Corso di Religione

CONFUCIANESIMO

Dottrine

         


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Dottrina Confuciana
Confucio era considerato il maestro per eccellenza, tanto che l'espressione zi yue, cioè "il maestro disse", assunse lo stesso valore dell'ipse dixit degli aristotelici in Occidente, per cui spesso per dare maggiore valore ad una affermazione non si esitava ad attribuirla al filosofo di Lu, anche se era stata concepita ed elaborata secoli dopo la sua morte. E' perciò difficile distinguere il pensiero di Confucio da quello delle epoche precedenti, così è altrettanto arduo sceverare quali elementi del pensiero a lui attribuito siano in realtà frutto della speculazione dei suoi discepoli.

Da tutti i testi risulta che Confucio non volle mai interessarsi di questioni soprannaturali e che trascendessero l'esperienza umana. Non v'è, nel confucianesimo, alcuno spunto soteriologico ( che riguarda la salvezza dal male e dalla morte). Egli andò peregrinando nei diversi Stati della Cina, raccogliendo discepoli sempre più numerosi (fino a tremila, dice la tradizione) e dedicandosi alla raccolta di testi antichi, in poesia ed in prosa, dei quali compose due antologie, il "Classico della poesia" ( Shijing ) ed il "Classico dei documenti" ( Shujing ), che raccolgono tutti quei testi che egli considerava consoni al suo insegnamento.

Dopo alcuni anni di peregrinazioni tornò a Lu, dove scrisse una storia in forma aridamente annalistica del principato, "Primavera e autunno" ( Chunqiu ), che è servita di modello, insieme ai commentari che vi furono aggiunti nelle generazioni successive, a tutta l'annalistica cinese successiva. Gli ultimi anni li trascorse dedicandosi allo studio del "Classico della mutazione" ( Yijing ), cercando di comprendere, attraverso la combinazione di linee intere e spezzate, simboleggianti rispettivamente il principio yang ed il principio yin, il senso della vita e la situazione cosmica attuale.
Confucio e la sua scuola hanno esercitato su tutto lo sviluppo del pensiero e della letteratura cinese un'influenza tale che oggi è difficile distinguere il pensiero confuciano vero e proprio dalle idee filosofiche e religiose delle epoche precedenti. È tuttavia possibile ricostruire le linee generali del pensiero sul quale i confuciani inserirono la loro speculazione. Si tratta di idee e teorie sull'origine del mondo e dei rapporti tra le cose, idee e teorie che, accettate sostanzialmente dal confucianesimo, pure risalgono molto indietro nel tempo. Secondo queste dottrine, peraltro fatte proprie anche dai taoisti, il mondo avrebbe origine dalla lotta reciproca e dall'unione di due principi fondamentali, yang e yin, rispettivamente principio maschile e principio femminile. Da questa unione dialettica deriva tutto il mondo sensibile il cui manifestarsi, risultato della lotta tra due opposti, segue una via ideale, il Tao, nella quale tende immancabilmente a costituirsi, venire a mancare e ricostituirsi un equilibrio che, di per sé, è continuamente instabile. Yang, principio positivo, maschile, è il principio della forza, della luce e di tutto ciò che può esservi ricondotto; yin è il suo contrario, principio femminile, negativo, dell'oscurità e della debolezza in genere.

L'un principio, però, non può fare a meno dell'altro né esserne completamente separato: il primo presuppone il secondo e viceversa, senza che mai uno dei due possa ottenere una vittoria definitiva o prevalere escludendo il suo contrario dialettico. Una simile concezione deve probabilmente la sua origine al carattere agricolo della civiltà cinese. Il contadino cinese, da sempre sottoposto all'incertezza dei raccolti, considerò le forze della natura, di volta in volta, amiche e nemiche, positive o negative a seconda delle circostanze; la sua prosperità gli apparve chiaramente dipendere dal precario equilibrio di forze distruttrici ed animatrici, yin e yang, in continua e terribile lotta tra di loro. Il succedersi del dì e della notte, l'alternarsi delle stagioni, le stesse fasi della vita umana, animale e vegetale, la differenziazione dei sessi, la luce e l'ombra, sono tutti fenomeni riconducibili alla prevalenza, alterna e mai totale, di yang su yin e viceversa.

