Corso di Religione

RELIGIONI IN DIALOGO

INTRODUZIONE
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La posizione dottrinale della Chiesa cattolica di fronte alle religioni del mondo. Relazione al Meeting di Rimini-2006 Julien Ries, Direttore del Centro di Storia delle Religioni presso l’Università Cattolica di Lovanio

" Affrontiamo oggi una delle grandi questioni della Chiesa, forse la più attuale, che riguarda il nostro modo di rapportarci a milioni di uomini e di donne. Si tratta della posizione dottrinale della Chiesa cattolica di fronte alle religioni del mondo.

Secondo le statistiche fornite da The Britannic Book of the Year del 1997, sul nostro pianeta ci sono 1 miliardo e 154 milioni di cristiani – di cui 980 milioni sono cattolici – un miliardo e 126 milioni di musulmani, 793 milioni di indù, 325 milioni di buddisti, 243 milioni di confucianisti, 117 milioni di scintoisti, 50 milioni di taoisti, venti milioni di shiks, 14 milioni di ebrei, 5 milioni di jaïns.


Nella dichiarazione Nostra Aetate, il Concilio Vaticano II si esprime così a proposito delle religioni non cristiane: La Chiesa cattolica non rifiuta niente di quello che è vero e santo in queste religioni. La Chiesa rispetta profondamente tali maniere di vivere e di agire, queste regole e dottrine che, anche se differiscono in molti punti rispetto a quelle che essa propone, apportano spesso un raggio della verità che illumina tutti gli uomini " (n. 2).

Ed il testo continua invitando i cristiani al dialogo con gli altri fedeli.


Nell’enciclica Redemptoris Missio del 7 dicembre 1990, Papa Giovanni Paolo II riprende il tema del dialogo in questi termini:

"Il dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma è un’attività che ha proprie motivazioni, esigenze e dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell’uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole
(cfr. Redemptor hominis, n. 12). Con esso la Chiesa intende scoprire i "germi del Verbo", i "raggi della verità che illumina tutti gli uomini", germi e raggi che si trovano nelle persone e nelle tradizioni religiose dell’umanità" (n. 56). "

Il cantiere della teologia delle religioni
I diversi documenti emanati dal Concilio Vaticano II, dai Papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, dai Segretari romani così come la progressione del dialogo interreligioso in questi ultimi trent’anni, hanno aperto il vasto cantiere della teologia delle religioni.

Questo cantiere ha come sfondo il dialogo interreligioso e la definizione dello statuto del cristianesimo e delle religioni del mondo in quanto realtà socio-culturali relative alla salvezza dell’uomo.

Le religioni sono viste come delle mediatrici della salvezza.


I presupposti teologici fondamentali
Questi presupposti sono stati elaborati dalla Commissione Teologica Internazionale di Roma (CTI) che lavora sotto la direzione di Giovanni Paolo II ed è composta da trenta teologi provenienti dal mondo intero.

1. La volontà salvifica universale del Padre


La teologia delle religioni si appoggia sulla volontà divina della salvezza di tutti gli uomini, senza distinzione di popoli o di razze. Questa volontà è affermata in vari testi biblici (Ef 1,3-10, Gv 3,16-17, Rom 5,8-11). L’iniziativa di salvezza del Padre è sottolineata soprattutto da Paolo e da Giovanni, per i quali la volontà divina è senza restrizione alcuna. Già l’Antico Testamento lo annunciava.

2. Il mediatore della salvezza è Gesù Cristo.

Tutto è stato creato per Cristo ed in Cristo. Egli è il primogenito di tutte le creature (Col 1,15-20). Paolo insiste sul parallelo tra Adamo e Cristo. Il prologo del Vangelo di Giovanni è esplicito a questo proposito: agli inizi della creazione il Logos è presente ed illumina tutti gli uomini proprio in quanto Logos.

L’unico mediatore, Cristo, è in relazione con la volontà salvifica di Dio (Tim 2, 3-6). Il Nuovo Testamento mostra la volontà di salvezza di Dio ed il legame di quest’ultima con l’opera redentrice di Gesù.

3. La tradizione della Chiesa ha ripreso questa insistenza della volontà di salvezza.

Nel II secolo san Giustino parla dei germi del Logos presenti nella filosofia greca ed afferma che ci sono sempre stati degli uomini che hanno partecipato alla sua verità (Apol. I,44,10; 46, 2-4). Per Clemente di Alessandria, la presenza di tali germi si riscontra e tra i greci e tra i "barbari" (Protr. I 6,4; X 98,4).

Ireneo di Lione sottolinea che, nel corso della storia, il Logos ha accompagnato gli uomini in vista dell’incarnazione, grazie alla quale Gesù ha portato tutta la novità (Ad. Haer. IV, 34,1). Secondo Gregorio di Nissa, il Figlio ha preso sulle spalle l’umanità tutta intera per presentarla al Padre (Contra apol. XVI).

Nei vari testi nei quali si tratta della salvezza, il Concilio Vaticano II ha ripreso questa dottrina patristica ed ha valorizzato particolarmente il tema dell’immagine di Adamo che, per i Padri della Chiesa, prefigurava la futura economia dell’umanità realizzata nell’incarnazione del Verbo.

