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Libri consigliati
Marzo 2009

 

 

 

 


LA SOLITUDINE DELL'UOMO Al TEMPI DI FACEBOOK
UNA RIFLESSIONE DELLO PSICOANALISTA LUIGI ZOJA

Dai mezzi di trasporto allo sport, alla spesa nei supermercati, viviamo
ignorando chi ci sta vicino. Risultato? siamo orfani del prossimo.
E chi è il mio prossimo? La domanda, rivolta provocatoriamente a Gesù per metterlo in difficoltà, trovò una risposta inequivocabile in una delle parabole più belle, quella del buon samaritano. Da allora, è difficile lavarsi le mani, come Pilato, di fronte alla "chiamata" di chi ci sta vicino: il nostro prossimo è colui che incontriamo sulla nostra strada, soprattutto se in condizioni di difficoltà o sofferenza; di più, bisogna "farsi prossimi" a tutti coloro che, incrociati nel nostro cammino, vivono tali situazioni.
Oggi, sappiamo ancora chi è il nostro prossimo? Ci interessa davvero saperlo? Secondo Luigi Zoja, psicoanalista di fama mondiale, la risposta è negativa. E lo spiega in un libro prezioso e affascinante, appena pubblicato da Einaudi, dal titolo forte e chiaro: La morte del prossimo. Per lungo tempo, un doppio comandamento ha retto la morale ebraico-cristiana: ama Dio e ama il prossimo. Ora, all'inizio del XX secolo, Nietzsche ha proclamato la morte di Dio, al cui posto ha innalzato il superuomo. È venuto il momento questa è la tesi di Zoja di prendere atto che anche il secondo pilastro del più grande dei comandamenti è crollato: in altre parole, anche il prossimo è morto, perché l'uomo contemporaneo non ha più tempo, né spazio, né volontà di incontrare l'altro, di prendersi carico del suo vicino. Il prossimo è scomparso dalla nostra vista.
Uno dei pregi del saggio è di saper calare tali affermazioni nel reale, cercando di dimostrarle con esempi concreti, attraverso quella che potremmo definire una fenomenologia della perdita del prossimo. Qualche esempio. Un tempo viaggiare sui mezzi pubblici era un'ottima occasione di conversazione e di amicizia. Al contrario, oggi, ciascuno se ne sta chiuso nel suo guscio, ignorando il proprio compagno di viaggio,aiutato in questo atteggiamento dalla struttura stessa dei mezzi di trasporto : copiando gli aerei, i treni di nuova generazione hanno abolito gli scomparti aperti, fanno trovare numerose riviste nel sedile davanti, calano un televisore in modo da attirare l'attenzione. Oppure, fate un esperimento bellissmo, andate a fare la spesa: un tempo era naturale scambiare saluti e informazioni con il negoziante, mentre oggi ci si serve da soli, in una corsa che finisce davanti alle cassiere, pagate per "liquidare" i clienti quanto più in fretta possibile. E che dire della forma moderna di praticare lo sport? Oggi, per i più significa andare in palestra, tutti concentrati sul propio fisico, magari con i walkman 0 gli i-Pod alle orecchie, per isolarsi dal contesto...
La casistica esibita da Zoja è molto ricca ed efficace, ma lasciamo al lettore il piacere di scoprirla. Qui ci preme compiere un passo ulteriore: quali ripercussioni ha avuto la morte del prossimo, l'eliminazione sensoriale, psicologica e culturale del nostro vicino?
«Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo è la scomparsa della seconda relazione fondamentale dell'uomo. L'uomo cade in una fondamentale solitudine. È un orfano senza precedenti nella storia»
. L'infelicità, la solitudine, la depressione: ecco la triste eredità del venir meno delle relazioni fondamentali con gli altri. Alla luce della sua esperienza come psicoanalista, Zoja individua in questo esser-orfani-del-prossimo la radice profonda di tante malattie psicologiche che tormentano l'uomo contemporaneo. Non è un caso, se la nascita della psicoanalisi coincide proprio con la morte del prossimo (e di Dio). A questo punto, sorge spontanea la domanda: come uscirne? La giriamo a Luigi Zoja, affinché faccia seguire a questa lucida e acuta analisi una proposta costruttiva per recuperare le relazioni fondamentali della nostravita.

