Teologia delle Religioni
Commissione Teologica Internazionale,
tenutesi a Roma nel 1993, 1994 e 1995.
[ Estratto dalla Versione elettronica del
testo da 'Il Regno', Documenti, n. 3 1997, pp. 75-89.]
Sottocommissione
composta da S.E. mons. Norberto Strotmann MSC, dal rev. Barthélemy
Adoukonou, dal rev. Jean Corbon, dal rev. P. Mário de França
Miranda SI, dal rev. Ivan Golub, dal rev. p. Tadahiko Iwashima SI, dal
rev. p. Luis F. Ladaria SI (presidente), dal rev. Hermann J. Pottmeyer
e dal rev. p. Andrzej Szostek MIC.
Il presente testo è stato
approvato in forma specifica, con il voto della Commissione, il 30 settembre
1996, ed è stato poi sottoposto al suo presidente, il card. J.
Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il
quale ha dato la sua approvazione per la pubblicazione.
INTRODUZIONE L'importanza del
fatto religioso nella vita umana e gli incontri sempre più
frequenti tra gli uomini e le culture rendono necessario il dialogo
interreligioso in vista dei problemi e dei bisogni che riguardano
l'umanità, per chiarire il senso della vita e per promuovere
un'azione comune in favore della pace e della giustizia nel mondo 1. La questione
delle relazioni tra le religioni va acquistando un'importanza sempre
maggiore. Tra i vari fattori che contribuiscono a rendere attuale
il problema, c'è
in primo luogo la crescente interdipendenza tra le diverse parti
del mondo.
Essa si manifesta su diversi piani: è sempre
più
grande il numero delle persone che, nella maggior parte dei paesi,
accedono all'informazione; le migrazioni sono tutt'altro che un ricordo
del passato; le nuove tecnologie e l'industria moderna hanno prodotto
scambi finora sconosciuti tra molti paesi. Indubbiamente questi fattori
interessano in modo diverso continenti e nazioni, ma nessuna parte
del mondo, almeno in qualche misura, può considerarsene estranea.
2. Tali fattori di comunicazione e di
interdipendenza tra i diversi popoli e le diverse culture hanno prodotto
una maggiore coscienza della pluralità delle religioni del pianeta, con i pericoli
ma insieme con le opportunità che questo comporta.
Nonostante
la secolarizzazione, tra gli uomini del nostro tempo non è scomparsa
la religiosità: sono noti i vari fenomeni in cui questa si
manifesta, nonostante la crisi che, in diversa misura, interessa
le grandi religioni. L'importanza del fatto religioso nella vita
umana e gli incontri sempre più frequenti tra gli uomini e
le culture rendono necessario il dialogo interreligioso, in vista
dei problemi e dei bisogni che riguardano l'umanità, per chiarire
il senso della vita e per promuovere un'azione comune in favore della
pace e della giustizia nel mondo.
Il cristianesimo non si tiene fuori
né può rimanere al margine di tale incontro e del conseguente
dialogo tra le religioni. Se queste sono state talvolta, e possono
essere ancora, fattori di divisione e di conflitto tra i popoli, è auspicabile
che nel mondo attuale appaiano agli occhi di tutti come elementi
di pace e di unione. Il cristianesimo deve dare il suo contributo
perché questo sia possibile.
3. Perché tale dialogo sia fruttuoso, occorre che
il cristianesimo, e in concreto la chiesa cattolica, si impegni a
precisare come vàluta,
dal punto di vista teologico, le religioni. Da
questa valutazione dipenderà in grande misura il rapporto dei cristiani con le
varie religioni e con i loro seguaci, e il conseguente dialogo che,
in diverse forme, si stabilirà con esse. Le riflessioni che
seguono hanno come oggetto principale l'elaborazione di alcuni principi
teologici che aiutino questa valutazione.
Tali principi sono proposti
con la chiara consapevolezza che esistono molte questioni ancora
aperte, le quali richiedono ulteriori indagini e discussioni. Prima
di esporre i principi, riteniamo necessario tracciare le linee fondamentali
del dibattito teologico attuale: partendo da questo, si potranno
comprendere meglio le proposte che successivamente si formuleranno
.
I. TEOLOGIA DELLE RELIGIONI (status
quaestionis)
I.1. OGGETTO, METODO E FINALITÀ DUE IPOTESI
1.le religioni contengono valori positivi, che però,
in quanto tali, non hanno valore salvifico.