4. L’universalità dello Spirito Santo.

L’azione dello Spirito Santo si trova già nella creazione. Il libro della Sapienza dice che lo Spirito riempie l’universo. La creazione dell’uomo ad immagine di Dio è associata all’azione dello Spirito ed il peccato è considerato come ciò che distrugge tale collaborazione.

Le diverse alleanze costituiscono un rinnovamento nello Spirito, che diventa definitivo con l’invio dello Spirito nel giorno di Pentecoste. Lo Spirito agisce nella storia degli uomini, nelle culture, svolgendo una funzione di preparazione evangelica.

5. La Chiesa come sacramento universale di salvezza.

La Commissione Teologica Internazionale afferma che il principio extra Ecclesiam nulla salus ( non c'èsalvezza fuori dalla Chiesa ) inteso in senso esclusivista ha reso impossibile per molto tempo qualunque apprezzamento teologico delle religioni, ma ha permesso di ritrovare la visione sacramentale della Chiesa.

Il Concilio Vaticano II ha precisato il fatto che, se i non cristiani sono parte anch’essi del popolo di Dio, ciò è fondato sulla chiamata universale alla salvezza che include la vocazione di tutti all’unità cattolica.

6. L’unione al mistero pasquale.

La Commissione Teologica Internazionale va ancora oltre. Basandosi sulla Gaudium et spes (n. 22), afferma che tutti gli uomini di buona volontà, nei quali la grazia agisce in modo invisibile, possono essere associati al mistero pasquale grazie all’azione dello Spirito Santo, e camminare così incontro alla Resurrezione.

Dopo aver chiarito quali sono i diversi elementi ripresi dai documenti fondatori della Chiesa alla luce del Concilio Vaticano II ed aver messo in luce le recenti decisioni del magistero, la Commissione Teologica Internazionale mette in evidenza le componenti specifiche di una teologia delle religioni.

1. Presenza di valori salvifici nelle religioni.

Diversi testi conciliari indicano il fatto che anche i fedeli delle religioni non cristiane sono associati alla salvezza. Essi sono associati al popolo di Dio in un modo diverso rispetto ai cristiani (L.G., n. 16). Sono illuminati da raggi di luce (N.A., n. 2); possiedono i germi del Verbo (A.G., n. 11). Certo, i riti e le tradizioni dei popoli hanno bisogno di purificazione, ma in questi riti ci sono degli elementi di grazia che toccano i cuori (A.G., n. 9).

L’enciclica Redemptoris Missio va ancora oltre, sottolineando che l’azione dello Spirito Santo si fa sentire tra gli uomini di buona volontà, ma anche nelle società, nel corso della storia, tra i popoli, nelle culture, nelle religioni (R.M., nn. 28-29).

È lo Spirito che distribuisce i germi del Verbo presenti nei riti e nelle religioni. Quest’azione diventa visibile nel corso del dialogo e stimola la Chiesa a riconoscere la presenza di Cristo e l’azione dello Spirito (R.M., nn. 55-56).

Di fronte a questo riconoscimento della presenza di Cristo nelle religioni, la Commissione Teologica Internazionale riconosce a queste religioni una certa funzione salvifica, ritenendole capaci di aiutare gli uomini a raggiungere il loro fine ultimo e l’Assoluto.

Non si può tuttavia affermare che tutto è fonte di salvezza nelle religioni non cristiane. Esse possono preparare i popoli e le culture all’accettazione della salvezza, costituire una preparazione evangelica, senza tuttavia svolgere un ruolo analogo a quello svolto dall’Antico Testamento, che ha effettivamente preparato alla venuta di Cristo.

Non bisogna dimenticare che la salvezza suppone la risposta dell’uomo, cioè l’accettazione umana dell’invito divino. Le religioni non cristiane possono preparare gli uomini e le donne a questa accettazione della salvezza. Ma bisogna aggiungere che nella dimensione della salvezza si trova un elemento d’amore vero nei confronti degli altri.

Questo aspetto è importante. Riguarda la pratica sincera di tutto ciò che è buono nelle diverse tradizioni religiose dell’umanità.

2. Presenza della parola di Dio nelle religioni.

Dio si è fatto conoscere. C’è un’autocomunicazione di Dio nella nuova alleanza proposta da Gesù, parola di Dio incarnata. I libri del Nuovo Testamento ci trasmettono la parola di Dio. Dio si è rivelato al popolo d’Israele. I libri dell’Antico Testamento ne sono testimoni. La rivelazione di Dio è un elemento importante sulla strada della salvezza. Che ne è a questo proposito delle religioni non cristiane?

Bisogna dire che nell’islam, il Corano ha raccolto qualche elemento della rivelazione biblica, ma l’ha interpretato in un contesto diverso. Per quanto riguarda le altre religioni, è normale pensare all’idea dei "germi del Verbo" presente nei testi filosofici e nei testi sapienziali. C’è anche la conoscenza di Dio attraverso la creazione, attraverso il giudizio della coscienza (Rom 1,19-20) ed i raggi di verità di cui parla la Redemptoris missio (n. 55).

