Corso di Religione

         


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Le testimonianze storiche  su GESU'jesus1Gesù ha veramente fatto le opere straordinarie che gli scritti cristiani riportano?

E' veramente il salvatore del mondo oppure è uno dei tanti saggi che hanno dato all'umanità un messaggio morale, una ricetta per la felicità?

Sulla vicenda storica di Gesù così come sulla sua persona si sono versati fiumi di inchiostro.

Gesù è probabilmente il personaggio storico sul quale si è scritto, dipinto, scolpito, parlato e discusso di più nella storia umana. Molte volte, anche nella storia recente, è stata messa in dubbio la sua esistenza storica .

GESU' così come viene annunciato dai cristiani è esistito veramente oppure è il frutto di una mitizzazione operata dai suoi seguaci?

Studiosi, anche illustri, hanno fatto l'ipotesi che egli non sia mai esistito, e che si sia trattato di un personaggio fantastico, cui furono attribuite interessanti dottrine.
Le testimonianze più antiche ed abbondanti su Gesù ci vengono naturalmente dai suoi discepoli, cioè da credenti nella sua predicazione.

Le rintracciamo soprattutto nei quattro Vangeli.
C'è chi ha messo in dubbio tali testimonianze, in passato. Oggi nessuno studioso serio mette più in dubbio la fede di coloro che testimoniarono su Gesù: nessuno di loro infatti poteva avere alcun interesse nascosto per parlare di Lui.

Al contrario, tutti i discepoli pagarono a caro prezzo la fede in Gesù: furono contrastati, perseguitati, e molti testimoniarono addirittura con il sacrificio della vita il fatto di dichiararsi suoi discepoli.
Le testimonianze extracristiane.Le testimonianze sull'esistenza storica di Gesù sono di fatto non moltissime:  testimonianze importanti ci vengono  da fonti non cristiane . Di Lui , della sua dottrina e dei  i suoi discepoli parlano gli storici romani tra i piu' noti  come Tacito e Svetonio, lo storico ebreo Giuseppe Flavio, e una importante raccolta di scritti giudaici, il Talmud Tacito e Svetonio, storici romani vissuti tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo, ricordano i discepoli di Cristo che vivevano a Roma: 

«(Nerone) presentò come colpevoli[del grande incendio di Roma del 64 d.C.] e colpì con supplizi raffinatissimi quelli che la gente, odiandoli per i loro delitti, chiamava Crestiani. La causa di questo nome, Cristo, era stato condannato al supplizio [della croce] dal procuratore Ponzio Pilato, sotto l'impero di Tiberio ... ».
«L'imperatore Claudio espulse da Roma Giudei, che a causa di Cresto facevano frequenti tumulti ... »
.

Il Talmud , testo della Tradizione giudaica, cosi parla di Gesù:

« Ecco ciò che è trasmesso: il giorno di Pasqua fu appeso (alla croce) Gesù. Un araldo ha camminato quaranta giorni davanti a lui dicendo: Deve essere messo a morte perché ha praticato la magia ed ha sviato il popolo di Israele. Chi sa qualcosa a sua discolpa venga a difenderlo. Ma non fu trovata alcuna difesa e fu appeso (alla croce) il giorno della preparazione della Pasqua.»

Dice Paolo :

Eb 13, 8 Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!

Gesù sta all'origine della creazione-storia, ( ieri ) , la attraversa ( oggi ) , e la porta a compimento definitivo, eterno ( sempre), ... in Se Stesso!La genealogia di Gesù.Gli Evangelisti Matteo e Luca fanno ricerche su Gesù , sulla sua genealogia e con le risorse documentarie stabiliscono che Gesù , senza dubbio è un uomo, ebreo discendente di Davide, e senza dubbio è Figlio di Dio ! Con ciò i due evangelisti attestano -fra l'altro- che GESU' è dentro la storia a tutti gli effetti: non è una invenzione teologica MATTEO scopre che Gesù appartiene ad una ramo oscuro dei discendenti di Davide. Vi appartiene in modo singolare: Giuseppe è discendente di Davide ma non genera Gesù, lo adotta  sposando Maria che è già incinta.

Per la legge giudaica l’adozione rendeva legalmente figli e Gesù legalmente adottato da Giuseppe, entra a far parte della sua stirpe. Giuseppe era discendente di Davide perciò conclude Matteo :

Mt1, 1 Genealogia di GESU' Cristo
figlio di Davide, figlio di Abramo
figlio di Davide...17 tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici. ( adattamento di Matteo per ottenere la ripetizione del numero 14 che era il numero di Davide.) Il Messia atteso da Israele doveva essere un davidide.

