Corso di Religione



IL BUDDISMO
Introduzione
         


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Buddismo e neuroscienze “La nostra testa è una casa vuota.” [ Il cervello del Buddha. Dharma e neuroscienze di Erik Davis - 23/03/2010 . Cf.: Francisco Varela, Evan Thompson, Eleanor Rosch. La via di mezzo della conoscenza. Le scienze cognitive alla prova dell’esperienza. Feltrinelli. 1992.]

"Da oltre un secolo il buddismo è visto da molti occidentali come una religione ‘scientifica’. Non vincolati dalla credenza in un Dio creatore e in un’anima eterna, il Buddha e i suoi primi seguaci si servirono della meditazione come di un microscopio psicologico, per esaminare e decostruire la nostra abituale certezza dell’esistenza di un “io” in prima persona.

La pratica introspettiva può portare a fare esperienza personale di una delle percezioni fondamentali del buddismo:


il Sé ( l'autocoscienza dell' "Io") che crediamo di essere, quell' "Io-sono" che coccoliamo, vantiamo e per cui ci preoccupiamo, essenzialmente non esiste.

Il problema della coscienza e di dove sia situata è una questione tutt'ora irrisolta per le scienze cognitive e le neuroscienze.

Alcuni studiosi del cervello ritengono che le descrizioni oggettive dell’attività cognitiva in terza persona, il cervello come organo, siano di gran lunga più utili per capire come la mente effettivamente funziona che non le descrizioni soggettive della coscienza, quelle in prima persona , cioè il nostro flusso di impressioni, pensieri, sensazioni e ricordi.

Essendo il Buddismo basato su una tolleranza senza riserve, si adattò ad abitudini mentali e a sfere culturali diverse, poiché non possedeva né un'organizzazione clericale chiusa con al vertice un'autorità indiscussa, né una ortodossia dottrinale.

Uno dei primi testi buddisti, il cosiddetto Abhidharma , la cui stesura finale risale al 400 d.C., distrugge le rassicuranti forme della coscienza ordinaria riducendole a un monotono catalogo di fattori mentali e sensoriali: un approccio che ci potremmo aspettare solo da un filosofo cognitivo amante delle descrizioni oggettive in terza persona.

Alcuni neuroscienziati sostengono che, benché la soggettività eserciti un innegabile richiamo intuitivo, la nostra esperienza è inattendibile come fonte di informazioni: è un pantano di illusioni e miti che oscurano la ricerca di una descrizione della realtà.

Altri, al contrario, sostengono che l’esperienza è una componente irriducibile dello studio della mente.

" Negare la verità della nostra propria esperienza nello studio scientifico di noi stessi non è solo insoddisfacente, bensì dissolve l’argomento stesso che ci proponiamo di studiare." Così scrive Varela , neuroscienziato , il quale sostiene che se da un lato la scienza cognitiva continua a scavare nei fondamenti materiali della conoscenza, è importante che ai modelli che risultano da questo studio faccia da contrappeso una “disciplinata analisi” dell’esperienza stessa.

Studente del maestro buddhista Chogyam Trungpa , nonché organizzatore di vari incontri istituzionali fra il Dalai Lama e scienziati occidentali, Varela ritiene che il buddismo possa offrire un raffinato strumento introspettivo che l’Occidente ha finora ignorato.

“Al Buddha non interessava tanto la coscienza cosmica quanto la coscienza biologica,” dice un neuroscienziato ricercatore americano, Nisker
.

Buddha diceva: vai dentro di te ed osserva come accade la percezione, osserva come funziona la tua mente reattiva.”


“Noi occidentali arriviamo alla religione da una prospettiva giudeo-cristiana, che in genere significa un sacco di pensieri, dottrine e dogmi,” dice il neuroscienziato Austin ,ex ricercatore presso l’Università del Colorado.

“L’approccio del buddhismo Zen alla religione e meditazione è più come imparare ad andare in bicicletta che come seguire un corso di astrofisica. Vuol dire mettere il sedere su un cuscino, fidarsi del proprio corpo e lasciarsi andare...”