La Teologia delle religioni e il messaggio cristiano
I cristiani sono impegnati nel dialogo interreligioso e questo dialogo costituisce una missione della Chiesa ed una delle sue maggiori preoccupazioni. Nel dialogo tra le religioni, la teologia delle religioni occupa un posto importante.

Essa si preoccupa infatti di vedere chiaramente quale è la posizione delle varie religioni di fronte al messaggio cristiano. Diversi sono allora i problemi che si pongono: – bisogna attribuire a tutte le religioni uguale valore?
– bisogna cercare di eliminare le loro differenze?
– bisogna abolire ogni visione di superiorità del cristianesimo?
– bisogna lasciare nell’ombra Gesù come unico salvatore?

1. Gli orientamenti della teologia delle religioni

Tutta la prospettiva del dialogo definita nei documenti officiali della Chiesa e la pedagogia presentata nei testi dei segretariati invitano a riconoscere con rispetto le verità ed i valori delle religioni, chiedendo di affrontare il dialogo senza pregiudizi e senza polemica. Questo per quanto riguarda la forma e l’atmosfera nella quale si svolge il dialogo.

Ma la teologia delle religioni presenta di per sé diversi orientamenti. Primo orientamento: l’orientamento esclusivista.

Di questo orientamenti fanno parte i teologi che, nel nome della rivelazione di Dio in Gesù Cristo, considerano le altre religioni come escluse dalla salvezza e dalla storia della salvezza. Due esempi: il teologo protestante Karl Barth e, da parte cattolica, monsignor Marcel Lefebvre.

Secondo orientamento: l’orientamento detto "inclusivista.

Si tratta della posizione dei teologi che, mentre insistono sulla normatività della rivelazione di Gesù Cristo, considerano tuttavia le altre religioni come portatrici di valori e di verità che possono essere incluse nel mistero di Cristo e della Chiesa: Henri de Lubac, Jean Danielou, Yves Congar, Karl Rahner, Hans von Balthasar, Joseph Ratzinger.

Terzo orientamento: l’orientamento pluralista.

Si tratta della posizione che raggruppa diverse correnti e che, in modo generale, pretende superare il cristocentrismo. Le religioni sono considerate come fondamentalmente ordinate al mistero di Dio, ad una "realtà ultima". Ad esse sono riconosciute le ricchezze ed i valori morali dei quali sono portatori i loro esponenti. Si pensa così di semplificare la creazione dell’unità tra tutte le religioni in vista di un lavoro comune per la pace e la giustizia nel mondo.

È il caso di Hans Küng. Certe teologie pluraliste offrono tuttavia a Cristo un posto centrale, in quanto mediatore della salvezza. È il caso di Raimon Pannikar et di Jacques Dupuis, due teologi cattolici, specialisti del dialogo tra cristiani e indù e segnati dall’esperienza dell’India.

2. Qualche imperativo della fede cristiana

Due sono le problematiche alle quali la teologia delle religioni volge la sua attenzione: da una parte il problema della verità nel cristianesimo e nelle religioni del mondo, dall’altra la questione della fede.

Esse sono esaminate dal punto di vista storico, dal punto di vista della teoria della conoscenza e dal punto di vista teologico. Lasciamo tali settori agli specialisti ed interessiamoci qui soltanto al tema della fede cristiana.

1. Dio è unico.

La teologia cristiana delle religioni deve assolutamente mantenere il fondamento monoteista che essa condivide con le altre religioni monoteiste, il giudaismo e l’islam. Ma la fede cristiana proclama anche la comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E tale fede trinitaria il cristiano deve introdurla nel dialogo interreligioso.

2. Dio, nostro salvatore "vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità.

Uno solo infatti è Dio ed uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù (1 Tim 2,4-6). La mediazione di Cristo è al cuore della fede cristiana perché l’Uomo-Dio, vero uomo e vero Dio, è l’unica via che può condurre gli uomini alla salvezza. La resurrezione conferma definitivamente l’unicità del salvatore, facendo di Cristo il primogenitore tra i morti (Col 1,18).

I Padri della Chiesa hanno affermato l’identità di Gesù di Nazareth con il Verbo di Dio che era presso il Padre fin dalle origini (Gv 1,1) e che, nei millenni precedenti l’avvento del popolo d’Israele e l’incarnazione, si comunicava ad Israele ed alle nazioni. È la dottrina dei germi del Verbo.

3. Arriviamo così ad un altro imperativo della fede cristiana: lo Spirito di Dio è all’opera nel mondo prima della venuta di Cristo.

A partire dalla resurrezione di Gesù, lo Spirito lavora per unire gli uomini nel mistero pasquale (Gaudium et Spes, n. 22). Questa dottrina proclamata dal Concilio Vaticano II sulla manifestazione dello Spirito Santo nell’esperienza religiosa dell’umanità è molto importante, perché chiarisce la visione che il cristianesimo porta sul mondo e sulle altre religioni.

La commissione teologica ha messo in guardia i fautori della teologia pluralista delle religioni di fronte ai pericoli del fallimento del dialogo interreligioso intrapreso sulla base della semplificazione, seguendo il pluralismo di moda ai nostri giorni (nn. 98-99).