Il numero 3x14=72 generazioni serve a Matteo per misurare la storia di Israele: da Abramo a GESU' ci sono state 6 "settimane o settenari " di storia ( 6x12=72) e l'avvento di GESU' segna l'inizio della VII settimana o settenario , ciò che nella aspettativa giudaica indicava l'epoca ( eone) finale di Israele e dell'umanità .

L'VIII settimana sarebbe stato il " mondo nuovo, futuro" del Regno di Dio definitivo. La venuta di GESU' secondo Matteo segna l'inizio dell' eone finale della storia .

figlio di Abramo
-Da Abramo a Giuseppe c'è l'Israele peccatore la " generazione perversa" ( At 2,40) . Matteo fa teologia e non cronaca : GESU' non è stato generato da quella stirpe /tradizione peccatrice , GESU' non è figlio di ( somigliante a  .. ) Giuseppe , la generazione peccatrice , questi è solo il padre legale, GESU' è generato da Maria e suo Padre è Dio ( infatti GESU' assomiglia a Dio ) . ... 16, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato GESU', chiamato Cristo.
Con Gesù comincia una Nuova generazione UMANA opera dello Spirito di Dio. Egli non nasce dalla carne-generazione peccatrice ( Abramo -Davide - Giuseppe) , ma nasce dalla carne-verginità di Maria , cioè dalla generazione santa ( ovvero dall' immacolata concezione della creazione , Maria ) per opera dello Spirito Divino. Abramo è inizio dell'Israele etnico-religioso e questo finisce quando viene GESU', inizio del nuovo popolo universale di Dio , suo Regno definitivo.

GIOVANNI scopre la preesistenza di GESU' come Verbo/Logos/Sapienza divina che fonda la venuta di Gesù nella specie umana.

Gv 1,1 «In principio era il Logos...Il Logos si fece carne e venne ad  abitare in mezzo a noi»
... 99 Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
10 Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
11 Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
12 A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
13 i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.

LUCA scopre che Gesù, che  si credeva fosse figlio di Giuseppe, ...invece è figlio di Dio!

Lc 3,23- Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent`anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli, ... 24 figlio di Mattàt, ... 38figlio di Enos, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio Nel battesimo Gesù si rivela Figlio di Dio unigenito :
«tu sei mio figlio, oggi ti ho generato...»,
MARCO è lapidario: Mc 1,1 «Inizio-principio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio.»GESU' della storia è lo stesso GESU' della fede? Tutte le ricerche storiche fatte su Gesù tentano di separare un " Gesù della storia" da un " Gesù della fede " .

I risultati sono diversi ma tutti i tentativi fatti dimostrano che questa separazione è impossibile : è impossibile fare di Gesù “un normale giudeo del suo tempo”, anzi è impossibile farne “un semplice uomo”.
Sono stati fatti molti studi storici su Gesù e le interpretazioni dei documenti sono le più disparate: ci sitrova di tutto ed il contrario di tutto.

Evitare uno studio storico su Gesù e non riconoscere Gesù l'ebreo (sebbene molto libero rispetto alla religione giudaica) significa fare di lui una idea su cui si può proiettare qualsiasi ideologia. Gesù rivoluzionario, Gesù un mito, Gesù non è mai esistito, Gesù incarnazione di Vishnù, Gesù mago, etc.

Un esempio di ricerca storica recente su Gesù ,viene presentata nel libro di Corrado Augias e Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù -2006 . La ricerca conclude che :

" Gesù era un ebreo che non voleva fondare una nuova religione. Non era un cristiano. Era convinto che il Dio delle scritture ebraiche stesse cominciando a trasformare il mondo per instaurare finalmente il suo regno sulla terra.

Era totalmente concentrato su Dio e pregava per capire la sua volontà e ottenere le sue rivelazioni, ma era anche totalmente concentrato sui bisogni degli uomini soprattutto gli 'ultimi': i malati, i più poveri, coloro che sono privi di giustizia.

Il suo messaggio era inscindibilmente mistico e sociale. Il regno di Dio non venne, e anzi egli stesso fu messo a morte dai romani per timori politici. I suoi discepoli, che provenivano da ambienti diversi, diedero fin dall'inizio interpretazioni differenti del suo messaggio.