La teoria basilare di Austin è che quegli occasionali momenti di chiarezza intuitiva che sono detti nel buddhismo Zen kensho o satori  corrispondano a una sorta di ‘riavvio’ (re-boot) del cervello che dissolve strutture mentali abituali e ammuffite (particolarmente strutture centrate sulle idee ‘io, me , mio’) e ne ricostruisce altre più elastiche, più ricettive e più compassionevoli.

“Nella nostra cultura siamo ossessionati dallo psicologismo . dice Nisker, Ma chi siamo e come ci comportiamo dipende molto più dalla struttura del nostro cervello e del nostro sistema nervoso che da come ci è stato insegnato a usare il vasino da piccoli.”

Nisker sostiene che il buddismo fa un passo al di là della scienza in quanto lavora per una radicale trasformazione delle nostre menti, che sono in gran parte reattive.

“Non è necessario parlare di spiritualità, questo antico metodo serve per esaminare chiaramente il nostro condizionamento umano. Quando vedi chiaramente questo condizionamento puoi accrescere la consapevolezza dell’intero processo e trovare in esso più libertà. ”

Psicanalisi e buddhismo vedi anche : La psicologia di Jung e il Buddhismo Tibetano

Carl Gustav Jung -1875-1961. Svizzero, figlio di un pastore protestante con tendenze esoteriche, diventa medico a Basilea, l'università dove era docente il nonno, fondatore della prima casa di cura per bambini malati di mente.

Durante gli studi coltiva con amici l'occultismo e fa esperimenti di parapsicologia. Laureato, diventa medico a Zurigo. Incontra nel 1907 Sigmund Freud padre della psicoanalisi, il quale lo coinvolge come suo collaboratore. Abbandona la vita di medico per seguire Freud nei suoi viaggi.

Nel 1902 pubblica il suo primo lavoro sulla  psicologia analitica  differenziandosi dalla scuola freudiana. Nasce il sistema junghiano di psicoanalisi. Jung viaggia in tutti i continenti e studia popoli e religioni.

E' interessante comparare le tesi junghiane con il buddhismo. Uno degli aspetti particolarmente nuovi all'interno del sistema junghiano è quello che riguarda la libido (manifestazione dinamica dell'energia psichica dovuta allo stesso istinto di conservazione) l'insieme delle pulsioni sessuali e che fu al centro delle divergenze con Freud, al punto che sfociarono nella  spaccatura e nelle dimissioni dalla Società Psicoanalitica Internazionale nel 1914.

Mentre infatti Freud considerava la libido come unica fonte di energia psichica-vero aspetto pulsionale e sola spinta al comportamento-Jung riteneva che in realtà nell'uomo sono presenti diverse forme di energia psichica, tutte importanti - decisive come spinte pulsionali, e tra di esse va collocata - senza alcun primato particolare - la libido.

Come in fisica sono presenti energie quali la luce, il calore, ecc., e anche in psicologia occorre prendere in considerazione altre forme di energia, precedentemente trascurate, che esercitano il medesimo ruolo svolto dalla libido.

Ma c'è un altro aspetto che differenzia da Freud, e che riguarda la combinazione di causalità e teleologia (=finalizzazione).

Secondo Jung il comportamento quotidiano sarebbe dovuto, oltre che a tutta una serie di fattori causali (storia individuale, razza, appartenenza, ecc.), anche a orientamenti finalistici, ossia a fini e aspirazioni che ogni singolo individuo scorge dinanzi a sè nel corso della sua esistenza. 

Il comportamento individuale non è più quindi da interpretare come unico e inevitabile risultato di aspetti retroattivi, di un passato che esiste come esclusiva realtà, ma viene modellato in base alla proiezione effettuata dal soggetto verso il futuro, carico di potenzialità e quindi di attese da realizzare.  In pratica cioè per Jung l'uomo vive sia cause che di scopi.

In lui sono compresenti uno sviluppo costante, spesso creativo, un anelito all'universalità e alla completezza, un desiderio di rinascita

Ciò ovviamente non vuol dire negare l'influsso dì condizionamenti di vario genere, in quanto lo stesso aspetto finalistico puo' essere interpretato in un certo qual modo come e causa e motore delle proprie attività psichiche.