Essa richiama la posizione affermata del documento Nostra Aetate che descrive lo sforzo che le religioni del mondo hanno in comune con il cristianesimo per venire incontro, seppure in modi diversi, alle inquietudini del cuore umano, "proponendo delle vie, cioè delle dottrine, delle regole di vita e dei riti sacri", senza tuttavia eliminare le differenze, considerate altrettanto fondamentali.

La CTI ritiene che "una teologia cristiana delle religioni deve essere capace di esporre teologicamente gli elementi comuni e le differenze tra la propria fede e le convinzioni dei diversi gruppi religiosi" (CTI, n. 100).

In effetti, ogni dialogo deve vivere della pretesa di verità di coloro che vi partecipano. Non bisogna dimenticare che il dialogo interreligioso è esigente proprio perché, in ogni religione, oltre alle dottrine, c’è anche la sensibilità che appartiene alle diverse culture.

La missione della Chiesa
Dopo aver dichiarato che "la Chiesa non rifiuta niente di quello che è vero e santo nelle religioni, il documento Nostra Aetate del Concilio Vaticano II afferma "Essa annuncia e deve annunciare, senza mai fermarsi, che Cristo è la via, la verità e la vita (Gv 14,6), nel quale gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e nei quali Dio si è riconciliato tutte le cose" (N.A., n. 2).

Cerchiamo di comprendere questo paradosso.

1. L’annuncio del Vangelo: un obbligo

Per i venticinque anni del documento Nostra Aetate, Roma ha pubblicato un documento ufficiale sul dialogo interreligioso e l’annuncio del Vangelo. L’annuncio è un comandamento di Gesù resuscitato, ripreso nei quattro Vangeli da Pietro, dagli apostoli, da Paolo.

Tutti proclamano la parola e manifestano la presenza e la forza dello Spirito Santo. Il messaggio cristiano è un messaggio potente. Non è una semplice parola umana, ma è una parola di Dio, fonte di verità e di libertà. Una parola che finisce per diventare presenza interiore nell’uomo.

La Chiesa sa di poter contare sullo Spirito Santo che ispira l’annuncio e che conduce coloro che lo ascoltano. Come agli inizi dell’evangelizzazione, lo Spirito Santo continua anche oggi ad agire in ogni evangelizzatore che si lascia possedere dal suo carisma e in tutti coloro che ascoltano la buona novella.

Nella sua esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, Paolo VI parla dell’urgenza e del dovere di annunciare il Vangelo al mondo di oggi. Si tratta della nuova evangelizzazione di un mondo nel quale ci sono degli uomini e delle donne, e nel quale anche lo Spirito Santo, che è presente, aspetta che l’annuncio sia proposto.

Uno dei segni di questa attesa sono le tradizioni religiose ed il risveglio odierno di queste tradizioni. I Padri della Chiesa hanno insistito sulla pedagogia divina. John Henry Newman è tornato sul tema. Noi possiamo dire che il Concilio Vaticano II così come la riscoperta del dialogo interreligioso e del dialogo tra le culture sono i frutti della pedagogia divina attualmente in azione.

Ma la qualità dell’annuncio deve essere integrale: il messaggio autentico di Gesù, il rispetto della presenza dello Spirito e della sua azione, il coraggio e l’umiltà apostolica, il rispetto degli altri, degli auditori che ricevono, ognuno a suo modo, i germi del verbo.

La Chiesa deve sapere che la semenza cadrà su una terra precisa, cioè che la parola evangelica sarà inserita in una cultura, incarnata in una tradizione spirituale che è fatta di aspirazioni ben determinate, l’una diversa dall’altra.

2. Ostacolo e difficoltà dell’annuncio

L’annuncio non è un compito facile, non è una strada in discesa. Ci sono innanzitutto degli ostacoli d’ordine interiore: la nostra impazienza, la nostra timidezza, la nostra coscienza di aver trovato la via della verità, la nostra tendenza ad accontentarci della nostra situazione confortevole nella Chiesa, la situazione culturale del nostro ambiente, le nostre ignoranze ed i nostri limiti.

Ma sulla strada degli evangelizzatori si trovano anche ostacoli d’ordine esterno: il peso della storia che risveglia i sospetti dei fedeli di altre religioni, la resistenza all’annuncio del Vangelo, l’intolleranza della società e l’indifferenza religiosa, la resistenza e l’opposizione, i pericoli del sincretismo, le persecuzioni amministrative o politiche, le diversità delle culture.

3. Il Mistero di Cristo

Il giorno di Pentecoste, Pietro proclama che "Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso" (At 2, 36) ed afferma di fronte al Sinedrio: "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12).

Paolo annuncia il mistero tenuto nascosto nei secoli, l’insondabile ricchezza di Cristo. Giovanni presenta il Logos, Verbo di Dio alle origini, presente in Dio prima della creazione del mondo e Dio creatore lui stesso. Così la storia della salvezza va dall’inizio alla fine della storia, dalla creazione alla fine del mondo, con Cristo al centro come avvenimento decisivo, come perno intorno al quale ruota tutta la storia del dialogo tra Dio e l’uomo.

La Gaudium et Spes dichiara che la Chiesa crede che "il centro e la fine di tutta la storia umana si trovano nel suo Signore e maestro (G.S., n. 10). Il mistero di Cristo Logos eterno e Verbo incarnato, mediatore dell’unica salvezza, è al centro dell’annuncio del messaggio cristiano.