Si interrogarono sulla sua morte dandone spiegazioni diverse, molti di loro si convinsero che era risuscitato dai morti.

Un certo numero di suoi seguaci rimase dentro le comunità ebraiche, altri diedero vita ad una nuova religione percorsa da diverse correnti, il cristianesimo.

Solo tra III e IV secolo si sarebbe formata una collezione di sacre scritture cristiane, quella che oggi si chiama "Nuovo Testamento", ma i primi cristiani avevano scritto nel frattempo numerosissime altre opere.

Quelle che le chiese considerarono apocrife, a partire all'incirca dal IV secolo, scomparvero poco alla volta; sono ricomparse dalla fine dell'Ottocento ad oggi grazie agli scavi archeologici e alle ricerche storiche.
.."
Gesù: un ebreo, un cristiano o tutte e due le cose? (di Padre Raniero Cantalamessa Avvenire, Sabato 18 novembre 2006 a proposito del libro di Corrado Augias e Mauro Pesce )

Sant’Ireneo, nel II secolo, a coloro che si domandavano che cosa Cristo “avesse recato di nuovo venendo nel mondo” rispondeva : “Ha portato, ogni novità portando se stesso” . ".. La fede condiziona la ricerca storica? Innegabilmente, almeno in una certa misura. Ma io credo che l’incredulità la condiziona enormemente di più. Se uno si accosta alla figura di Cristo e ai Vangeli da non credente ...l’essenziale è già deciso in partenza: la nascita verginale non potrà che essere un mito, i miracoli frutto di suggestione, la risurrezione prodotto di uno «stato alterato della coscienza» e così via. Vengo ora al punto principale condiviso dai due autori.
Gesù è stato un ebreo, non un cristiano;  non ha inteso fondare nessuna nuova religione ; si è considerato mandato solo per gli ebrei, non anche per i pagani;

«Gesù è molto più vicino agli ebrei religiosi di oggi che non ai sacerdoti cristiani»; il cristianesimo «nasce addirittura nella seconda metà del II secolo»
Come conciliare quest'ultima affermazione con la notizia degli Atti (11,26) secondo cui, non più di 7 anni dopo la morte di Cristo, circa l'anno 37, «ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani»?

Plinio il Giovane (una fonte non sospetta!), tra il 111 e il 113 parla ripetutamente dei «cristiani», di cui descrive la vita, il culto e la fede in Cristo «come in un Dio».

Intorno agli stessi anni, Ignazio d'Antiochia parla per ben 5 volte di cristianesimo come distinto dal giudaismo, scrivendo: «Non è il cristianesimo che ha creduto nel giudaismo, ma il giudaismo che ha creduto nel cristianesimo» (Lettera ai Magnesiani 10, 3).

In Ignazio, cioè all'inizio del II secolo, non troviamo attestati solo i nomi «cristiano» e «cristianesimo», ma anche il contenuto di essi: fede nella piena umanità e divinità di Cristo, struttura gerarchica della Chiesa (vescovi, presbiteri, diaconi), perfino un primo chiaro accenno al primato del vescovo di Roma, «chiamato a presiedere nella carità».

Prima ancora, del resto, che entrasse nell'uso comune il nome di cristiani, i discepoli erano coscienti della identità propria e la esprimevano con termini come «i credenti in Cristo», «quelli della via», o «quelli che invocano il nome del Signore Gesù».

Ma tra le affermazioni dei due autori che ho appena riportate ce n'è una che merita di essere presa sul serio e discussa a parte.
«Gesù non ha inteso fondare nessuna nuova religione. Era ed è rimasto ebreo». Verissimo: difatti   neanche la Chiesa, a rigore, considera il cristianesimo una "nuova" religione. Si considera insieme con Israele (una volta si diceva a torto «al posto di Israele») l'erede della religione monoteistica dell'Antico Testamento, adoratori dello stesso Dio «di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (dopo il Concilio Vaticano II, il dialogo con l'ebraismo non è portato avanti dall'organismo vaticano che si occupa del dialogo tra le religioni, ma di quello che si occupa dell'unità dei cristiani!).
 Il Nuovo Testamento non è un inizio assoluto, è il "compimento" (categoria fondamentale) dell'Antico.

