Corso di Religione


LE RELIGIONI NELL'ANTICHITA'


4- LE RELIGIONI ANTICHE

         


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cf .: [ Wikipedia ]
Non siamo in grado di sapere come le diverse culture del Neolitico denominassero l'esperienza del "sacro", non ci è giunta infatti alcuna testimonianza scritta di quelle culture essendo improbabile la nascita di una scrittura in quel periodo. Oggi si discute se le tavolette di Tărtăria , appartenenti alla Cultura Vinča (VI millennio a.C.) o le iscrizioni su ceramica della civiltà di Harappa (IV millennio a.C.), possano o meno rappresentare le prime forme di scrittura dell'umanità.

Ma se da una parte sappiamo che la Cultura Vinča era certamente connessa all'esperienza del "sacro" , dall'altra non siamo in grado di interpretare in alcun modo il contenuto delle tavolette di Tărtăria, come risultano del tutto indecifrabili le iscrizioni della civiltà di Harappa.
Egizi
Le prime informazioni che disponiamo sul modo di denominare il "sacro" risalgono quindi alle civiltà dei Sumeri e degli Egizi risalenti al III e IV millennio a.C. Egizi Ingresso del tempio di Hatshepsut a Luxor. Questo tempio dedicato al dio Amon veniva indicato come  "Santo è il luogo santo di Amon" dove 'Imn sta per "misterioso", "nascosto" ovvero lo stesso nome del dio Amon.

«Amon-Ra, il pastore di tutti i poveri, ha tolto la mia sofferenza durante la processione. Conceda egli una razione a chi ha amato. Amon-Ra, signore di forza, mio signore, potente di ira e grande di amore più di ogni Dio» (Ostracon Cairo 12212)

Gli Egizi furono un popolo agricolo che, stabilitosi in epoca preistorica nel Delta del Nilo, a partire dal V millennio avviò la costruzione delle prime città e nel IV millennio la prima entità statale organizzata.

La civiltà egizia fu fortemente religiosa fin dal primo suo costituirsi.
La vita degli uomini, per gli egizi, dipendeva dalle divinità che garantivano vita, giustizia e sopravvivenza dopo la morte. Gli dei dell'Egitto erano essi stessi delle potenze e dovevano la loro esistenza ad un dio primordiale che creò il cosmo, ordinato e regolato, da un caos precedente.

La vita per gli egizi era sacra e sottoposta alla salvaguardia divina. Il faraone, re-sacerdote dell'Antico Egitto, era il custode della vita e dello stesso Egitto nonché l'intermediario con le divinità e garante della giustizia e della pace tra gli uomini. Aveva il dovere di far costruire i templi che non erano luoghi per la celebrazione di culti ad uso del popolo, ma la dimora degli dei che vi risiedevano.

I sacerdoti dei culti entravano nei templi in sostituzione e con il permesso del faraone. I loro riti garantivano che il cosmo restasse integro, perpetuando ogni giorno la creazione stessa, con i suoi ritmi e le sue fecondità. Durante il rito quotidiano, il sacerdote egizio offriva alla divinità celebrata una statua della dea Maāt, simbolo della forza cosmica, della verità e della giustizia. Grazie a questa offerta il sacerdote partecipava alla coesione del cosmo stesso.
Il termine con cui gli egizi indicavano la sacralità di Dio o degli oggetti sacri è  sublime, sacro, immenso . All'interno dei templi egizi vi era una parte separata in cui potevano entrare solo i sacerdoti di alto rango, questo santuario era denominato naos e accoglieva la statua del dio.

«Il tempio egizio non è una casa di devozione ad uso dei fedeli. È la casa dove abita il dio, presente nel naos tramite la statua. In occasione delle feste, i fedeli si riuniscono sul sagrato. I sacerdoti portano solennemente la statua: il dio viene incontro al suo popolo.

Ogni mattina il sacerdote che è in servizio entra nel tempio. In nome del faraone penetra nel naos e vi celebra il culto. È la celebrazione quotidiana compiuta nelle migliaia di templi che perpetuano la creazione e la vita: il movimento del sole, la fecondità degli animali e degli umani, il ritmo delle stagioni e della vegetazione, la piena annuale del Nilo, fonte del miracolo egizio.