Etica confuciana Se Confucio evita i problemi del sovrannaturale, si interroga tuttavia sul mistero dell'Universo.
Osservava il cambiamento delle Quattro stagioni, ma non ne conosceva la causa. Secondo lui, era una forza misteriosa che dirigeva il mondo. Questa forza era la volontà del Cielo : La "legge naturale "
" Molti dei suoi discepoli domandavano a Confucio del sovrannaturale. Egli rispondeva differentemente a seconda delle circostanze e del livello dei suoi allievi. In tutte le sue risposte, Confucio evitava ogni investigazione metafisica e conduceva sempre i suoi allievi verso la pratica. Confucio era umanista e realista. Il giorno in cui il suo discepolo Zilu lo interrogò sul modo di onorare gli spiriti, Confucio rispose: "Non sai ancora come servire i vivi, come vuoi saper servire gli spiriti?". Diceva:"il Cielo non parla, ma dispone del cambiamento delle Quattro stagioni e decide da maestro della crescita della natura". Secondo lui, il Cielo aveva una volontà propria, era personificato. Confucio, non solo credeva alla "legge naturale", ma la temeva anche. I suoi celebri "Tre Timori" dicevano che bisognava temere il Cielo, il Signore, e la parola del Saggio. La volontà del Cielo, dell' Aautorità Suprema e del Saggio era inviolabile. Esagerava il mistero del Cielo e affermava l'impossibilità di arrivare a comprenderlo senza una grande esperienza."Non si comprende il Cielo che a partire dai 50 anni" diceva. " [ fonte : tuttocina.it ]

Il mandato del Cielo ( TianMing ) L'idea cinese di regalità era radicata nella credenza che gli antenati regali si fossero  trasformati in divinità e come tali dovessero essere venerati. I governanti cinesi, guadagnandosi l'approvazione del Cielo e degli antenati, erano in grado di assicurare la regolarità delle stagioni, un buon raccolto, il corretto equilibrio fra yin e yang all'interno della comunità e la conservazione della gerarchia reale. Questo veniva chiamato il Mandato celeste.

Ciò che premeva a Confucio era di portare nella società l'Armonia Celeste , l'Ordine,
per mezzo di regole di comportamento cui l'uomo doveva adeguarsi come ad una legge divina. Il problema grave dei suoi tempi e che il Maestro ebbe a cuore fu quello di una etica e politica della armonia sociale. Confucio cercò di comprendere la via dell'universo, il procedere naturale delle cose ,come aveva fatto Lao-tze, percorrendo però la via etica, la via delle regole divine per il comportamento umano. Cosa volevano gli dèi dagli uomini per garantire loro armonia benessere e felicità? « ..che cosa vuole il Cielo e che cosa aborrisce?..»

[Analecta II:4]- A 50 anni compresi il Mandato del Cielo”
Confucio comprese ciò che era giusto e ciò che era sbagliato in assoluto, l’ordine etico dell’universo.
[Analects XII:5]. "Vita e Morte sono il Mandato del Cielo," : esse sono al di là del governo umano, c’è un destino umano che appartiene al Mandato del Cielo. . Chi conosce il Mandato del Cielo e lo pratica ha il diritto di governare, è un degno governatore. Altrimenti, anche se ne ha il potere non ne ha il diritto. Per un governante perdere il Mandato del Cielo significa perdere il potere."

La natura è il modello al quale l'uomo deve fare riferimento per stabilire le sue regole di comportamento e ad essa egli dovrà costantemente adeguarsi. La vita del cosmo (l'Armonia) è regolata dai fattori yin-yang ed ogni disordine sul piano celeste causa ed è causato da un disordine sul piano umano. Il comportamento dell'uomo dovrà modellarsi, quindi, su quello della natura e compito del governante sarà di fungere da tramite e da unificatore dei diversi piani attraverso i quali si articola la vita cosmica. L'ideogramma cinese che esprime il concetto di re, principe, governante (wang) è composto da tre linee parallele orizzontali (terra, umanità, cielo) attraversate da una verticale che sta a rappresentare, appunto, l'idea di questa azione unificatrice. I testi più antichi, conservati nello Shujing (Libro dei documenti), rivelano una precisa concezione del "diritto divino".