È anche al centro della discussione della teologia delle religioni. Il libro di Raimon Pannikar, La pienezza dell’uomo. Una cristofania, pubblicato dall’Editrice Jaca Book di Milano qualche settimana fa, ci invita ad una nuova e profonda riflessione su questa questione. Ve lo raccomando. Ma attenzione: non lo si legge come un romanzo!

4. Lo Spirito Santo invisibile evangelizzatore

Nella Redemptoris Missio Papa Giovanni Paolo II ha insistito sulla presenza e l’azione permanente dello Spirito Santo: la sua presenza e la sua azione sono universali, senza limiti di spazio e di tempo, nel cuore di ogni uomo, grazie ai germi del Verbo, nelle azioni religiose e nelle attività umane che tendono verso il bene e la verità.

Lo Spirito è all’origine della domanda esistenziale e religiosa dell’uomo. La sua attività riguarda anche la società e la storia, i popoli, le culture e le religioni, gli ideali e le buone iniziative. Lo Spirito getta i germi del Verbo presenti nei riti e nelle culture, le prepara alla loro maturazione in Cristo (R.M., n. 28).

Il Santo Padre non esita a scrivere che lo Spirito Santo era già all’opera prima della glorificazione di Cristo, una dottrina già espressa dal Concilio (A.G., n. 4). Di fronte a Cristo, lo Spirito svolge un ruolo di preparazione evangelica. Conclusioni Chiudendo i lavori del Concilio, 35 anni or sono, la Chiesa proclamava la sua speranza e la sua gioia: Gaudium et Spes.

Qualche mese prima del Giubileo del 2000, in un mondo che conosce le separazioni e le violenze, ma anche le speranze di rinnovamento ed i segni di una nuova primavera, la Chiesa si presenta come una grande luce, Lumen Gentium, la luce delle nazioni.

Essa ha rinnovato la conoscenza del messaggio evangelico e l’ha penetrato a fondo, per renderlo capace di illuminare gli uomini e le culture in un mondo in cui la civilizzazione è ormai estesa a tutto il pianeta.

La nostra missione è quella di portare il messaggio di Cristo ricevuto 2000 anni fa agli uomini ed alle donne di oggi. È nel contesto di un dialogo che tale messaggio è proposto.

La teologia delle religioni è un anello, una tappa di questo dialogo, uno strumento che deve illuminare una strada irta di difficoltà, facilitando l’esperienza del dialogo. Ma l’essenziale è la fede nell’azione dello Spirito, dello Spirito Santo, l’invisibile evangelizzatore nella Chiesa di Cristo e nel mondo. "


Bibliografia Francesco Gioia, Il dialogo interreligioso nel magistero pontificio, Documenti 1963-1993, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, p. 994.
Commissione Teologica Internazionale, Le christianisme et les religions, prefazione di Joseph Doré, Cerf, Bayard, Centurion, Parigi 1997.
Jacques Dupuis, Jésus Christ à la rencontre des religions, Desclée, Parigi 1989.
Jacques Dupuis, Vers une théologie chrétienne du pluralisme religieux, Cerf, Parigi 1997.
Raimon Pannikar, La pienezza dell’uomo. Una cristofania, prefazione di J. Ries, Jaca Book, Milano 1999.


  "Il dialogo interreligioso come via della pace". Discorso del Cardinal Bertone all'inaugurazione del Corso per Diplomatici della Gregoriana 07-05-2007

Reverendissimi Padri, Illustri Autorità, Signori e Signore,

desidero rivolgere un deferente saluto agli organizzatori e ai partecipanti al presente Corso per diplomatici dei Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente dal titolo "La Chiesa cattolica e la politica internazionale della Santa Sede". In particolare ringrazio il Rev.do Padre Franco Imoda, Presidente della Fondazione "La Gregoriana", nella sua qualità di Presidente del Corso, e il Prof. Roberto Papini, Segretario Generale dell’Istituto internazionale "Jacques Maritain", quale Direttore esecutivo del Corso stesso.

Un riconoscente pensiero anche al Rev.do Padre Gianfranco Ghirlanda, Rettore Magnifico della Pontificia Università Gregoriana che ci ospita. A tutti voi, infine, rivolgo un cordiale e amichevole saluto. Questa iniziativa, che vede coinvolte prestigiose istituzioni, appare quanto mai opportuna nell’attuale contesto storico per far conoscere, in modo adeguato, il pensiero e l’attività della Chiesa cattolica a esponenti qualificati del mondo musulmano. La conoscenza vicendevole è in effetti il primo e necessario passo per assicurare uno sviluppo armonico del dialogo e una collaborazione duratura e proficua.

L’argomento che mi è stato assegnato - "Il dialogo interreligioso come via della pace" - è stimolante e quanto mai attuale nella ricerca del dialogo tra le religioni nonché per le future prospettive mondiali. Per questo, al dialogo la Santa Sede riserva costante e sincero interesse. Lo ha affermato con chiarezza il Santo Padre Benedetto XVI nell’incontro con i rappresentanti di alcune comunità musulmane, a Colonia il 20 agosto 2005. "Il dialogo religioso e interculturale – ha egli detto - fra cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta stagionale.