Del resto, nessuna religione è nata perché qualcuno ha inteso "fondarla" .
Forse Mosè aveva inteso fondare la religione d'Israele o Buddha il buddhismo? Le religioni nascono e prendono coscienza di sé in seguito, da coloro che hanno raccolto il pensiero di un Maestro e ne hanno fatto ragione di vita.

Ma fatta questa precisazione, si può dire che nei Vangeli non c'è nulla che faccia pensare alla convinzione di Gesù di essere portatore di un messaggio nuovo?

E le sue antitesi: «Avete inteso che fu detto…, ma io vi dico» con le quali reinterpreta perfino i 10 comandamenti e si pone sullo stesso piano di Mosè?
Esse riempiono tutta una sezione del Vangelo di Matteo (5, 21-48), cioè di quel medesimo evangelista su cui si fa leva, nel libro, per affermare la piena ebraicità di Cristo!

Gesù aveva l'intenzione di dare vita a una sua comunità e prevedeva che la sua vita e il suo insegnamento avrebbero avuto un seguito?

Il fatto indiscutibile dell'elezione dei 12 apostoli sembra proprio indicare di sì. Anche lasciando da parte la grande commissione: «Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura» (qualcuno potrebbe attribuirla, nella sua formulazione, alla comunità post-pasquale), non si spiegano diversamente tutte quelle parabole, il cui nucleo originario contiene proprio la prospettiva di un allargamento alle genti.

Si pensi alla parabola dei vignaioli omicidi, degli operai nella vigna, al detto sugli ultimi che saranno i primi, sui molti che «verranno dall'oriente e dall'occidente per sedersi a mensa con Abramo», mentre altri ne saranno esclusi e innumerevoli altri detti…


Venuto per gli ebrei, per i pagani o per tutti e due?

Durante la sua vita Gesù non è uscito dalla terra d’Israele, eccetto qualche breve puntata nei territori pagani del Nord, ma questo si spiega con la sua convinzione di essere mandato anzitutto per Israele, per poi spingerlo, una volta convertito, ad accogliere nel suo seno tutte le genti, secondo le prospettive universalistiche annunciate dai profeti.

È molto curioso: c’è tutto un filone del pensiero ebraico moderno (F. Rosenzweig, H. J. Schoeps, W. Herberg) secondo cui Gesù non sarebbe venuto per gli ebrei, ma solo per i gentili; secondo Augias e Pesce egli sarebbe invece venuto solo per gli ebrei, e non per i gentili.

Va dato merito a Pesce che non accetta di liquidare la storicità dell’istituzione dell’Eucaristia e la sua importanza nella primitiva comunità. Qui è uno dei punti dove più emerge l’inconveniente segnalato all’inizio di tener conto solo delle differenze, e non delle convergenze.

I tre Sinottici e Paolo unanimemente attestano il fatto quasi con le stesse parole, ma per Augias questo conta meno del fatto che l’istituzione è taciuta da Giovanni e che, nel riferirla, Matteo e Marco abbiano «Questo è il mio sangue», mentre Paolo e Luca hanno «Questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue».

La parola di Cristo: «Fate questo in memoria di me», pronunciata in tale occasione, si richiama a Esodo 12, 14 e mostra l’intenzione di dare al "memoriale" pasquale un nuovo contenuto. Non per nulla di lì a poco Paolo parlerà della «nostra Pasqua» (1 Cor 5, 7), distinta da quella dei giudei.

Se all’Eucaristia e alla Pasqua si aggiunge il fatto incontrovertibile dell’esistenza di un battesimo cristiano fin dall’indomani della Pasqua che progressivamente sostituisce la circoncisione, abbiamo gli elementi essenziali per parlare, se non di una nuova religione, di un modo nuovo di vivere la religione d’Israele.

Quanto al canone delle Scritture, è vero ciò che afferma Pesce che l’elenco definitivo degli attuali 27 libri del Nuovo Testamento viene fissato solo con Atanasio nel 367, ma non si dovrebbe tacere il fatto che il suo nucleo essenziale, composto dai quattro Vangeli più 13 lettere paoline, è molto più antico; si è formato verso l’anno 130 e alla fine del II secolo gode ormai della stessa autorità dell’Antico Testamento (frammento Muratoriano).

«Anche Paolo, come Gesù, – si dice nel libro – non è un cristiano, ma un ebreo che rimane nell’ebraismo».