I Zhou, che rovesciarono la casa regnante degli Shang nel 1027 a.C., erano ansiosi di dimostrare che il Cielo approvava la successione. Il filosofo confuciano Mencio (371-289 a.C.) contribuì a sostenere il loro potere affermando che, se il sovrano fosse stato retto, avesse fatto sacrifici al Cielo e venerato gli antenati l'ordine cosmico naturale e umano sarebbe stato mantenuto e il sovrano avrebbe conservato il Mandato celeste. Se il sovrano avesse trascurato i suoi doveri rituali e la responsabilità morale verso il popolo, ne sarebbe derivato il disordine sociale e naturale. Il Mandato celeste gli sarebbe stato allora tolto. Sarebbe quindi seguita una rivolta e un nuovo sovrano avrebbe preso il potere. Tuttavia, sarebbe stato possibile sapere se il governante possedeva o meno il Mandato solo a posteriori, una volta che il nuovo sovrano avesse ristabilito l'ordine corretto.

Il senso della vita L'etica che deriva da questa concezione del mondo e della vita è un'etica necessariamente moralistica. La famiglia e lo Stato , inteso come una grande famiglia, hanno un'importanza fondamentale nella concezione tradizionale cinese della vita. L'uomo potrà realizzare se stesso e i suoi valori soltanto nella società ed il fine ultimo della vita umana viene considerato in funzione dell'attività che ogni singolo svolge nella sua posizione sociale che, pur se suscettibile di miglioramento, è sempre, al momento, fissa e ben determinata.
La virtù ( ren) A questa ammirazione e rispetto per tutto ciò che appartiene al passato va riconnesso il culto degli antenati, tradizionale in Cina ed accettata pienamente dal confucianesimo, e la pratica della virtù della pietà filiale (xiao) che impronta di sé tutti i rapporti familiari.
Per Confucio l'essenza dell'uomo è la "virtù". Non la virtù imposta, esteriore, bensì la virtù interiore, quella che è nascosta in noi, la forza , la potenzialità ricevuta dal Cielo nella propria natura e che dobbiamo sviluppare. Confucio chiama questa qualità il ren. Colui che possiede il ren cerca di perfezionarsi e aiuta gli altri a diventare migliori.
Il termine ren è stato tradotto in differenti modi: benevolenza, amore, altruismo, bontà, umanità, virtù perfetta. La differenza nelle traduzioni viene dal fatto che Confucio ha applicato questo termine in sensi molto differenti tra loro. Il ren può essere positivo o negativo, ad esempio quando si dice: "Non fare agli altri quello che non vuoi venga fatto a te" è il ren negativo, che Confucio chiama shu, l'aspetto positivo del ren, il zhong, si traduce così, "Fai agli altri ciò che vorresti venga fatto a te".

Fan Chi domandò cosa fosse la benevolenza. Il Maestro disse: «Amare gli uomini.» […] (Dialoghi, XII, 22)

Nell’immagine è rappresentato il carattere cinese Rén. Esso appare spesso nei Dialoghi, tuttavia Confucio non ne dà mai una definizione univoca: il Maestro infatti dà sempre una risposta diversa a coloro che gliene domandano il significato, senza mai definirlo, semplicemente cercando di comunicarne il senso. Partiamo dall’analisi della composizione del carattere e cerchiamo così di comprenderne il significato: Rén è formato dal radicale “uomo”, nella parte sinistra, e dal segno “due” nella parte destra. Lo stesso carattere ci suggerisce che l’uomo non è solo, ma che è sempre accompagnato. Confucio, infatti, non concepisce l’io come un’entità isolata. Egli ritiene che l’uomo sia tale solo nella sua relazione con gli altri, o in altre parole, che l’umanità di ogni singolo individuo si fondi nel rapporto con la molteplicità degli altri uomini.

Il Maestro Zeng disse: «Il gentiluomo non può essere aperto e risoluto, giacché porta un grave fardello e la Via che percorre è lunga. Se pervenire all’umana benevolenza è il suo fine, non è forse un grave fardello? Se il suo viaggio termina con la morte, non è forse lunga la Via?» (Dialoghi, VIII, 7)

Confucio è profondamente convinto che, alla nascita, i valori più alti siano presenti in forma grezza in ognuno di noi e che, solo dopo avere appreso gli Antichi Riti, con lo studio e la meditazione, si giunge a realizzare il Rén. Esso dunque era considerato un elemento fondativo insito in ogni uomo, qualcosa che ciascuno di noi sente come necessità interiore, verso cui tendere senza mai stancarsi. Nonostante sia molto vicino, tuttavia richiede molto impegno e dedizione. Esso è perciò un “grave fardello”. Lo si deve coltivare affinché si sviluppi pienamente.