Esso è una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro". Qui consideriamo il dialogo religioso al servizio della pace. Com’è noto, la ricerca della pace sta molto a cuore alla Santa Sede. Mi limiterò a menzionare alcuni espliciti riferimenti a questo tema contenuti nei Messaggi che da oltre 30 anni il Papa, in occasione della Giornata Mondiale della Pace, invia ai Capi di Stato, ai cattolici e agli uomini di buona volontà.

1. Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo

Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace dell’anno 1983 aveva per tema: "Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo". In esso il venerato Pontefice Giovanni Paolo II si diceva profondamente convinto che il dialogo - il vero dialogo - è condizione essenziale per la pace e notava: "Sì, questo dialogo è necessario; non è solamente opportuno; è difficile, ma è possibile, nonostante gli ostacoli che il realismo ci deve far prendere in considerazione.

Esso costituisce, dunque, una vera sfida, che io vi invito a raccogliere" (Insegnamenti G.P.II, 1982/III, p. 1542). Ed aggiungeva che un vero dialogo "suppone la ricerca di ciò che è vero, buono e giusto per ogni uomo, per ogni gruppo e ogni società" (Op. cit., p. 1545). Il dialogo perciò esige una reale apertura ed accoglienza, nel rispetto e nella comprensione della differenza e della specificità dell'altro. Il dialogo, nello stesso tempo, è ricerca di ciò che è, e resta comune agli uomini, anche in mezzo a tensioni, opposizioni e conflitti. Insomma, il vero dialogo è ricerca del bene con mezzi pacifici; è un riconoscimento della dignità inalienabile degli uomini e poggia sul rispetto della vita umana.

2. Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della pace

Nel 2001, il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace aveva invece come tema il "Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della pace". Proponendo un’analisi condivisa sul dialogo tra le differenti culture e le tradizioni dei popoli, il Santo Padre indicava nel dialogo la via necessaria per l’edificazione di un mondo riconciliato, capace di guardare con serenità al proprio futuro. La cultura – egli notava - è espressione qualificata dell’uomo e della sua vicenda storica. Essere uomo significa necessariamente esistere in una determinata cultura.

Se pertanto è importante, da un lato, riuscire ad apprezzare i valori della propria cultura, dall'altro occorre avere consapevolezza che ogni cultura, essendo un prodotto tipicamente umano e storicamente condizionato, implica necessariamente anche dei limiti. Perché il senso di appartenenza culturale non si trasformi in chiusura, un antidoto efficace è la conoscenza serena, non condizionata da pregiudizi negativi, delle altre culture (cfr n. 7) (Insegnamenti G.P.II, 2000/II, p. 1066-1067 ).

Possiamo così affermare, come recentemente ribadito da S. Ecc. Francesco Follo alla 176° Sessione del Consiglio Esecutivo dell’UNESCO, che se le diverse culture sono segnate da interpretazioni differenti della realtà, esse stesse si connettono insieme, in profondità, nell’esperienza fondamentale della condizione umana, intorno a domande sulla nascita e sulla morte, sul lavoro, la malattia, l’ingiustizia sociale, la salvaguardia del nostro pianeta.

In questa chiave, il dialogo tra le culture emerge come un’esigenza intrinseca alla natura stessa dell’uomo e della cultura; esso porta a riconoscere la ricchezza della diversità disponendo gli animi alla reciproca accettazione, nella prospettiva di un'autentica collaborazione, rispondente all'originaria vocazione all'unità dell'intera famiglia umana. Come tale, il dialogo è strumento eminente per realizzare la civiltà dell'amore e della pace che il Papa Paolo VI indicava come l'ideale a cui ispirare la vita culturale, sociale, politica ed economica del nostro tempo.

Di fronte alle crescenti disuguaglianze nel mondo, il primo valore comune di cui promuovere una consapevolezza sempre maggiore è certamente quello della solidarietà. Ma al cuore di un'autentica cultura della solidarietà si pone la promozione della giustizia, strettamente collegata con il valore della pace, obiettivo primario di ogni società e patrimonio comune per una reale convivenza nazionale e internazionale. Inoltre, va notato che un autentico dialogo tra le culture non può non alimentare anche una viva sensibilità per il valore della vita, mai considerata come oggetto di cui disporre arbitrariamente, ma come la realtà più sacra e intangibile. Se viene meno la salvaguardia di così fondamentale bene, non ci può essere pace; non si può invocare la pace e disprezzare la vita.

3. Credenti uniti nella costruzione della pace. Il dialogo interreligioso via della pace

Per quanto concerne il ruolo della religione e del dialogo interreligioso in favore della pace, mi pare di grande interesse il Messaggio della Giornata Mondiale della Pace del 1992. In esso più volte Giovanni Paolo II torna a sottolineare il compito dei credenti che, "proprio in ragione della loro fede, sono chiamati - individualmente e tutti insieme - ad essere messaggeri e costruttori di pace" (Insegnamenti G.P.II, 1991/II, p. 1332). Un compito che non è d’elite, di "nicchia", come si dice oggi, ma "riguarda ogni persona di buona volontà" (op. cit., p. 1332), anche se tale "dovere si impone con urgenza a quanti professano la fede in Dio" (op. cit., p. 1332).