Piuttosto si tratta di evidenziare delle forze interne, in buona parte ricondotte da Jung  al legame ancestrale con gli antenati, che guidano nella condotta, determinano ciò di cui l'individuo diverrà cosciente, vengono accolte nel mondo delle esperienze personali.

In altre parole, «il percorso psicologico umano si colloca  tra una condizione di coercizione, nelle numerose forme che questa assume, e una fondamentale spinta verso la libertà, che è comunque la libertà vincolata alla propria inalienabile soggettività» (Carotenuto).

Se l'individuo è considerato come il prodotto la sintesi della propria storia ancestrale, il precipitato delle esperienze che l'umanità intera ha vissuto e che costituiscono il suo bagaglio personale, un peso determinante è esercitato dalle origini razziali.

Le predisposizioni cioè sono solo frutto di determinismi biologici e di legami infantili, ma rimandano a quanto trasmesso attraverso miti, religioni, riti, usi, e costituiscono ciò che Jung definisce «inconscio collettivo». 

«Ciascuno di noi ha vissuto, nella realtà o in fantasia, eventi determinanti per la struttura della propria personalità, che riguardano principalmente il rapporto con i genitori e che si sono sedimentati nell'inconscio: il passato personale è una delle prime dimensioni dell'inconscio a emergere spontaneamente in analisi.

Ma Jung ritiene che l'inconscio non sia esclusivamente un ricettacolo di esperienze infantili rimosse, ma anche il luogo di una psiche oggettiva, che rimanda alle basi filogenetiche, istintuali della specie umana.

L'inconscio, in questo senso, è ripetitivo e monotono, perché esprime contenuti che riguardano l'uomo, non in quanto individuo, ma in quanto rappresentante della specie. Originale è invece la relazione che ciascuno instaura con queste immagini collettive, dando vita a soluzioni assolutamente personali»
(Carotenuto, 1991, p. 201).

Jung nella sua prospettiva infatti, sostiene che l'inconscio costituisce un raccoglitore non solo di contenuti infantili rimossi ma anche del patrimonio psichico cui appartengono gli «archetipi» che sono strutture fondamentali dell'esperienza psichica, predisposizioni a rivivere le esperienze essenziali della specie umana, modelli o stampi su cui si vengono specificando le diverse tappe della maturazione psichica. 

Fu per questo che giunse a ipotizzare l'esistenza di un inconscio archetipico constatando come, all'interno di culture diverse, ricorressero tematiche analoghe, rappresentate in forma di motivi mitologici tipici, come pure in immagini emergenti dall'inconscio dei pazienti, la cui interpretazione non può essere esaurita da contenuti esclusivamente personali.

«Inconscio collettivo è un deposito di immagini latenti, che di solito Jung chiama immagini primordiali. Primordiale significa "primo" o "originario"; perciò un'immagine primordiale si riferisce al primissìmo sviluppo della psiche.

L'uomo eredita queste immagini sia dai suoi antenati umani sia dai suoi  (eventuali) ascendenti preumani o animali. Queste immagini della razza non sono ereditate nel senso che un individuo coscientemente ricorda o ha immagini simili a quelle dei suoi antenati.

Si tratta piuttosto di predisposizioni o potenzialità nell'avere esperienze o dare risposte all'ambiente nello stesso modo in cui le ebbero o le dettero i suoi antenati.

Si consideri, per esempio, la paura che l'uomo ha dei rettili o del buio. Non occorre che egli apprenda queste paure da esperienze avute con i rettili o col buio, sebbene tali esperienze possano rafforzare o riconfermare le sue predisposizioni.

Noi ereditiamo predisposizioni a temere i rettili e il buio perché i nostri antenati primitivi, per un numero sterminato di generazioni, provarono queste stesse paure che si scolpirono nel loro cervello» (Hall e Nordby, 1982, pp. 34-35).

Gli archetipi

Jung presenta l'archetipo come una realtà tra lo psichico e il somatico: da un lato ha le radici nell'istinto e dunque nella sfera organica, dall'altro presenta una dimensione immaginifica e spirituale, che rimanda all'inconscio collettivo e alla sua funzione di attivare delle risposte di adattamento che consentono alla specie umana di sopravvivere di fronte alle angosce fondamentali che minacciano di disintegrare l'identità e il senso di continuità e di coesione.