Nel corso del rituale quotidiano, il sacerdote offre al dio una piccola statua della dea Maāt, il simbolo divino delle leggi e delle azioni, della rettitudine del pensiero e dell'ordine del paese. Grazie a Maāt il culto sviluppa una forza cosmica e spirituale che mantiene la coesione del cosmo e della società.»
(Julien Ries. L'uomo e il sacro. Milano, Jaca Book, 2007 pag. 439)


Un altro termine utilizzato per indicare la sacralità di un luogo è ouāb che ne indica la purezza, scopo e condizione di un culto anche funerario. Ouāb, puro, deve essere il defunto che deve incontrare Osiride, ouāb deve essere il sacerdote che vuole entrare nel naos.

«Gudea davanti al suo re, gli rivolse la sua preghiera, gli si avvicinò nella sala del consiglio portò la mano davanti alla bocca (ka šu gál) e disse: "O mio re Ninghirsu[29], signore, che trattiene le acque selvagge, signore benevolo, generato dalla Grande Montagna, giovane privo di legami, o Ninghirsu, io voglio costruire il tuo tempio, tuttavia non ho ricevuto il segno in proposito"»  (Cilindro A VIII 13, IX 4)

I sumeri I Sumeri furono un popolo pre-semitico la cui civiltà fiorì intorno al IV millennio a.C. nella Mesopotamia meridionale. Questa civiltà era costituita da un insieme di città-stato le più antiche delle quali risalgono al 3000 a.C. Tra queste città le più importanti furono: Kish, Ur (che nella Bibbia risulta essere la patria di Abramo) e Uruk (che fu governata dal mitico sovrano Gilgameš).

Mentre Lagaš, Umma e Nippur rappresentavano delle sedi dei culti religiosi. Queste città venivano governate da un re-sacerdote (ensi o anche lugal).
Nel linguaggio dei Sumeri, sacro viene indicato con il termine kù-g, così esso appare nei cilindri A e B di Gudea di Lagaš. Il termine kù-g insiste su un significato di purezza primordiale. Ciò che è puro all'inizio dei tempi questo è "sacro", kù-g. Altri tre termini presenti nei cilindri sono Mah, Zi-d e Me. Il primo, Mah indica la priorità e la trascendenza di re come delle divinità (dingir), o anche di montagne e città, Mah è la superiorità di un dio rispetto ad un altro e si colloca nel sancta sanctorum del tempio sumerico.


Zi-d indica la santità divina. Il sacro kù-g essendo primordiale riguarda innanzitutto le prime due divinità cosmiche: An e Gatumdu. Il terzo termine Me indica la sacralità dell'ordine cosmico.

Con Me viene garantito il destino del mondo. Per i sumeri il mondo è governato e il destino di ciascuno è stabilito dagli dèi. Coltivare il kù-g, la purezza primordiale, e il Me, la sacralità dell'ordine cosmico permette di rendere il mondo armonioso e crea un legame con gli dèi .

Babilonesi Marduk e il drago

«O Marduk guerriero, la cui ira è il diluvio, ma il cui perdono è quello di un padre misericordioso. Parlare senza essere ascoltato mi ha privato del sonno, gridare senza avere risposta mi ha tormentato, ha fatto svanire le forze del mio cuore, mi ha piegato come se fossi un vecchio.» (Testo cuneiforme: King, BMS, 41, 1-4)

I Babilonesi furono un popolo semitico che visse, a partire dal 2000 a.C., tra il corso dei fiumi Tigri ed Eufrate avendo come centro la città di Babilonia (Bābilu, Porta di Dio). Il sesto sovrano babilonese, Hammurabi (1728-1686 a.C.) fondò un regno unitario sottoposto ad un insieme di norme legali che prendono il suo nome, il Codice di Hammurabi.