Nei libri sacri delle diverse religioni, il riferimento alla pace occupa un posto rilevante nel quadro della vita dell'uomo e degli stessi suoi rapporti con Dio. A questo proposito, osserva Papa Wojtyła, "una vita religiosa, se è autenticamente vissuta, non può non produrre frutti di pace e di fraternità" (op. cit., n. 2, p. 1333). Si capisce allora facilmente l’importanza della preghiera per la pace, come fattore di incontro e di unità, "laddove disuguaglianze, incomprensioni, rancori e ostilità sono superati, cioè davanti a Dio, Signore e Padre di tutti" (op. cit., n. 4, p. 1335).

Insieme alla preghiera, per promuovere la pace occorre incentivare i contatti interreligiosi e il dialogo ecumenico. "Grazie a tali forme di confronto e di scambio – nota Giovanni Paolo II - le religioni hanno potuto prender più chiara coscienza delle loro non certo lievi responsabilità rispetto al vero bene dell'intera umanità... Un tale procedere dei credenti può esser determinante per la pacificazione dei popoli ed il superamento delle divisioni tuttora esistenti tra «zone» e «mondi»" (op. cit., n. 5, p. 1335-1336). E conclude: "i contatti inter-religiosi, accanto al dialogo ecumenico, sembrano ormai strade obbligate, perché tante dolorose lacerazioni, avvenute lungo il corso dei secoli, più non accadano e quelle residue siano presto risanate" (op. cit., n. 6, p. 1336).

4. L’incontro interreligioso di Assisi

Evento storico, pietra miliare nel dialogo interreligioso al servizio della pace è risultato l’incontro svoltosi ad Assisi il 27 ottobre 1986. A 20 anni di distanza, il Papa Benedetto XVI, in una lettera commemorativa del 2 settembre 2006, ha affermato che l’invito ai leaders delle religioni mondiali per una corale testimonianza di pace servì allora a chiarire senza possibilità di equivoco che la religione non può che essere foriera di pace. Concetto, questo, fortemente ribadito nella Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, laddove si dice al n. 5, che "non possiamo invocare Dio come Padre di tutti, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni uomini creati ad immagine di Dio".

E prosegue: "Nonostante le differenze che caratterizzano i vari cammini religiosi, il riconoscimento dell'esistenza di Dio, a cui gli uomini possono pervenire anche solo partendo dall’esperienza del creato (cfr Rm 1,20), non può non disporre i credenti a considerare gli altri esseri umani come fratelli. A nessuno è dunque lecito assumere il motivo della differenza religiosa come presupposto o pretesto di un atteggiamento bellicoso verso altri esseri umani". E le guerre di religione? "Simili manifestazioni di violenza - segnala Benedetto XVI - non possono attribuirsi alla religione in quanto tale, ma ai limiti culturali con cui essa viene vissuta e si sviluppa nel tempo".

Ma richiamiamoci per un istante ad Assisi, a quel 27 ottobre 1986, quando il Servo di Dio Giovanni Paolo II pose l’accento sul valore della preghiera nella costruzione della pace, perché "in primo luogo la pace va costruita nei cuori. Il cuore dell'uomo è il luogo degli interventi di Dio". In un clima di grande interesse chiese a tutti una preghiera autentica, accompagnata dal digiuno ed espressa nel pellegrinaggio, simbolo del cammino verso l’incontro con Dio, spiegando che "la preghiera comporta da parte nostra la conversione del cuore" (Insegnamenti G.P.II, 1986/II, p. 1253).

Per non equivocare, poi, sul senso di quanto, in quello stesso incontro, si voleva realizzare, per intendere bene ciò che si suole qualificare come "spirito di Assisi", è importante non dimenticare l’attenzione che fu posta perché quell’incontro interreligioso di preghiera non si prestasse ad interpretazioni sincretistiche, fondate su una concezione relativistica. Proprio a fugare questo rischio, fin dalle prime battute Giovanni Paolo II dichiarò: "Il fatto che noi siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. E neppure è una concessione al relativismo nelle credenze religiose" (op. cit.,p. 1252).

5. Il rifiuto del terrorismo

Il sincero dialogo fra le religioni non può non comportare un netto rifiuto della violenza e del fenomeno del terrorismo. Dopo gli avvenimenti dell’11 settembre 2001, sempre Giovanni Paolo II, il 24 gennaio 2002, convocò un’altra volta i leaders religiosi ad Assisi per pregare per la pace. In quell’occasione affermò con chiarezza: "E' doveroso che le persone e le comunità religiose manifestino il più netto e radicale ripudio della violenza, di ogni violenza, a partire da quella che pretende di ammantarsi di religiosità, facendo addirittura appello al nome sacrosanto di Dio per offendere l'uomo. L'offesa dell'uomo è, in definitiva, offesa di Dio.