Gli archetipi allora possono essere identificati come strutture fondamentali dell'esperienza psichica che tendono a essere rivissute se riattivate da esperienze simboliche ; fondamenta dell'anima nascoste in profondità; immagini primordiali, rappresentazioni primigenie trasmesse geneticamente dai tempi più remoti e comuni a tutti gli uomini.

Nella vita «vi sono tanti archetipi quante situazioni tipiche. La continua ripetizione ha impresso queste esperienze nella nostra costituzione psichica, non nella forma d'immagini dotate di contenuto, ma in principio solo come 'Forme senza contenuto", atte a rappresentare solo la possibilità d'un certo tipo di percezione e azione» (C.G. Jung, Il concetto d'inconscio collettivo, p. 49).

Alcuni degli archetipi indicati da Jung sono: la nascita, la rinascita, la  morte, il potere, l'energia, la magia, l'unità, l'eroe, il fanciullo, Dio, il demone, il vecchio saggio, la madre terra, l'animale, il gigante, diversi oggetti naturali come gli alberi, il sole, la luna, il vento, i fiumi, il fuoco, e molti manufatti umani, come gli anelli e le armi. Non sempre essi sono presenti in forma isolata. A volte si fondono.

«Se l'archetipo dell'eroe si combina con quello del demonio, il risultato può essere una persona del tipo "tiranno". Oppure: se gli archetipi della magia e della nascita si fondono, il risultato può essere un "mago della fertilità", del tipo di quelli che si trovano in certe culture primitive.

Questi maghi rappresentano i riti della fertilità a vantaggio delle giovani spose che vogliono avere figli. Poiché gli archetipi sono in grado di influenzarsi a vicenda in diverse combinazioni, il fatto costituisce un ulteriore fattore nel produrre le differenze di personalità che esistono tra gli individui»

(Hall e Nordby, 1982, p. 38).

Tra gli archetipi che giacciono nell'inconscio è di massima importanza il Selbst (cioè il sé), che è l'immagine archetipica della maturità psichica, il modello dell'integrazione funzionale e della stabilità della personalità.

Esso è il punto centrale della personalità, attorno a cui si raggruppano tutti gli altri sistemi. Li mantiene uniti, dà alla personalità equilibrio, stabilità, unitá

«Quando un individuo dice di sentirsi in armonia con se stesso e con il mondo possiamo essere sicuri che l'archetipo del sé sta svolgendo bene il suo lavoro. D'altro canto, quando uno si sente "frastornato" e insoddisfatto, o avverte di "stare andando a pezzi", vuol dire che il sé non sta facendo bene il suo lavoro» 

Inoltre, il Selbst costituisce lo scopo della vita, un fine per cui l'uomo lotta costantemente ma che di rado raggiunge. Come tutti gli archetipi, è all'origine del comportamento dell'uomo e lo spinge a ricercare la totalità, specialmente attraverso le vie offerte dalla religione.

«Nelle religioni orientali certe pratiche ritualistiche per raggiungere l'autocoscienza, come le forme di meditazione dello yoga, mettono in grado gli orientali di percepire il sé più facilmente dell'uomo occidentale» (ibidem, p. 51).

Le figure del Cristo e dei Buddha sono allora le manifestazioni dell'archetipo del sé più altamente differenziate che si possono trovare nel mondo moderno.

Infatti,

«Buddha divenne, per così dire, l'immagine del compimento del Sé; divenne per gli uomini un modello da imitare, mentre in effetti aveva predicato che, grazie al superamento della catena del Nidana [i dodici nessi causali che legano al flusso delle esistenze n.d.r.], ogni essere umano avrebbe potuto divenire un illuminato, un Buddha.