2-le religioni, in quanto espressioni sociali della relazione
dell'uomo con Dio, aiutano i propri seguaci ad accogliere la
grazia di Cristo ('fides implicita') necessaria per la salvezza e
ad aprirsi all'amore del prossimo che Gesù identifica
con l'amore di Dio.
In tal senso, esse possono avere valore
salvifico, sebbene contengano elementi di ignoranza, di
peccato e di perversione. 4. La teologia
delle religioni non presenta ancora uno statuto epistemologico
ben definito: è questo uno
dei motivi determinanti della discussione attuale.
Nella teologia
cattolica anteriore al Vaticano II si rilevano due linee di pensiero
in relazione al problema del valore salvifico delle religioni.
Una, rappresentata da 'Jean Daniélou, Henri de Lubac' e altri, ritiene che le religioni si fondino
sull'alleanza con Noè,
alleanza cosmica che comporta la rivelazione di Dio nella natura
e nella coscienza, e che è diversa dall'alleanza con Abramo.
In quanto conservano i contenuti di questa
alleanza cosmica, le religioni contengono valori positivi, che però, in quanto tali, non
hanno valore salvifico. Sono "segnali di attesa" ('pierres
d'attente'), ma anche "pietre di inciampo"
('pierres d'achoppement'), dovuto al peccato. Essi, da soli, vanno
dall'uomo a Dio: soltanto in Cristo e nella sua chiesa raggiungono
il loro compimento ultimo e definitivo.
L'altra linea, rappresentata
da 'Karl Rahner', afferma che l'offerta della
grazia, nell'ordine attuale, raggiunge tutti gli uomini e che essi
hanno la coscienza certa, non necessariamente riflessa, della sua
azione e della sua luce.
A motivo della caratteristica
di socialità propria dell'essere
umano, le religioni, in quanto espressioni sociali della relazione
dell'uomo con Dio, aiutano i propri seguaci ad accogliere la grazia
di Cristo ('fides implicita') necessaria per la salvezza e ad aprirsi
all'amore del prossimo che Gesù identifica con l'amore di
Dio. In tal senso, esse possono avere valore salvifico, sebbene contengano
elementi di ignoranza, di peccato e di perversione.
5. Attualmente cresce l'esigenza di una maggiore
conoscenza di ciascuna religione, prima di poterne elaborare la relativa
teologia. Poiché
in ogni tradizione religiosa si incontrano elementi di origine e
di portata ben diverse, la riflessione teologica deve limitarsi a
considerare fenomeni concreti e ben definiti, per evitare giudizi
globali e aprioristici.
Così
-
alcuni sostengono una teologia
della storia delle religioni;
- altri prendono in considerazione l'evoluzione
storica delle religioni, i rispettivi caratteri specifici,
a volte incompatibili tra loro;
- altri riconoscono l'importanza del materiale
fenomenologico e storico, senza negare totalmente il metodo deduttivo;
- altri rifiutano un riconoscimento positivo globale delle religioni.
6. In un'epoca nella quale si apprezza
il dialogo, la comprensione reciproca e la tolleranza, è naturale che vi siano tentativi
di elaborare una teologia delle religioni a partire da criteri che
siano accettati da tutti, cioè che non siano esclusivi di
una determinata tradizione religiosa. Perciò non sempre si
distinguono chiaramente le condizioni per il dialogo interreligioso
e i presupposti fondamentali di una teologia cristiana delle religioni.
Per evitare il dogmatismo si cercano appoggi esterni, che consentano
di valutare la verità
di una religione; ma gli sforzi compiuti in questa direzione non
riescono a convincere. Se la teologia è 'fides quaerens intellectum',
non si vede come si possa abbandonare il "principio dogmatico"
o condurre una riflessione teologica prescindendo dalle proprie fonti.
7. Di fronte a tale situazione, una teologia
cristiana delle religioni ha davanti a sé diversi compiti.
In primo luogo il cristianesimo dovrà impegnarsi a comprendere
e valutare se stesso nel contesto di una pluralità di religioni;
dovrà riflettere in
concreto sulla verità e l'universalità che esso rivendica.
In secondo luogo dovrà
cercare il senso, la funzione e il valore proprio delle religioni
nella totalità della storia della salvezza.
Infine la teologia
cristiana dovrà studiare ed esaminare
le religioni concrete con i loro contenuti ben definiti, che dovranno
essere posti a confronto con i contenuti della fede cristiana.
Per questo è necessario
stabilire criteri che consentano una discussione critica di tale
materiale e un'ermeneutica che lo interpreti.
I.2. LA DISCUSSIONE SUL VALORE SALVIFICO DELLE RELIGIONI
IL CONCILIO VAT.