Non v’è finalità religiosa che possa giustificare la pratica della violenza dell'uomo sull'uomo" (Insegnamenti G.P.II, 2002/I, p.1011). E per la Giornata Mondiale della Pace di quello stesso anno 2002, aveva scelto come tema "Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono". Nel Messaggio per tale annuale ricorrenza ebbe a proclamare con forza che "Il terrorismo si fonda sul disprezzo della vita dell'uomo. Proprio per questo esso non dà solo origine a crimini intollerabili, ma costituisce esso stesso, in quanto ricorso al terrore come strategia politica ed economica, un vero crimine contro l'umanità" (Insegnamenti G.P.II, 2001/II, p. 1083). E rivolgendosi ai capi religiosi aggiungeva: "Nessun responsabile delle religioni, pertanto, può avere indulgenza verso il terrorismo e, ancor meno, lo può predicare" (op. cit., p. 1085).

Al terrorismo si è riferito anche Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace dello scorso anno 2006: "Al giorno d'oggi – ha scritto - la verità della pace continua ad essere compromessa e negata, in modo drammatico, dal terrorismo che, con le sue minacce ed i suoi atti criminali, è in grado di tenere il mondo in stato di ansia e di insicurezza" (Insegnamenti B. XVI, 2005/I, p.958). Ed aggiunge: "Nell'analizzare le cause del fenomeno contemporaneo del terrorismo è auspicabile che, oltre alle ragioni di carattere politico e sociale, si tengano presenti anche le più profonde motivazioni culturali, religiose ed ideologiche" (op. cit., p. 959).

6. Promozione e Rispetto dei Diritti Umani

Le ultime considerazioni di questo mio intervento vorrei dedicarle alla promozione e al rispetto dei diritti umani, un ambito nel quale il dialogo interreligioso è quanto mai utile per la costruzione della pace. La pace di fatto nasce e si rafforza proprio quando i diritti umani vengono osservati e rispettati integralmente. E’ convinzione della Santa Sede che quando la promozione della dignità della persona costituisce il principio-guida a cui ci si ispira, quando la ricerca del bene comune rappresenta l'impegno predominante, allora vengono posti solidi e durevoli fondamenti all'edificazione della pace. Quando invece i diritti umani sono ignorati o disprezzati, quando il perseguimento di interessi particolari prevale ingiustamente sul bene comune, allora vengono inevitabilmente seminati i germi dell'instabilità, della ribellione e della violenza.

La "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo" ha come premessa basilare l'affermazione secondo cui il riconoscimento dell'innata dignità di tutti i membri della famiglia umana, come pure dell'uguaglianza ed inalienabilità dei loro diritti, è il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. Papa Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, che ha per tema "La persona umana, il cuore della pace", ha ribadito che la difesa dell'universalità e dell'indivisibilità dei diritti umani è essenziale per la costruzione di una società pacifica e per lo sviluppo integrale di individui, popoli e nazioni. Tra questi diritti vorrei far riferimento a due oggi particolarmente esposti a più o meno aperte violazioni: si tratta cioè del diritto alla vita e del diritto alla libertà religiosa. La vita umana è sacra e tale va considerata dal suo concepimento al naturale tramonto. E’ questo un diritto inviolabile, che comporta il netto rifiuto di ogni forma di violenza.

Accanto al diritto alla vita, la Chiesa ha ugualmente a cuore quello alla libertà religiosa. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1999 Giovanni Paolo II scrive che "La libertà religiosa, costituisce il cuore stesso dei diritti umani. Essa è talmente inviolabile da esigere che alla persona sia riconosciuta la libertà persino di cambiare religione, se la sua coscienza lo domanda. Ciascuno, infatti, è tenuto a seguire la propria coscienza in ogni circostanza e non può essere costretto ad agire in contrasto con essa. Proprio per questo, nessuno può essere obbligato ad accettare per forza una determinata religione, quali che siano le circostanze o le motivazioni" (Insegnamenti G.P.II, 1998/II, p. 1218).

7. Conclusione

Intervenendo in apertura dei vostri lavori, ho voluto richiamare alcuni spunti di riflessione e dell’attività della Santa Sede, tratti dagli insegnamenti dei Pontefici su un tema che conserva grande attualità. Come sacerdote, e ora come Cardinale Segretario di Stato, vado sempre più convincendomi che alla base di ogni dialogo tra persone ci devono essere l’ascolto e la conoscenza reciproca; deve esserci la stima che nasce dal riconoscere la buona volontà dell’altro e dalla chiarezza e dalla sincerità nel proporre le proprie posizioni. Il dialogo interreligioso al servizio della pace esige una "purificazione" della fede che apra il cuore all’amore; esige, in ultima analisi, una "conversione" costante a Dio. Solo Lui, infatti, può toccare il cuore dell’uomo e far scoccare la scintilla di quell’amore che si fa accoglienza e perdono, condizione favorevole per la difesa e la costruzione della pace.

Possa anche quest’incontro contribuire a una reciproca conoscenza e stima fra tutti i partecipanti, e serva a far meglio conoscere l’attività della Santa Sede e lo spirito che la anima. Possa soprattutto aiutarci a diventare tessitori infaticabili di pace in un mondo dove Dio non sia visto come estraneo, o peggio nemico della felicità dell’uomo, ma vero amico dell’umanità che raccoglie sotto la sua protezione. Sotto l’abbraccio paterno di Dio la famiglia degli uomini non può che crescere più libera, più prospera e più felice.


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