Hammurabi elevò il Dio Marduk, divinità della città di Babilonia, al rango di protettore di tutto il suo regno. Enūma eliš è il poema religioso babilonese che eleva la figura del dio Marduk su tutte le altre divinità. La sua vittoria su queste ultime riporta l'ordine nel cosmo.

L'antico dio An, colui che ha messo sul trono Marduk, è intriso di anūtu, la primordiale trascendenza. Anūtu è quindi, per i Babilonesi, l'aspetto primordiale del "sacro". Gli Dèi sono indicati con il termine Ilū (plurale, Ilūtu). Tutto ciò che esprime, è in contatto o è il luogo delle divinità (Ilūtu), ovvero tutto ciò che è "sacro" viene indicato con il termine ellu (luce, splendore) ma anche come kuddhushu. Il "sacro" si manifesta sempre come lampo di luce e di splendore. L'uomo ricopre un ruolo piuttosto periferico nella manifestazione del "sacro". Egli fu creato dal dio della conoscenza, Ea, e i suoi atti per raggiungere il luminoso "sacro" sono validi solo se raggiungono il mondo divino. Da qui l'elaborazione di rituali e la costruzione di oggetti e luoghi per creare questo legame tra l'uomo e le divinità espressione del sacro. Antica religione germanica Un particolare della Pietra di Tjängvide (VIII secolo) che mostra il Dio dei Germani Wōdanaz in sella al suo destriero Sleipnir.

«Io so che esiste un frassino chiamato Yggdrasill, un alto albero bagnato di bianca brina; di là derivano le rugiade che cadono nelle valli, e sempre verde sta presso la fonte di Urðr. Di là vengono tre donne molto sagge, dalla sala che sta attorno a quell'albero; una si chiama Urðr, un'altra Verðandi, incidono rune, un'altra Skuld; esse fissarono le sorti e decidono la vita dei figli degli uomini, del destino degli eroi.» (Voluspá 19 e 20)

I Germani sono un popolo indoeuropeo che si stanziò a partire dal XV secolo a.C. in un territorio compreso tra la Germania settentrionale, la Danimarca e la Svezia Meridionale. Da questa regione questa etnia iniziò a spostarsi progressivamente verso Ovest e verso Sud. A tale etnia appartengono, tra gli altri, i popoli: Senoni, Normanni (noti anche come Vichinghi), Angli, Marcomanni, Goti, Vandali, Burgundi, Cherusci, Franchi, Svevi, Longobardi, Frisoni, Sassoni.

I Germani furono cristianizzati a partire dal IV secolo (Goti) fino al XII (Normanni scandinavi).

Ricostruire la religione dei Germani e il loro rapporto con il sacro è compito piuttosto arduo considerando che essa era priva di un sacerdozio dedicato e di veri e propri templi .
Il sacro nella lingua germanico-scandinava è reso con due termini di base: Heilagaz e Wihaz: il primo indica una realtà numinosa ed è collegato al mondo degli Dei, il secondo invece corrisponde ad una forza misteriosa che lega l'uomo al suo Destino (Gaefa) .Heilagaz (anche Heil o Heilig) indica ciò che è inviolabile, ciò che è sacro. Da questo termine deriva l'aggettivo Heilgar inteso come inviolabilità. Heilagaz è il dono delle potenze trascendenti offerto all'uomo come "forza innata", è anche la volontà degli Dèi che va conosciuta per mezzo della divinazione e degli oracoli.

Il mondo dei Germani è infatti un mondo rigidamente segnato dalla nozione di "Destino" (Gaefa) e in questa dimensione il sacro è legato alla consultazione del futuro che attende l'uomo, attraverso la divinazione.

Régis Boyer, ricordando in merito la nozione di hugr (quando un personaggio viene colto da un presentimento ed esprime svá segir hugr mér, "lo hugr mi dice che"), ritiene che:

«Questa è senza dubbio la ragione per cui la divinazione, cioè la consultazione degli àuguri, era tenuta in gran conto, almeno a giudicare da quel poco che sappiamo sul culto presso i Germani» (Régis Boyer.
 