Anche questo è vero; non dice forse lui stesso: «Sono ebrei? Anch’io! Anzi io più di loro!»? Ma questo non fa che confermare ciò che ho appena rilevato sulla fede in Cristo come "compimento" della legge.

Per un verso Paolo si sente nel cuore stesso di Israele (del «resto di Israele», preciserà egli stesso), per l’altro si distacca da esso (dall’ebraismo del suo tempo) con il suo atteggiamento verso la legge e la sua dottrina della giustificazione mediante la grazia.

Sulla tesi di un Paolo «ebreo e non cristiano», sarebbe interessante sentire cosa ne pensano gli stessi ebrei…



Il simbolo del pesce, ricorrente nella iconografia cristiana antica. Il termine "pesce" in greco ἰχθύς (ichthýs) è l'acronimo di Ἰησοῦς Χριστός Θεοῦ Ὑιός Σωτήρ (Iēsoùs Christòs Theoù Yiòs Sōtèr), "Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore".


Responsabile della sua morte: il Sinedrio, Pilato, o tutti e due?

Merita una discussione a parte il capitolo sul processo e la condanna di Cristo. La tesi centrale non è nuova; ha cominciato a circolare in seguito alla tragedia della Shoah ed è stata adottata da quelli che propugnavano negli anni Sessanta e Settanta la tesi di un Gesù zelota e rivoluzionario.

Secondo essa, la responsabilità della morte di Cristo ricade principalmente, anzi forse esclusivamente, su Pilato e l’autorità romana, il che indica che la sua motivazione è più di ordine politico che religioso.

I Vangeli hanno scagionato Pilato e accusato di essa i capi dell’ebraismo per tranquillizzare le autorità romane sul loro conto e farsele amiche.

Questa tesi è nata da una preoccupazione giusta che tutti oggi condividiamo: togliere alla radice ogni pretesto all’antisemitismo che tanto male ha procurato al popolo ebraico da parte dei cristiani.

Ma il torto più grave che si può fare a una causa giusta è quello di difenderla con argomenti sbagliati. La lotta all’antisemitismo va posta su un fondamento più solido che una discutibile (e discussa) interpretazione dei racconti della Passione.

L’estraneità del popolo ebraico, in quanto tale, alla responsabilità della morte di Cristo riposa su una certezza biblica che i cristiani hanno in comune con gli ebrei, ma che purtroppo per tanti secoli è stata stranamente dimenticata: «Colui che ha peccato deve morire. Il figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio» (Ez 18,20).

La dottrina della Chiesa conosce un solo peccato che si trasmette per eredità di padre in figlio, il peccato originale, nessun altro. Messo al sicuro il rifiuto ell’antisemitismo, vorrei spiegare perché non si può accettare la tesi della totale estraneità delle autorità ebraiche alla morte di Cristo e quindi della natura essenzialmente politica di essa.

Paolo, nella più antica delle sue lettere, scritta intorno all’anno 50, dà, della condanna di Cristo, la stessa fondamentale versione dei Vangeli. Dice che i «giudei hanno messo a morte Gesù» (1 Ts 2,15), e sui fatti accaduti a Gerusalemme poco tempo prima del suo arrivo in città egli doveva essere informato meglio di noi moderni, avendo, un tempo, approvato e difeso "accanitamente" la condanna del Nazareno.

Durante questa fase più antica il cristianesimo si considerava ancora destinato principalmente a Israele; le comunità nelle quali si erano formate le prime tradizioni orali confluite in seguito nei Vangeli erano costituite in maggioranza da giudei convertiti; Matteo, è preoccupato di mostrare che Gesù è venuto a compiere, non ad abolire, la legge.

Se c’era dunque una preoccupazione apologetica, questa avrebbe dovuto indurre a presentare la condanna di Gesù come opera piuttosto dei pagani che delle autorità ebraiche, al fine di rassicurare i giudei di Palestina e della diaspora sul conto dei cristiani.

D’altra parte, quando Marco e, sicuramente, gli altri evangelisti scrivono il loro Vangelo c’è stata già la persecuzione di Nerone; ciò avrebbe dovuto spingere a vedere in Gesù la prima vittima del potere romano e nei martiri cristiani coloro che avevano subito la stessa sorte del Maestro.

Se ne ha una conferma nell’Apocalisse, scritta dopo la persecuzione di Domiziano, dove Roma è fatta oggetto di una invettiva feroce («Babilonia», la «Bestia», la «prostituta») a causa del sangue dei martiri (cfr. Ap. 13 ss.).