La stessa cosa si è verificata nel cristianesimo: Cristo è l'esemplare che vive in ogni cristiano come sua personalità totale. Ma il corso della storia portò alla imitatio Christi, con la quale l'individuo non segue il proprio fatale cammino verso la via che l'interessa, ma cerca di imitare la via seguita da Cristo.»
 ( Jung: Ricordi, sogni, riflessioni )

Jung ritiene dunque che l'uomo sia guidato da una psiche oggettiva ereditaria. Uno dei suoi meriti è stato quello di aver evidenziato, accanto e oltre all'inconscio personale - nel quale giocano un ruolo centrale sia l'esperienza personale che le vicende dei passato - un inconscio collettivo, patrimonio arcaico dell'umanità, che trascende l'esistenza storica del singolo individuo e fa riecheggiare ciò che nel corso dei millenni le strutture archetipiche hanno tramandato e continuano a tramandare a ogni uomo.

Ed è all'interno di tale teoria della personalità che vanno individuate le singole istanze psicologiche dell'inconscio collettivo.

La persona

La «Persona» è l'aspetto più epidermico della personalità, quel «segmento dell'inconscio collettivo» che costituisce «una maschera che simula l'individualità, che fa credere agli altri che chi la porta sia individuale (ed egli stesso vi crede), mentre non si tratta che di una parte rappresentata in teatro, nella quale parla la psiche collettiva. [ ... ] Tutto sommato, la Persona non è nulla di "reale". E' un compromesso fra l'individuo e la società su "ciò che uno appare".

L'individuo prende un nome, acquista un titolo, occupa un impiego, ed è questa o quella cosa. In un certo senso ciò è reale, ma in rapporto all'individualità del soggetto in questione è come una realtà secondaria, un mero compromesso, a cui talvolta altri partecipano ancor più di lui.

La Persona è un'apparenza, una realtà bidimensionale, come scherzosamente la si potrebbe definire»
(C.G. Jung, L'io e l'inconscio, pp. 155-156).

Così intesa, la Persona corrisponde al "ruolo" che ogni uomo è costretto a rivestire. Essa, permettendo la mediazione tra il singolo e il mondo esterno, promuove l'adattamento attraverso tutta una serie di regole e di comportamenti.


Ovviamente, in tal modo essa porta il soggetto ad appiattirsi completamente nel ruolo e, in definitiva, nel pensiero collettivo, facendogli perdere l'identità personale, comprimendo la ricchezza nei limiti di un'etichetta, mortificando quella duttilità che invece costituisce la vera grandezza dell'uomo e la prerogativa di ogni processo creativo.

«La persona è necessaria alla sopravvivenza. Ci permette di avere rapporti di tipo amichevole con la gente, anche con quella che non ci piace. Può condurre al successo personale.  E' il fondamento della vita sociale e di relazione. ... ]

Un altro vantaggio della persona è che le ricompense materiali che essa comporta possono essere utilizzate per condurre una vita privata più gratificante e forse più naturale»
(Hall e Nordby, 1982, pp. 40-41).

Ma c'è un altro prezzo da pagare, ed è il rischio della nevrosi.

«C'è della gente - scrive Jung - che crede sul serio di essere ciò che rappresenta. [ ... ] L'inconscio non tollera in alcun modo un simile spostamento del centro di gravità. Osservando criticamente questi casi, scopriamo che la maschera disegnata è compensata interiormente da una "vita privata".

Chi si costruisce una Persona troppo perfetta, diventa in cambio eccitabile e pieno di fisime. Bismarck aveva eccessi di pianto isterico, tenne un carteggio a proposito dei nastri di seta della sua veste da camera, Nietzsche scriveva lettere a un "caro lama", Goethe intratteneva colloqui con Eckermann, e così via.

Ma ci sono cose più raffinate che i banali scadimenti degli eroi. Conobbi una volta un uomo degno di grandissima stima, che senza difficoltà potrebbe esser detto un santo. Per tre giorni gli girai attorno e non potei mai scoprire in lui le pecche dei comuni mortali.

Il mio senso di inferiorità diveniva minaccioso e cominciavo già a pensare sul serio a correggermi. Ma al quarto giorno sua moglie mi consultò... Da allora in poi non mi è mai occorso nulla di simile.