Il Gaefa dell'uomo è un dono delle potenze trascendenti esso va accettato in modo attivo e non subendolo altrimenti perde il suo senso .

Il Destino è dunque il luogo sacro dei Germani che non conoscevano né adorazioni né preghiere.
Anche gli Dèi dei Germani dipendono dal Gaefa, l'intero universo era plasmato da esso.

«Tutto, dei, uomini cose ed elementi è dotato di un megin, cioè in ultima analisi della volontà di organizzare il caos, di assicurare un ordine che corrisponda ad una destinazione senza dubbio chiara, ma da verificare, per assicurare a ogni essere almeno la possibilità di prendere tutto su di sé, realizzando un progetto supremo nella sua modalità specifica» (Régis Boyer). 

La comunità (Aett in Scandinavia, Sippe in Germania), in questa etnia, era fondante lo stesso rapporto col sacro, dimensione che legava tutti i membri di un clan portatori dell'hamingjia questa intesa come espressione degli stessi antenati e di tutta la discendenza ovvero l'onore (virding) e la forza della comunità da cui deriva anche il destino dell'individuo; per questa ragione il senso dell'onore e la fedeltà alla parola data erano essi stessi dimensione del sacro: l'offesa portata ad un individuo o da un individuo era portata alla stessa sacralità del clan e la vendetta un diritto sacro .

«Non c'è alcun testo che prescriva apertamente la vendetta; ma non ce ne sono neppure che la condannino anche se poco giustificata. Chi attenta al mio onore, costruito secondo la mia concezione personale, si fa beffe del sacro che è in me, tende a dissacrarmi. Tutto ciò chiede una compensazione (hót) ...» (Régis Boyer.

L'unico modo per un Germano per attestare la sua aderenza all'hamingjia era manifestarla con i comportamenti che dovevano dimostrare accettazione del Gaefa (la dimensione sacra del Destino) e il rispetto dell'hamingjia (la dimensione sacra della comunità), quindi dell'onore e della fedeltà alla parola data al proprio clan di fronte alle prove della vita, ivi compresa la condotta in guerra.

Il luogo di culto dei Germani veniva indicato con l'altro termine base, Wihaz ( in scandinavo, vigjia in norreno, weihs in gotico), tale luogo era all'aria aperta, spesso adiacente ad alberi o a fonti sacre.

Il capo del clan (Helgi) veniva eletto (intronizzato, arfleiding) dagli altri membri e svolgeva anche funzioni sacerdotali includendo la dimensione dell'Hailagaz e del Wihaz e se si dimostrava indegno del suo compito veniva esso stesso sacrificato ovvero riconsegnato al Destino.

Due comportamenti erano aborriti in questi popoli: l'omosessualità e il tradimento . La famiglia era invece considerata centrale nel rapporto con il sacro a tal punto che la stessa classe degli Dèi era divisa in famiglie e il rito della nascita di un individuo era considerato tra i più importanti: la donna partoriva inginocchiata di modo che il neonato potesse venire accolto dalla Terra madre, purificato con l'acqua veniva mostrato al Sole e solo dopo gli veniva assegnato un nome che doveva richiamare insieme sia quello del padre che quello della madre; dopo l'assegnazione del nome, il bambino veniva integrato nella famiglia.

Colui che violava le regole e l'onore della comunità veniva invece proscritto dalla stessa perdendo così il proprio destino e con esso la stessa ragione di vivere. Essendo i morti degli intermediari tra il sacro e i viventi, i defunti che erano stati in vita proscritti dalla comunità venivano seppelliti sotto cumuli di pietre o abbandonati in mare in quanto avevano perso qualsivoglia forma di esistenza.

Religione grecaIl cigno animale sacro alla Dea ( Afrodite) e compagno di Apollo, nella tradizione religiosa greca è una ierofania vivente della luce.