Yan Hui domandò che cosa fosse la benevolenza. Il Maestro rispose: «Col disciplinare se stessi e ritornando alle antiche norme rituali si perviene alla benevolenza. Se per un intero giorno l’uomo riuscisse a disciplinare se stesso ritornando alle antiche norme rituali, il mondo riconoscerebbe la benevolenza in lui. Pervenire alla benevolenza dipende da noi stessi, non dagli altri!» (Dialoghi, XII, 1)

I Riti (li) sono modelli di comportamento da seguire nel relazionarsi con gli altri, a partire dai propri familiari fino ad estenderli verso tutti gli uomini, che conducono all’armonia nella società.

Il raggiungimento del Rén rappresenta la dedizione ai li. Ciascuno di noi perviene alla benevolenza in modo unico e diverso dalle altre persone. Tuttavia esso non ha nulla a che vedere con la dimensione interiore intesa in senso psicologico, tutto è infatti sempre riferito al rapporto con il mondo esterno. Rén è un legame morale tra gli uomini. Ogni uomo, seguendo i Riti Antichi, dovrebbe rinunciare a se stesso e dedicarsi agli altri: ecco ciò che Confucio intende per “disciplinare se stessi”. Il Rén si manifesta quindi nelle relazioni umane, il cui esempio più elevato è dato dal rapporto tra padre e figlio, rappresentato dalla Pietà Filiale, cioè dall’amore e dal rispetto che un figlio nutre per i suoi genitori. La deferenza e il rispetto che si provano verso gli altri sono l’espressione dell’amore umano, che Confucio identifica con il Rén.

L’uomo, partendo da se stesso, disciplinandosi attraverso lo studio, comprende di essere orientato alla benevolenza verso i suoi simili, desiderando solo il bene per se stesso e per gli altri. Ecco ciò che il Maestro esprime appieno con l’adagio: “non imporre agli altri quel che non desideresti per te stesso”. ( la regola d'argento n.d.r.) Questa è la strada che Confucio ci esorta a seguire come Via del Dao. L'"Umanità" è la virtù della sensibilità tipica dell'uomo, che consiste nell'amare il prossimo al quale non si deve mai fare ciò che non si vorrebbe fatto a se stessi. Ciò che è importante sottolineare, ciò che è fondamentale nella dottrina di Confucio, è che l’uomo si innalzi moralmente, staccandosi dalla dimensione personale intesa come brama di successo e di visibilità. Quella materia grezza di cui alla nascita l’uomo si trova provvisto, va coltivata affinché prenda una forma definita. L’uomo rimane sulla retta Via solo confrontandosi con gli sta intorno, dapprima con coloro che gli sono più vicini, e poi allargando il cerchio verso tutti gli uomini. Perché è solo dal confronto con gli altri che si possono scorgere in sé le tendenze maligne ed estirparle, fino al conseguimento del Rén. Realizzando la propria benevola umanità ed estendendola alla molteplicità delle persone, l’uomo può davvero giungere al Rén.

Confucio. Dialoghi” a cura di Tiziana Lippiello, Torino, Einaudi, 2003

Per Confucio il principe ideale è colui che governa attraverso la sua virtù. Un giorno in cui il Signore Ji Kang lo interrogò sulla necessità della pena di morte, Confucio rispose: "Per governare il popolo, avete bisogno della pena di morte? Siate voi stesso virtuoso e il vostro popolo sarà virtuoso". Confucio raccomandava la pietà filiale. Ai giorni nostri questo principio ha rivestito un nuovo significato: più che l'obbedienza cieca ai maggiori d'età è un principio di rispetto delle persione anziane. 

La rettitudine ( Yi ) ----I doveri dell'uomo consistono soprattutto nel praticare le due virtù fondamentali dell'"umanità" (ren) e
della "rettitudine" (yi). Per identificare i doveri prescritti dalla virtù della rettitudine è necessaria un'adesione completa al mondo ed alle sue manifestazioni.

Rettitudine consiste nel seguire l'imperativo che impone ad ogni persona di osservare i doveri derivanti dalla sua posizione sociale. Si tratta di virtù eminentemente sociali che non si possono coltivare altro che in contatto con altri uomini e nell'ambito di una società civile.