Ma da ciò imparai che chi s'identifica con la sua Persona può far recitare tutto ciò che disturba da sua moglie, senza che lei lo noti benché paghi la propria abnegazione con una grave nevrosi»
(Jung-L'io e l'inconscio). 

Lá Persona quindi è sempre legata a una particolare sofferenza psicologica, non è semplicemente imposta dall'esterno, ma riflette una scelta inconscia ed esprime un'esigenza difensiva.

Al contrario della luminosa Persona, l'Ombra appartiene al l'oscurità psichica e indica quegli aspetti della personalità che sono maggiormente penosi e che generano colpa, vergogna, senso di impotenza, vissuti persecutori,autosvalutazione.

Essa «mette alla prova l'intera personalità dell'io; nessuno infatti può prendere coscienza dell'Ombra senza una notevole applicazione di risolutezza morale. Ciò significa riconoscere come realmente presenti gli aspetti oscuri della personalità: atto che costituisce la base indispensabile di qualsiasi forma di conoscenza di sé, e incontra perciò di solito una notevole resistenza.

In quanto la conoscenza di sé costituisce una misura psicoterapeutica, essa comporta spesso un lavoro faticoso che può prolungarsi per molto tempo»
(C.G. Jung, Aion: ricerche sul simbolismo del Sé, p. 8). 

L'esperienza dimostra che «fin quando non ci troviamo in condizioni di stress, la nostra Persona può rimanere integra; quando invece interviene un fatto traumatico, come ad esempio un incendio in un luogo affollato, l'altro, a cui fino a un istante prima cedevamo il passo per educazione, non diventa che un ostacolo alla nostra salvezza, per cuì non esitiamo a travolgerlo e a calpestarlo.

Si tratta di una reazione irriflessa dal momento che il fuoco attiva un terrore primordiale, reazione che è in sostanza una messa in atto di contenuti d'Ombra.

Qualcuno forse avrà la forza di controllarsi anche in simili circostanze, ma appartiene a un'esigua minoranza. Naturalmente questo è un caso estremo, ma purtroppo è sufficiente uno stimolo assai più tenue per innescare i comportamenti d'Ombra; basta, infatti, sollecitare un individuo nel suo complesso a tonalità affettiva per vederlo trascendere, e si capisce che in tal caso l'elemento sollecitante sarà del tutto soggettivo. 

In sintesi, in circostanze collettivamente o individualmente adatte può innescarsi l'archetipo dell'Ombra, mentre le condizioni di assenza di tensione e di conflitto favoriscono i comportamenti corretti di superficie. Fin quando non veniamo messi alla prova facciamo facilmente parte della schiera degli angeli, ma di fronte alle difficoltà è molto più impegnativo mantenere una condotta ideale»

(Carotenuto, 1991).

L'anima

Considerando gli archetipi che ereditiamo come i maschi diventano uomini e le femmine donne?

Per affrontare il tema della relazione tra maschile e femminile, sia a livello interpersonale che a livello intrapsichico, Jung postula un'istanza psichica che si presenta in forma bipolare e che chiama Anima/Animus. 

Per «Anima» egli intende l'immagine del femminile che o gni essere umano di sesso maschile ha interiorizzato, mentre per «Animus» egli comprende immagine dei maschile che ogni essere umano di sesso femminile ha interiorizzato .

Triplice è l'origine che Jung attribuisce a questa coppia di opposti: 
- a livello biologico rimanda alla presenza di una minoranza di geni femminili in un corpo maschile, e viceversa per un corpo femminile.

«In ciascun sesso è insito (fino a un certo punto) il sesso opposto dato che, dal punto di vista biologico, è soltanto la maggior quantità di geni maschili che fa pendere la bilancia dalla parte della virilità.

Il minor numero di geni femminili sembra costituire un carattere femminile che però, a causa della sua inferiorità quantitativa, solitamente rimane inconscio»
(C.G. Jung, Determinanti psicologiche del comportamento umano).

L'anima,
- a livello esperienziale trae origine dalle prime esperienze infantili con figure femminili e/o maschili affettivamente significative; 
- a livello archetipico esprime una dimensione psichica universalmente diffusa, appartenente a ogni collettività di uomini sulla terra.



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