«Quattro principi fondamentali devono soprattutto valere per quanto riguarda Dio: fede, verità, amore, speranza. Bisogna infatti credere, perché l'unica salvezza è la conversione verso Dio: chi ha creduto deve quanto più è possibile impegnarsi a conoscere la verità su di lui; chi l'ha conosciuto amare colui che è stato conosciuto; chi l'ha amato, nutrire di buone speranze l'anima tutta la vita.» (Porfirio, Lettera a Marcella, 24)

Il radicale in lingua greca che indica il sacro è hag- (corrispettivo del sanscrito yai-). In tal senso: Hagnós nell'Odissea dove indica il sacro divino e la sacra maestà, da qui hagneia nel significato di purezza religiosa consegnata dalla divinità all'uomo prescelto (consacrato); Hágios aggettivo verbale (da hazestai) in Erodoto è ciò che indica il luogo sacro; in Platone esso indica la separatezza del divino dal mondo umano a cui l'anima può aspirare praticando la virtù . Con l'ellenizzazione le divinità orientali importate nella penisola greca vengono indicate come hagios (sacre). Nella Bibbia in traduzione greca, la Septuaginta, il termine ebraico per santo, qadoš, è reso come hagios. Sempre come hagios è reso qodeš (riservato a Dio).

Hierós (corrispettivo del sanscrito isirah) è un altro termine che entra nella sfera del sacro. Esso indica ciò che è forte e che rende forti. In Omero non è mai attribuito ad un essere umano ma solo a realtà o condizioni considerate "potenti". Non indica gli Dèi ma gli oggetti o i luoghi ad essi legati. Da qui i templi che sono indicati come hieroi. I discorsi intorno agli Dèi vengono denominati come hieroi logoi.

I re e i sacerdoti dei culti entrando in rapporto con gli Dèi sono anch'essi hieroi. Nei culti misterici, l'iniziato che ha preso contatto con la potenza divina è esso stesso uno hieros anthropos ( uomo sacro) . Così se Hagnós è riferibile al contesto degli Dèi, alla loro maestà, e Hágios è sempre riferibile agli stessi, Hierós indica prima gli oggetti e i luoghi "toccati" dagli Dèi e, successivamente, gli uomini che hanno avuto esperienza della loro potenza.

Questi uomini non sono "santi", o frutto di un percorso di "santità", sono coloro che sono entrati in diretto contatto con il divino. In epoca ellenistica compaiono i termini hagneia e hagnotes ad indicare la purezza cultuale (non morale).

Ma l'ideale sacro dell'uomo greco è e resta, nei secoli, l'eroe, colui che dopo la morte viene elevato al di sopra della condizione umana di cui Eracle rappresenta l'elemento universale nella cultura greca ma anche romana. Un modello dell'uomo accostatosi al sacro con le sue dodici fatiche e il suo trionfo davanti agli ostacoli, la pazienza di fronte alle difficoltà e al dolore, il coraggio nelle prove della vita.

Tale modello rimanda ad
un altro luogo del sacro greco, la psyché (reso in italiano con il termine "anima"). Tale termine riguarda il centro vitale dell'uomo e compare per la prima volta in Omero a designarne il soffio vitale o, anche, quel 'fantasma' che dopo la morte abita l'Ade. Con gli Orfici psyché è invece il Demone di origine divina (quindi immortale) che corrisponde al centro spirituale ed esistenziale dell'uomo, mentre il corpo, denominato soma, ne indica l'aspetto fisico e mortale

Ma se per gli Orfici la psyché emerge tanto più l'attività cosciente e l'intelligenza vengono limitate (come nei sogni o nello svenimento) è con Socrate che essa viene identificata con la coscienza, aspetto e luogo del Dèmone reso umano.

