politica darà all’Europa quell’ “anima” che le è indispensabile perché possa avviare con un po’ di fortuna questa sua nuova storia.


Che cosa dire di quelli che da altri continenti vogliono entrare in Europa?

Non c’è per nessun popolo il “diritto di invasione” nei confronti di un altro popolo: questo va ribadito con chiarezza e senza ambiguità.

Tuttavia potranno essere accolte e integrate nella Comunità europea – non a caso, ma secondo un disegno – anche genti di lontana provenienza etnica e culturale, purché col rifiuto delle sopraddette regole fondamentali non costituiscano un corpo estraneo in questo nascente organismo.

L’apporto dei cristiani
Quale potrà e dovrà essere l’apporto specifico dei cristiani nella costruzione della nuova Europa?


Essi saranno tanto più utili alla causa comune quanto più resteranno se stessi e irradieranno con umile e gioiosa semplicità la luce delle certezze che il Signore nella sua misericordia ha rivelato all’uomo perché la esistenza sulla terra fosse plausibile e ricca di senso.

Al relativismo scettico, che tutto vanifica e inaridisce, opporranno la forza intrinseca della verità salvifica e la passione per la sua ricerca instancabile.All’eclissi della ragione risponderanno con l’intelligenza illuminata dalla fede, che ci consente di distinguere l’autenticità dell’essere dalle ideologie, dai sofismi, dal primato dato alle apparenze. Dimostreranno così che si può ancora – e si deve – distinguere il vero dal falso, il bene dal male, ciò che è conforme e ciò che è contrario alla natura non deformabile e non manipolabile dell’uomo.

Davanti all’assurdità di un pellegrinaggio terreno che si conclude nel niente, faranno brillare il dono di un destino di VITA senza fine. Nel campo più specificamente etico e comportamentale, il mondo cattolico è chiamato a tener deste e a rendere sempre più beneficamente influenti, entro la comunità di popoli che sta faticosamente compaginandosi, le antiche verità esistenziali insegnateci dal Vangelo, circa l’istituto del matrimonio, la realtà fondamentale della famiglia, il principio della sacralità e della intangibilità della vita umana innocente.

Sono temi sui quali nei diversi ambiti e nelle varie culture europee oggi purtroppo non c’è più concordanza; e dove non c’è concordanza, c’è il pericolo che si approdi al vuoto di un insipiente disumano libertarismo.

Particolarmente su questi temi si determinerà in futuro la rilevanza e addirittura la sorte della nostra tipica e irrinunciabile identità di appartenenti alla “nazione santa”; identità che rischia di stemperarsi e di perdersi nel generale smarrimento di ogni solida e sensata antropologia. Appunto impegnandoci lucidamente e coraggiosamente su questi temi potremo offrire il nostro più prezioso contributo di discepoli del Signore risorto per la sopravvivenza spirituale e morale del continente.


Il Catechismo Universale Chiesa Cattolica (CUCC)

IV. L'attività economica e la giustizia sociale

 2426 Lo sviluppo delle attività economiche e l'aumento della produzione sono destinati a soddisfare i bisogni degli esseri umani. La vita economica non mira solo ad accrescere la produzione dei beni e ad aumentare il profitto o la potenza; essa è prima di tutto ordinata al servizio delle persone, dell'uomo nella sua integralità e di tutta la comunità umana. Realizzata secondo i propri metodi, l'attività economica deve essere esercitata nell'ambito dell'ordine morale, nel rispetto della giustizia sociale, in modo che risponda al disegno di Dio sull'uomo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,64].

 2427 Il lavoro umano proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con e per le altre, l'opera della creazione sottomettendo la terra [Cf Gen 1,28; Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 34; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31]. Il lavoro, quindi, è un dovere: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi” ( 2Ts 3,10 ) [Cf 1Ts 4,11 ]. Il lavoro esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti. Può anche essere redentivo. Sopportando la penosa fatica [Cf Gen 3,14-19 ] del lavoro in unione con Gesù, l'artigiano di Nazaret e il crocifisso del Calvario, l'uomo in un certo modo coopera con il Figlio di Dio nella sua opera redentrice. Si mostra discepolo di Cristo portando la croce, ogni giorno, nell'attività che è chiamato a compiere [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 27]. Il lavoro può essere un mezzo di santificazione e un'animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo.

 2428 Nel lavoro la persona esercita e attualizza una parte delle capacità iscritte nella sua natura. Il valore primario del lavoro riguarda l'uomo stesso, che ne è l'autore e il destinatario. Il lavoro è per l'uomo, e non l'uomo per il lavoro [Cf ibid. , 6].  Ciascuno deve poter trarre dal lavoro i mezzi di sostentamento per la propria vita e per quella dei suoi familiari, e servire la comunità umana.

 2429 Ciascuno ha il diritto di iniziativa economica; ciascuno userà legittimamente i propri talenti per concorrere a un'abbondanza di cui tutti possano godere, e per raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti. Procurerà di conformarsi agli ordinamenti emanati dalle legittime autorità in vista del bene comune [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32; 34].