Paolo Perazzolo -famiglia cristiana-n° 13-2009

Il problema non è chi è il mio prossimo, bensì la morte del prossimo. Luigi Zoja, lo psicanalista di scuola junghiana che sul tema sta per pubblicare un libro da Einaudi, deve andare in Cina, fra i terremotati dello Sichuan, o in Colombia fra i disadattati di Medelin, per ritrovare “il prossimo”, come se solo lontano fosse possibile ridare vita a questa figura costitutiva del mondo occidentale.
“E’ uno dei paradossi del mondo globalizzato” ammette Zoja.
“Oggi il prossimo lo conosciamo attraverso i mezzi di comunicazione. Magari io sono amico del primo e unico psicanalista junghiano cinese, ho intensi rapporti con un mio collega in Sudamerica, ma non so nulla dei miei vicini, nemmeno di quelli che abitano nel mio condominio”.
Zoja è un idealista, attento ai sogni e alla grammatica di simboli che i sogni veicolano. E’ convinto che “il prossimo” sia morto per via della tecnica e per effetto della laicizzazione. “La morte della fede è un fenomeno relativo, perché la religione sopravvive in molti casi come evento privato. Viceversa, la morte del prossimo è un evento ben più drammatico, di cui abbiamo esperienza quotidiana nell’indifferenza con cui viviamo l’uno accanto all’altro ignorandoci, e nella pretesa di affidarci alla tecnica per comunicare e costruire rapporti interpersonali. Ma gli esseri umani hanno bisogno di calore. Quando non c’era il riscaldamento, si abbracciavano per sentire calore, stavano insieme in locali comuni, non come oggi al ristorante, luogo asettico che si valuta in funzione della distanza tra i tavolini”.
Zoja però va ben oltre nella sua fenomenolgia della scomparsa del prossimo, sino a toccare le radici dell’Occidente . “‘Ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo tuo come te stesso” è il doppio pilastro del comandamento giudeo-cristiano, come attesta sia il Levitico sia i Vangeli sinottici. Alla fine del XIX secolo, Nietzsche ha dichairato ‘Dio è morto’, e nel XX secolo anche quelli che non lo amavano gli hanno dato ragione. L’inizio del XXI secolo spinge a domandarci se non sia crollato anche il secndo pilastro giudeocrsitiano, quello del prossimo. Tutti noi abbiamo esperienza dell’estrema indifferenza con cui guardiamo al prossimo: a pochi metri di distanza muore il nostro vicino di casa e noi nemmeno lo sappiamo, perchè non ce ne interessiamo. Questo succede perché la tecnica deforma la nostra umanità. Un tempo, in uno scompartimento ferroviario si dialogava coi compagni di viaggio. Gli emigranti che salivano sul treno dalla Svizzera diretti in Puglia o in Calabria, parlavano molto, offrivano sempre da mangiare, cercavano rispettosamente di farti domandi, ti chiedevano cosa stessi leggendo. Oggi invece si viaggia in carrozze aperte, ma ognuno se ne sta per conto suo. Parla al telefonino, dimostra affetto al prossimo lontano, ma disturba il prossimo che gli sta seduto accanto”.
Eppure, sempre sul piano della tecnica, se uno tenta di scivolare dall’indifferenza verso il prossimo all’espunzione dall’idea di prossimo che oggi sembra investire in pieno vecchi, bambini, malati terminali o in coma irreversibile, Zoja sembra aderisce solo in parte: “Bisognerebbe valutare caso per caso: certamente un neonato, o un feto nel ventre materno non comunica in senso convenzionale, ma emotivamente e molte mamme son convinte che il bambino che hanno in grembo risponda quando sente la loro voce. Quanto ai vecchi, la comunicazione coi miei genitori di 94 anni è affettiva” dice Zoja, spiegando che passa attraverso il tatto, visto che ormai si articola su poche parole.
“La verità è che la tecnica ha permesso di comunicare, spostando il prossimo in qualcosa di astratto con cui si comunica non coi sensi, con gli occhi, con l’olfatto, ma con l’email. Sicché, il tipo di affettività che passa diventa troppo astratta perdendo concretezza”.
Alla tecnica poi si aggiungono le idee. “Le grandi ideologie del XX secolo hanno commesso una mostruosità: in nome del’amore per l’uomo hanno reso l’uomo un essere astratto. Certo, ci sarà stata anche la mostruosità giuridica, ma è quella tecnica che fa spavento. Gli esseri umani hanno iniziato ad avere le tecniche come appendici del corpo e adesso sono diventati appendici delle macchine. Anche di questo muore l’attenzione verso il prossimo”.

Marina Valensise © Il Foglio, 15 novembre 2008

Per approfondire :
Chi è il mio prossimo di Adriano Sofri (Sellerio) consente un'utile ginnastica mentale sul concetto. Belle, ad esempio, le pagine su don Milani, in cui si mostra come il suo amore per ii particolare (la gente di Barbiana) si è tramutato in un'esperienza dal valore universale.
AI nostro vicino di casa, cioè i popoli dei Balcani, è, invece, dedicato L'altro accanto a noi (Mondadori), 21 racconti di scrittori dei Paesi della ex Jugoslavia che tentano di darci un'idea realistica di che cosa significhi vivere accanto a persone considerate amiche e poi diventate improvvisamente nemiche.
Dalla narrazione passiamo alla filosofia con Possiamo addomesticare l'altro? La condizione globale di Pier Aldo Rovatti (Forum): la paura dell'altro ci porta ad addomesticarlo, con il rischio di rendere impossibile l'incontro.

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