La natura umana è -secondo Confucio-fondamentalmente buona e inclinata alla bontà ed alla rettitudine. La Perfezione di questa bontà e rettitudine si rivela nei santi ( Gentiluomini-immortali) . Ogni uomo dovrebbe cercare di raggiungere la Perfezione conducendo una vita virtuosa, coltivando un carattere nobile (先生, xiān shēng, Chunzu, il Gentiluomo) e praticando i suoi doveri (o riti) con disinteresse , sincerità e fedeltà. Il Gentiluomo si sostiene con le virtù, mentre il PiccoloUomo o UomoComune si attacca al vantaggio materiale. Il Gentiluomo è dignitoso, solenne, nobile,umile e magnanimo, mentre l'UomoComune è mediocre, arrogante,tortuoso e disonesto.
Nel testo " Il Grande Isegnamento" Confucio rivela il processo- passo a passo- attraverso cui l'uomo può sviluppare le virtù in modo che esse fluiscano nella vita ordinaria , personale e sociale  così che " venga servito lo Stato e benedetto il genere umano. " L'ordine di sviluppo stabilito da Confucio prevede un cammino ordinato:
        Studio dei fenomeni
        Apprendimento degli "Insegnamenti"
        Sincerità,
        Rettitudine di propositi
        Autodisciplina e crescita
        Disciplina famigliare ,
        Autogoverno locale
        Autogoverno universale

L'edificio di famiglia, racchiuso entro uno spazio cintato, è un elemento centrale del modello ideale confuciano. Crescendo in un ambiente dalla morale solida, mostrando il giusto rispetto verso i genitori, la famiglia e gli antenati, l'individuo viene educato a essere un buon cittadino, contribuendo all'armonia dello stato e, di conseguenza, del cosmo. Come modello della società umana è assunta la famiglia, forma primitiva e spontanea di associazione naturale tra uomini.


L' "edificio di famiglia" fonte: Religioni nel mondo-ed. Corriere della Sera

L'Armonia della casa , l'armonia famigliare rappresenta l'ideale cinese e confuciano. Una madre con il figlio era simbolo di armonia famigliare naturale e di fertilità. L'armonia famigliare era considerata come l'indicatore della armonia che ragnava nello Stato e nel Cosmo stesso. I figli servivano i genitori con l'obbedienza assoluta e fino alla morte. Così come i Padri erano considerati nella famiglia autorità assolute, ai Maestri era dovuta obbedienza assoluta.Il rispetto per genitori e maestri era il punto di partenza di ogni riflessione morale : dalla pietà filiale cominciavano il buon governo e l'ordine all'interno della società. Lo Stato verrà concepito come una grande famiglia, il monarca sarà "padre e madre" (fu-mu) per i sudditi e questi gli dovranno rispetto, amore ed obbedienza come figli. I singoli individui, a loro volta, dovranno essere attivi socialmente, sia nella famiglia che nello Stato. Essi non potranno in alcun modo sottrarsi ai doveri connessi con la loro posizione sociale né potranno adempierli in vista di un profitto personale (li): per Confucio l'uomo deve fare e "fare per niente". La pace e la prosperità del popolo e del Paese si realizza soltanto se ciascuno compie disinteressatamente il proprio dovere.

I Riti Il "fare" confuciano si estrinseca per mezzo dei riti (li) che sono un complesso di norme che regolano i rapporti umani, indicando la strada giusta da seguire, in ogni occasione.
Nella pratica sociale, i riti erano l'equivalente del Tao.
Per ogni rapporto umano e sociale sono stabiliti dei riti ( comportamenti prescritti moralisticamente)
In particolare vengono prese in considerazione cinque tipi di relazioni sociali, alle quali possono essere ricondotte per analogia tutte le altre. Esse sono quelle tra principe e suddito, tra padre e figlio, tra fratello maggiore e fratello minore, tra marito e moglie e tra amico e amico. Non si tratta mai di un rapporto di parità: anche nella relazione tra amico e amico si distingue l'amico più anziano da quello più giovane. Per ciascuna di queste relazioni Confucio, e più di lui la sua scuola, codificò regole di comportamento assai rigide, limitative della libertà e dell'autonomia dell'individuo.

Nella società ciascuno aveva il suo posto, doveva dare il dovuto e riceverlo, senza possibilità di deroghe. La famiglia ed il clan gentilizio furono per secoli alla base della struttura sociale della Cina. Sulla base del popolo minuto incolto, gli "uomini comuni" di cui aveva parlato Confucio, si innalzava la piramide amministrativa al cui vertice si trovava l'imperatore, depositario del "mandato celeste", il tramite fra terra, umanità e cielo.