Michel Foucault  ha ripercorso il cammino dei greci nella "cura di sé" (epimeleisthai) come cura dell'aspetto sacro della propria persona, ovvero del proprio Dèmone. Partendo dagli Orfici, passando per Socrate fino a Platone egli osserva come nella cultura greco-romana:

«Nei periodi ellenistico e imperiale, il concetto socratico del «prendersi cura di sé» divenne un tema filosofico comune, universale. La «cura di sé» fu accettata da Epicuro e dai suoi seguaci, dai cinici, dagli stoici come Seneca, Gaio Musonio Rufo, Galeno; i pitagorici si interessarono molto al concetto di una vita ordinata e comunitaria. La cura di sé non costituiva una raccomandazione astratta, ma un'attività ampiamente diffusa, una rete di obblighi e servigi resi alla propria anima.» (Michel Foucault, Op. cit., p. 23)

Religione romana «Accorrete in aiuto, accorrete sempre in aiuto, Dèi Penati, tu, Apollo, e tu, Nettuno, con la clemenza del vostro nume allontanate tutti questi mali, che mi bruciano, mi atterriscono e mi tormentano.» (Riportato da Arnobio in Adversus nationes III, 43)

Dal termine latino arcaico sakros originano due successivi termini latini: sacer e sanctus. Lo sviluppo del termine sakros, nel suo variegarsi di significati procede, per quanto inerisce al sanctus per via del suo participio sancio che è collegato a sakros per mezzo di un infisso nasale . 

Sacer e sanctus, pur provenendo dalla stessa radice sak, possiedono dei significati originari molto diversi. Il primo, sacer, è ben descritto da Sesto Pompeo Festo (II secolo d.C.) nel suo De verborum significatu dove precisa che: «Homo sacer is est, quem populus iudicavit ob maleficium; neque fas est eum immolari, sed, qui occidit, parricidii non damnatur.». Quindi, e in questo caso, l'uomo sacro è colui che portando una colpa infamante che lo espelle dalla comunità umana deve essere allontanato. Non lo si può perseguire, ma non si può perseguire nemmeno colui che lo uccide. L'Homo sacer non appartiene, non è perseguito né è tutelato dalla comunità umana.

Sacer
è quindi ciò che appartiene ad 'altro' rispetto agli uomini, appartiene agli Dèi, come gli animali del sacrificium (rendere sacer). Nel caso di sacer la sua radice sak inerisce a ciò che viene stabilito (sak) come non attinente agli uomini.

Sanctus invece, come spiega il Digesto, è tutto ciò che deve essere protetto dalle offese degli uomini.
È sancta quell'insieme di cose che sono sottomesse ad una sanzione. Esse non sono né sacre né profane. Esse non sono comunque consacrate agli Dèi, non appartengono a loro.

Ma sanctus non è nemmeno profano, deve essere protetto dal profano e rappresenta il limite che circonda il sacer anche se non lo riguarda.

Sacer
è tutto ciò che appartiene quindi ad un mondo fuori dall'umano: dies sacra, mons sacer.

Mentre sanctus non appartiene al divino: lex sancta, murus sanctus.

Sanctus è tutto ciò che è proibito, stabilito, sanzionato dagli uomini e, con questo, anche sanctus si relaziona al radicale indoeuropeo sak. Ma col tempo, sacer e sanctus si sovrappongono. Sanctus non è più solo il "muro" che delimita il sacer ma entra esso stesso in contatto col divino: dall'eroe morto sanctus, all'oracolo sanctus, ma anche Deus sanctus.
Su questi due termini, sacer e sanctus, si fonda un ulteriore termine, questo dall'etimologia incerta, religio, ovvero quell'insieme di riti, simboli, credenze e significati che consentono all'uomo romano di comprendere il "cosmo", di stabilirne i contenuti e di mettersi in relazione con esso e con gli Dèi. Così la città di Roma diviene essa stessa sacra in quanto avvolta dalla maiestas che il Dio Iupiter ha consegnato al suo fondatore, Romolo. Attraverso le sue conquiste, la città di Roma offre una collocazione agli uomini nello spazio "sacro" da essa rappresentato.
La sfera del sacer-sanctus romano appartiene al sacerdos che, nel mondo romano unitamente all'imperator si occupa delle res sacrae che consentono di rispettare gli impegni verso gli Dèi. Così sacer divengono le vittime dei "sacrifici", gli altari e le loro fiamme, l'acqua purificatrice, gli incensi e le stesse vesti dei "sacerdoti". Mentre sanctus è riferito alle persone: i re, i magistrati, i senatori (pater sancti) e da questi alle stesse divinità."


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