Pesce ha ragione di scorgere una «tendenza antiromana» nel Vangelo di Giovanni (pag. 156), ma Giovanni è anche quello che più accentua la responsabilità del Sinedrio e dei capi ebrei nel processo a Cristo: come si concilia la cosa? Non si possono leggere i racconti della Passione ignorando tutto ciò che li precede.

I quattro Vangeli attestano, si può dire a ogni pagina, un contrasto religioso crescente tra Gesù e un gruppo influente di giudei (farisei, dottori della legge, scribi) sull’osservanza del sabato, sull’atteggiamento verso i peccatori e i pubblicani, sul puro e sull’impuro. Jeremias ha dimostrato la motivazione antifarisaica presente in quasi tutte le parabole di Gesù.

Il dato evangelico è tanto più credibile in quanto il contrasto con i farisei non è affatto pregiudiziale e generale. Gesú ha degli amici tra di loro (uno è Nicodemo); lo troviamo a volte a pranzo in casa di qualcuno di loro; essi accettano almeno di discutere con lui e di prenderlo sul serio, a differenza dei Sadducei.

Pur non escludendo dunque che la situazione posteriore abbia influito a calcare ulteriormente le tinte, è impossibile eliminare ogni contrasto tra Gesù e una parte influente della leadership ebraica del suo tempo, senza disintegrare completamente i Vangeli e renderli storicamente incomprensibili.

L’accanimento del fariseo Saulo contro i cristiani non era nato dal nulla e non se l’era portato dietro da Tarso! Una volta però dimostrata l’esistenza di questo contrasto, come si può pensare che esso non abbia giocato alcun ruolo al momento della resa finale dei conti e che le autorità ebraiche si siano decise a denunziare Gesù a Pilato unicamente per paura di un intervento armato dei romani, quasi a malincuore?

Pilato non era certo una persona sensibile a ragioni di giustizia, tale da preoccuparsi della sorte di un ignoto giudeo; era un tipo duro e crudele, pronto a stronc are nel sangue ogni minimo indizio di rivolta. Tutto ciò è verissimo.

Egli però non tenta di salvare Gesù per compassione verso la vittima, ma solo per un puntiglio contro i suoi accusatori, con i quali era in atto una guerra sorda fin dal suo arrivo in Giudea. Naturalmente, questo non diminuisce affatto la responsabilità di Pilato nella condanna di Cristo, che ricade su di lui non meno che sui capi ebrei.

Non è il caso, oltre tutto, di volere essere «più ebrei degli ebrei». Dalle notizie sulla morte di Gesù, presenti nel Talmud e in altre fonti giudaiche (per quanto tardive e storicamente contraddittorie), emerge una cosa: la tradizione ebraica non ha mai negato una partecipazione delle autorità religiose del tempo alla condanna di Cristo.

Non ha fondato la propria difesa negando il fatto, ma semmai negando che il fatto, dal punto di vista ebraico, costituisse reato e che la sua condanna sia stata una condanna ingiusta.

Una versione, questa, compatibile con quella delle fonti neotestamentarie che, mentre, da una parte, mettono in luce la partecipazione delle autorità ebraiche (dei sadducei forse più ancora che dei farisei) alla condanna di Cristo, dall’altra spesso la scusano, attribuendola a ignoranza (cf. Lc 23,34; Atti 3, 17; 1 Cor 2,8). È il risultato a cui giunge anche Raymond Brown, nel suo libro di 1608 pagine su «La morte del Messia».

Una nota marginale, ma che tocca un punto assai delicato. Secondo Augias, Luca attribuisce a Gesù le parole: «E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me» (Lc 19, 27) e commenta dicendo che: «È a frasi come queste che si rifanno i sostenitori della "guerra santa" e della lotta armata contro i regimi ingiusti».

Va precisato che Luca non attribuisce tali parole a Gesù, ma al re della parabola che sta narrando e si sa che non si possono trasferire di peso dalla parabola alla realtà tutti i dettagli del racconto parabolico, e in ogni caso essi vanno trasferiti dal piano materiale a quello spirituale.

Il senso metaforico di quelle parole è che accettare o rifiutare Gesù non è senza conseguenze; è una questione di VITA o di morte, ma VITA e morte spirituale, non fisica. La guerra santa non c’entra proprio.
.."

-    IL VOLTO DELLA SINDONE


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