In questo dipinto raffigurante la corte imperiale sotto la dinastia mancese dei Qing, sono rappresentati centinaia di funzionari nell'atto di prostrarsi davanti all'imperatore. Esso ben illustra il principio, centrale all'interno del Confucianesimo, secondo il quale è necessario che la società sia suddivisa in classi nettamente distinte e che a ogni gruppo corrispondano prerogative e regole di comportamento diverse. Si riteneva che la condotta di un gentiluomo dovesse essere sempre appropriata alla situazione e alla condizione della persona con cui aveva a che fare. I grandi baldacchini portati dagli attendenti simboleggiano il Cielo e sono fatti a imitazione di quelli che ricoprivano i carri da guerra dei sovrani e della nobiltà guerriera. I cinesi pensavano che il cosmo fosse come un enorme carro reale, in cui la copertura rappresentava il cielo e il carro la terra. Il baldacchino è perciò indice di uno status elevato.

L'imperatore cinese non esercitava il suo potere direttamente; egli si avvaleva di uno stuolo di funzionari, selezionati per merito in base ad esami che garantivano da un lato la loro cultura, dall'altro l'adesione personale all'ideologia dominante. Questa fu almeno la tendenza principale, anche se spesso si giunse all'acquisto delle cariche, ma sempre come forma di reclutamento parallelo. Una tradizione che durò ininterrotta per secoli faceva sì che l'imperatore esprimesse la sua volontà solo approvando o respingendo le richieste che, sotto forma di appositi memoriali, gli venivano inviate dal basso e relative ai problemi che i funzionari inferiori non si sentivano in grado o non ritenevano di poter risolvere.

In pratica egli era il primo funzionario dell'impero e la sua azione, come quella di ogni altro funzionario, consisteva nel "rettificare i nomi", nel dare cioè la giusta interpretazione, caso per caso, applicando alla realtà quotidiana i principi che la tradizione confuciana era venuta fissando e codificando. Manuali dell'arte di governo furono, essenzialmente, i libri di storia, che fornivano gli esempi, i precedenti da seguire perché si realizzasse l'osservanza del dao, della via che portava al giusto equilibrio tra tutte le forze della natura e, fra esse, del genere umano.

La classe colta era quella che deteneva effettivamente il potere. Erano gli uomini che si erano potuti innalzare grazie a quello studio su cui tanto avevano insistito sia Confucio sia Mencio sia Xunzi: essi conoscevano i riti e la scienza del governo, possedevano i testi di storia e potevano così rendere operante il mandato celeste dell'imperatore, per mantenere il sistema in giusta armonia. Questa classe di letterati praticamente monopolizzò la cultura (che d'altro canto poteva essere appresa soltanto da chi avesse condizioni economiche tali da potersi mantenere agli studi) e fornì per secoli i quadri dell'amministrazione centrale e periferica: funzionari-letterati privi di specializzazioni tecniche, ma dotati di ampia cultura umanistica e filosofica.

Su questa classe, formatasi ai principi del confucianesimo, si fondò per secoli quel sistema amministrativo che fu il pilastro centrale dell'impero cinese e del quale non sono completamente scomparse, neanche oggi, le vestigia e le impostazioni. Il contadino e il letterato/funzionario erano le pietre angolari della società cinese tradizionale.

Entrambe queste classi erano tenute a lavorare senza risparmiarsi per il bene della famiglia e dello stato. Il loro sforzo comune incarna l'etica confuciana del lavoro. Le fatiche dei contadini fornivano il sostentamento alla popolazione dell'antica Cina. La loro stretta relazione con la terra veniva espressa e celebrata nel corso delle festività stagionali, sostenute e regolate dallo stato confuciano. L'aspetto più negativo della dottrina confuciana è senza dubbio la sua concezione della donna, considerata di molto inferiore all'uomo. Il confucianesimo tolse alla donna cinese la superiorità che le restava nella vita familiare e praticamente la "seppellì" nel puritanesimo dell'epoca manciù (XVIII sec.). Ancora oggi la cerimonia nuziale e la vita coniugale risentono di questa forte discriminazione.

Da quando divenne dottrina ufficiale dell'impero all'inizio della nostra era, il confucianesimo fu l'ideologia che permise il consolidarsi di quello Stato burocratico centralizzato che, fondato dai legisti, trovò nei confuciani coloro che ne utilizzarono le strutture. La teoria delle relazioni confuciane, applicata non solo all'ambito familiare ma a quello più vasto dello Stato e perfino all'ordine internazionale, la pratica delle virtù, l'osservanza dei riti furono garanzia di conservazione e di stabilità che nulla riuscì a scalfire, neanche l'avvento del buddhismo che pure conquistò a sé le grandi masse popolari.Il confucianesimo si prestò in modo particolare a consolidare, sostenere e proteggere l'ordine politico e sociale dell'impero cinese e la sua influenza non è ancora scomparsa dalla Cina, se esponenti come Liu Shaoqi e Lin Biao hanno potuto, alcuni decenni fa, essere tacciati di "confucianesimo" (nella Campagna anti-Confucio).