 2430 La vita economica chiama in causa interessi diversi, spesso tra loro opposti. Così si spiega l'emergere dei conflitti che la caratterizzano [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 11]. Si farà di tutto per comporre tali conflitti attraverso negoziati che rispettino i diritti e i doveri di ogni parte sociale: i responsabili delle imprese, i rappresentanti dei lavoratori, per esempio le organizzazioni sindacali, ed, eventuamente, i pubblici poteri.

 2431 La responsabilità dello Stato. “L'attività economica, in particolare quella dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie delle libertà individuali e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire tale sicurezza, di modo che chi lavora possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà. . . Compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l'esercizio dei diritti umani nel settore economico; in questo campo, tuttavia, la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni di cui si compone la società” [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48].

 2432 I responsabili di imprese hanno, davanti alla società, la responsabilità economica ed ecologica delle loro operazioni [Cf ibid., 37]. Hanno il dovere di considerare il bene delle persone e non soltanto l'aumento dei profitti . Questi, comunque, sono necessari. Permettono di realizzare gli investimenti che assicurano l'avvenire delle imprese. Garantiscono l'occupazione.

 2433 L' accesso al lavoro e alla professione deve essere aperto a tutti, senza ingiusta discriminazione: a uomini e a donne, a chi è in buone condizioni psico-fisiche e ai disabili, agli autoctoni e agli immigrati [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19; 22-23]. In rapporto alle circostanze, la società deve da parte sua aiutare i cittadini a trovare un lavoro e un impiego [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48].

 2434 Il giusto salario è il frutto legittimo del lavoro. Rifiutarlo o non darlo a tempo debito può rappresentare una grave ingiustizia [Cf Lv 19,13; 2434 Dt 24,14-15; Gc 5,4 ]. Per stabilire l'equa remunerazione, si deve tener conto sia dei bisogni sia delle prestazioni di ciascuno. “Il lavoro va remunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, corrispondentemente al tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché alle condizioni dell'impresa e al bene comune” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 67]. Non è sufficiente l'accordo tra le parti a giustificare moralmente l'ammontare del salario.

 2435 Lo sciopero è moralmente legittimo quando appare come lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato. Diventa moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune.

 2436 E' ingiusto non versare agli organismi di sicurezza sociale i contributi stabiliti dalle legittime autorità.  La privazione del lavoro, a causa della disoccupazione, quasi sempre rappresenta, per chi ne è vittima, un'offesa alla sua dignità e una minaccia per l'equilibrio della vita. Oltre al danno che egli subisce personalmente, numerosi rischi ne derivano per la sua famiglia [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 18].

V. Giustizia e solidarietà tra le nazioni

 2437 A livello internazionale, la disuguaglianza delle risorse e dei mezzi economici è tale da provocare un vero “fossato” tra le nazioni [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 14]. Da una parte vi sono coloro che possiedono e incrementano i mezzi dello sviluppo, e, dall'altra, quelli che accumulano i debiti.

 2438 Varie cause, di natura religiosa, politica, economica e finanziaria danno oggi “alla questione sociale. . . una dimensione mondiale” [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 14]. Tra le nazioni, le cui politiche sono già interdipendenti, è necessaria la solidarietà. E questa diventa indispensabile allorché si tratta di bloccare “i meccanismi perversi” che ostacolano lo sviluppo dei paesi meno progrediti [Cf ibid., 17; 45]. A sistemi finanziari abusivi se non usurai, [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35] a relazioni commerciali inique tra le nazioni, alla corsa agli armamenti si deve sostituire uno sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, “ridefinendo le priorità e le scale di valori” [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35].

 2439 Le nazioni ricche hanno una grave responsabilità morale nei confronti di quelle che da se stesse non possono assicurarsi i mezzi del proprio sviluppo o ne sono state impedite in conseguenza di tragiche vicende storiche. Si tratta di un dovere di solidarietà e di carità; ed anche di un obbligo di giustizia, se il benessere delle nazioni ricche proviene da risorse che non sono state equamente pagate.

 2440 L' aiuto diretto costituisce una risposta adeguata a necessità immediate, eccezionali, causate, per esempio, da catastrofi naturali, da epidemie, ecc. Ma esso non basta a risanare i gravi mali che derivano da situazioni di miseria, né a far fronte in modo duraturo ai bisogni. Occorre anche riformare le istituzioni economiche e finanziarie internazionali perché possano promuovere rapporti equi con i paesi meno sviluppati [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 16]. E' necessario sostenere lo sforzo dei paesi poveri che sono alla ricerca del loro sviluppo e della loro liberazione [Cf Giovanni Paolo II, Lett enc. Centesimus annus, 26]. Questi principi vanno applicati in una maniera tutta particolare nell'ambito del lavoro agricolo. I contadini, specialmente nel Terzo Mondo, costituiscono la massa preponderante dei poveri.

 2441 Alla base di ogni sviluppo completo della società umana sta la crescita del senso di Dio e della conoscenza di sé. Allora lo sviluppo moltiplica i beni materiali e li mette al servizio della persona e della sua libertà. Riduce la miseria e lo sfruttamento economico. Fa crescere il rispetto delle identità culturali e l'apertura alla trascendenza [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32; Id. , Lett. enc. Centesimus annus, 51].