La Conoscenza Imparare e riflettere sono due principi essenziali della sua filosofia. La saggezza di Confucio si ritrova sovente in piccole massime quali : "Imparare senza riflettere o riflettere senza imparare non vi porta alla buona comprensione". "Imparare senza mai soddisfarsi, insegnare senza mai stancarsi" è il suo motto. "Se si incontra un saggio bisogna seguire il suo esempio; se costui non è un saggio, bisogna fare un giro su se stessi", questa massima vuol dire che si deve prendere l'altro, che sia saggio oppure no, come uno specchio per esaminarsi, al fine di trovare il buon esempio e trarne la lezione. È tuttavia sul piano dell'insegnamento che Confucio ha portato il più grande contributo alla storia della cultura cinese. È per questo motivo che venne qualificato "modello eterno degli insegnanti" e "saggio" nella società feudale. Fu il primo a preconizzare "l'insegnamento come mezzo per impedire la divisione degli uomini in buoni e cattivi", una proposizione che abolì il monopolio dell'insegnamento da parte dell'aristocrazia e giocò un ruolo importante nell'eredità, la diffusione e lo sviluppo delle idee nell'antichità. L'insegnamento è sempre al servizio di uno scopo politico preciso e non fa eccezione in Confucio, il cui ideale si riassume con: "Ai brillanti letterati le alte cariche".

Per la società antica questa è un'idea ragionevole e progressista. Secondo lui, il potere deve essere nelle mani degli uomini virtuosi e competenti e non dei membri della nobiltà che "non sanno far altro che bere, mangiare e godere". Tuttavia, Confucio si oppone al fatto che i suoi allievi partecipino alla produzione agricola, poiché pensa che l'insegnamento ha come scopo primario mantenere e perfezionare l'ordine sociale e sopire le contraddizioni tra governati e governanti. È per questo motivo che gli allievi devono imparare i metodi di governo. 
Estremamente coscienzioso e serio negli studi, Confucio diceva: "Quando io so, dico che so, quando io non so, dico che non so, ecco ciò che si chiama sapere", un concetto molto vicino a quello di Socrate, ed anche: "Quando il nome non è giusto, il discorso non è conforme; quando il discorso non è conforme, gli affari non possono essere condotti bene", una delle frasi chiave del sistema di pensiero del Maestro. Particolarmente prudente, sosteneva ancora: "Chi ascolta molto e misura le sue parole commette meno errori; chi vede molto e agisce prudentemente ha meno rimorsi". Per ciò che concerne il metodo di riflessione, metteva in guardia contro la soggettività, l'arbitrario, la cocciutaggine e l'attitudine presuntuosa. Per ciò che concerne la pratica dell'insegnamento, consigliava di adattare il proprio insegnamento a ciascun individuo e di ragionare per analogia: "Non istruite un allievo che quando questi abbia veramente voglia di conoscere ma è incapace di conoscere senza l'aiuto altrui, non illuminate un allievo che quando questi brucia di voglia di esprimersi ma non riesce a dire ciò che ha nel cuore".

Tutti questi precetti sono conformi in una certa misura alle regole universali dell'insegnamento.  Raccogliere l'eredità del passato per aprire il cammino del futuro, è un'altra caratteristica importante del pensiero di Confucio. Non preconizza di ripetere semplicemente il passato, ma di ispirarsi a ciò che è buono nel passato per impiegarlo nel presente. Egli adotta lo stesso comportamente a proposito dell'eredità del patrimonio culturale. Se Confucio dà grande importante alle esperienze storiche, non è affatto per ripetere ciò che si sa da molto tempo (wengu), ma per imparare il nuovo (zhixin). Diceva: "Non sono nato saggio, ma è con gli studi che sono diventato saggio".

Confucio era positivamente avido di progresso, triste a causa dell'infelicità del Paese e del popolo, ottimista e distaccato da tutto. In tutta la sua vita non ha mai passato un solo giorno senza studiare. Di lui si diceva che amasse talmente lo studio da dimenticarsi sovente di mangiare; che provava un tale piacere a studiare da dimenticare le preoccupazioni della vita e anche la sua stessa veneranda età.  Diceva: "Lavoro con accanimento al punto di dimenticar di mangiare, sono felice al punto di dimenticare le mie preoccupazioni e non mi sento invecchiare". In realtà, in vita, la sorte di quest'uomo che aveva un così grande ideale, non fu per niente invidiabile. Le autorità non lo apprezzarono mai per il suo vero valore.

La " rettificazione dei nomi"
Per raggiungere le finalità proprie alla posizione ed agli obblighi sociali di ciascuno, sarà necessario che la conoscenza umana si fondi su qualcosa di fisso, di inequivocabile, che non lasci adito a dubbi (la tradizione dice che Confucio a quarant'anni non ebbe più dubbi!) e ciò potrà realizzarsi soltanto se ogni cosa, ogni fatto sarà conosciuto realmente per quello che è, se i nomi saranno corrispondenti all'oggetto cui si riferiscono. Essa garantirà la conservazione dell'ordine sociale, in accordo con le leggi della natura.

Il nominare è strettamente legato al “creare” ed è necessario fare in modo che i nomi che si danno alle cose aderiscano alla realtà delle cose stesse. Confucio crede che sia possibile migliorare la conoscenza umana della realtà, perfezionando i nomi e facendoli aderire, seguire la forma delle cose. Xun Zi invece crede che i nomi siano delle convenzioni, e che tuttavia devono essere ben condivise e rettificate perchè senza convenzioni ci sarebbe il caos.
“Allorchè i saggi re instaurarono i nomi, i nomi furono fissati e le realtà distinte. Il loro Dao era praticato e il loro intento era ben compreso: il popolo era allora rigorosamente guidato ed unificato. Poi si prese a tagliare le parole in quattro e ad inventarne a vanvera, al fine di spargere il disordine nella rettificazione dei nomi e seminare così il dubbio negli animi, suscitando liti e controversie: questa fu la grande perversione..” Xun Zi, 22
“I nomi non sono appropriati in modo definitivo; sono stabiliti per convenzione. Soltanto una volta che si sia stabilita la convenzione ed instaurato il costume li si considera come appropriati, e tutti quelli che si discostano dalla convenzione sono considerati come inappropriati.” Xun Zi, 22
I taoisti dal canto loro dicono che il nominare è limitare, quindi non potremo mai sapere quale corrispondenza c’è fra i nomi e la verità delle cose , anzi, dato che il Dao è tutto ed è l’insieme degli opposti, Esso è in-nominabile, quindi il problema della rettificazione dei nomi è un pio “esercizio stilistico”.

L'"armonia sociale " e i " riti". Conseguenza necessaria della "rettificazione dei nomi", vera e propria coincidenza tra parole e fatti sarà l'osservanza dei riti ed all'armonia musicale, cose che garantiscono la realizzazione dell'ordine nella società, ordine inteso come aderenza a regole di comportamento armoniche. Le punizioni esisteranno soltanto come correttivo al disordine.
"Se i nomi non vengono rettificati, le parole non sono in accordo con la realtà delle cose; se le parole non sono in accordo con la realtà delle cose, gli affari non possono essere portati a compimento; se gli affari non sono portati a compimento, i riti e la musica non vengono coltivati; se i riti e la musica non vengono coltivati, le punizioni non vengono assegnate nel modo giusto; se le punizioni non vengono assegnate nel modo giusto, il popolo non sa come muovere le mani ed i piedi. Perciò il saggio nomina solo ciò di cui può parlare, parla solo di ciò che sa fare: nelle parole del saggio non ci può essere nulla di inesatto" . ("Dialoghi", XIII, 3) "
Il popolo saprà sempre come comportarsi, se educato all'osservanza dei riti e alla musica. Per realizzare, in pratica, la coincidenza tra i nomi e la realtà occorre dedicarsi allo studio delle tradizioni, dalle quali si potrà trarre la capacità di comprendere il significato di tutte le cose e, in particolare, si potrà raggiungere la consapevolezza dei propri doveri Per questo Confucio si dedicò a fondo allo studio della storia, da lui paragonata a uno specchio; la storia, è l'unica fonte alla quale può attingere l'umanità per conoscere se stessa. Nei grandi dell'antichità e nelle loro opere possono essere ritrovati i modelli di comportamento del presente.



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