 2442 Non spetta ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nell'azione politica e nell'organizzazione della vita sociale. Questo compito fa parte della vocazione dei fedeli laici, i quali operano di propria iniziativa insieme con i loro concittadini. L'azione sociale può implicare una pluralità di vie concrete; comunque, avrà sempre come fine il bene comune e sarà conforme al messaggio evangelico e all'insegnamento della Chiesa. Compete ai fedeli laici “animare, con impegno cristiano, le realtà temporali, e, in esse, mostrare di essere testimoni e operatori di pace e di giustizia” [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 47; cf 42].

VI. L'amore per i poveri

 2443 Dio benedice coloro che soccorrono i poveri e disapprova coloro che se ne disinteressano: “Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle” ( Mt 5,42 ). “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” ( Mt 10,8 ). Gesù Cristo riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto avranno fatto per i poveri [Cf Mt 25,31-46 ]. Allorché “ai poveri è predicata la buona novella” ( Mt 11,5 ), [Cf Lc 4,18 ] è segno che Cristo è presente.

 2444 “L'amore della Chiesa per i poveri. . . appartiene alla sua costante tradizione” [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 57]. Si ispira al Vangelo delle beatitudini, [Cf Lc 6,20-22 ] alla povertà di Gesù [Cf Mt 8,20 ] e alla sua attenzione per i poveri [Cf Mc 12,41-44 ]. L'amore per i poveri è anche una delle motivazioni del dovere di lavorare per far parte dei beni “a chi si trova in necessità” ( Ef 4,28 ). Tale amore per i poveri non riguarda soltanto la povertà materiale, ma anche le numerose forme di povertà culturale e religiosa [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 57].

 2445 L'amore per i poveri è inconciliabile con lo smodato amore per le ricchezze o con il loro uso egoistico:

 E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza ( Gc 5,1-6 ).

 2446 San Giovanni Crisostomo lo ricorda con forza: “Non condividere con i poveri i propri beni è defraudarli e togliere loro la vita. Non sono nostri i beni che possediamo: sono dei poveri” [San Giovanni Crisostomo, In Lazarum, 1, 6: PG 48, 992D]. “Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia” [Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 8]. Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia [San Gregorio Magno, Regula pastoralis, 3, 21].

 2447 Le opere di misericordia sono le azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali [Cf Is 58,6-7; Eb 13,3 ]. Istruire, consigliare, consolare, confortare sono opere di misericordia spirituale, come perdonare e sopportare con pazienza. Le opere di misericordia corporale consistono segnatamente nel dare da mangiare a chi ha fame, nell'ospitare i senza tetto, nel vestire chi ha bisogno di indumenti, nel visitare gli ammalati e i prigionieri, nel seppellire i morti [Cf Mt 25,31-46 ]. Tra queste opere, fare l'elemosina ai poveri [Cf Tb 4,5-11; Sir 17,17 ] è una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di giustizia che piace a Dio: [Cf Mt 6,2-4 ]. Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto ( Lc 3,11 ). Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, e tutto sarà puro per voi ( Lc 11,41 ). Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? ( Gc 2,15-16 ) [Cf 1Gv 3,17 ].

 2448 “Nelle sue molteplici forme - spogliamento materiale, ingiusta oppressione, malattie fisiche e psichiche, e infine la morte - la miseria umana è il segno evidente della naturale condizione di debolezza, in cui l'uomo si trova dopo il primo peccato, e del suo bisogno di salvezza. E' per questo che essa ha attirato la compassione di Cristo Salvatore, il quale ha voluto prenderla su di sé, e identificarsi con "i più piccoli tra i fratelli". E' pure per questo che gli oppressi dalla miseria sono oggetto di un amore di preferenza da parte della Chiesa, la quale, fin dalle origini, malgrado l'infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 68].

 2449 Fin dall'Antico Testamento tutte le varie disposizioni giuridiche (anno di remissione, divieto di prestare denaro a interesse e di trattenere un pegno, obbligo di dare la decima, di pagare ogni giorno il salario ai lavoratori giornalieri, diritto di racimolare e spigolare) sono in consonanza con l'esortazione del Deuteronomio: “I bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese” ( Dt 15,11 ). Gesù fa sua questa parola: “I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me” ( Gv 12,8 ). Non vanifica con ciò la parola veemente degli antichi profeti: comprano “con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali. . . ” ( Am 8,6 ), ma ci invita a riconoscere la sua presenza nei poveri che sono suoi fratelli: [Cf Mt 25,40 ] Il giorno in cui sua madre la rimproverò di accogliere in casa poveri e infermi, santa Rosa da Lima senza esitare le disse: “Quando serviamo i poveri e i malati, serviamo Gesù. Non dobbiamo lasciar mancare l'aiuto al nostro prossimo, perché nei nostri fratelli serviamo Gesù” [P. Hansen, Vita mirabilis, Louvain 1668].



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