II
'Lumen gentium', n. 16:
...quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua
Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della
grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di
lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire
la salvezza eterna.
Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza
a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento
di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una
vita retta....
tutto ciò che di buono e di vero si trova in
loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione
ad accogliere il Vangelo e come dato da colui che
illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente
la vita.
I TEOLOGI
Il 'cristocentrismo' accetta che nelle religioni possa esserci
la salvezza, ma nega loro un'autonomia salvifica, a motivo
dell'unicità
e dell'universalità della salvezza di Gesù Cristo.
Questa posizione è senza dubbio la più comune
tra i teologi cattolici, pur essendoci differenze tra loro .
8. La questione
di fondo è la
seguente: le religioni sono mediazioni di salvezza per i loro seguaci?
A questa domanda
-
c'è chi dà una risposta negativa,
anzi alcuni dicono che tale impostazione non ha senso;
- altri danno
una risposta affermativa, che a sua volta apre la via ad altre domande:
sono mediazioni salvifiche autonome, o si realizza in esse la salvezza
di Gesù Cristo?
Si tratta
pertanto di definire lo 'statuto' del cristianesimo e delle religioni
come realtà socioculturali
in relazione con la salvezza dell'uomo. Tale questione non dev'essere
confusa con quella della salvezza dei singoli, cristiani o no: di
tale distinzione non sempre si è
tenuto il dovuto conto.
9. Si è tentato di classificare in vari
modi le diverse posizioni teologiche di fronte a questo problema.
Vediamo alcune di tali classificazioni:
-
Cristo contro le religioni, nelle religioni, sopra le religioni,
con le religioni
(universo ecclesiocentrico o cristologia esclusiva;
universo cristocentrico o cristologia inclusiva; universo teocentrico
con una cristologia normativa; universo teocentrico con una cristologia
non normativa).
Alcuni teologi adottano la divisione tripartita
-
'esclusivismo, inclusivismo, pluralismo' -
che si presenta come parallela
all'altra: 'ecclesiocentrismo, cristocentrismo, teocentrismo'.
Dovendo
scegliere una di queste classificazioni per condurre la nostra riflessione,
seguiremo quest'ultima, pur completandola con le altre se sarà necessario.
10. L''ecclesiocentrismo' esclusivista,
frutto di un determinato sistema teologico o di un'errata
comprensione della frase 'extra Ecclesiam nulla salus', non è più difeso
dai teologi cattolici, dopo le chiare affermazioni di Pio
XII e del concilio Vaticano II sulla possibilità di salvezza
per quelli che non appartengono visibilmente alla chiesa (cf., per
esempio,
[Dio non e
neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto nelle ombre
e sotto le immagini, poiché egli dà a tutti
la vita e il respiro e ogni cosa (cfr At 1,7,25-26), e come Salvatore
vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1 Tm 2,4). Infatti, quelli
che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma
che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si
sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta
attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza
eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari
alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione
e riconoscimento di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina,
di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di
buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come
una preparazione ad accogliere il Vangelo e come dato da colui che
illumina ogni uomo, affinché
abbia finalmente la vita. Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal
maligno, hanno errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la
verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto
che il Creatore (cfr. Rm 1,21 e 25), oppure, vivendo e morendo senza
Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale. Perciò
la Chiesa per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti costoro,
memore del comando del Signore che dice: “ Predicate il Vangelo
ad ogni creatura” (Mc 16,15), mette ogni cura nell'incoraggiare
e sostenere le missioni.] 'Lumen gentium', n. 16 [.
Cristo, l'uomo nuovo.In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato
trova vera luce il mistero dell'uomo.Adamo, infatti, il primo uomo,
era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore.Cristo,
che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre
e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta
la sua altissima vocazione.Nessuna meraviglia, quindi, che tutte
le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino
il loro vertice.] 'Gaudium et spes', n. 22'
11. Il 'cristocentrismo'
accetta che nelle religioni possa esserci la salvezza, ma
nega loro un'autonomia salvifica, a motivo dell'unicità
e dell'universalità della salvezza di Gesù Cristo. Questa
posizione
è senza dubbio la più comune tra i teologi cattolici,
pur essendoci differenze tra loro. Essa cerca di conciliare la volontà salvifica
universale di Dio con il fatto che ogni uomo si realizza come tale
all'interno di una tradizione culturale, che ha nella propria religione
la più alta espressione e l'ultimo fondamento.
12. Il 'teocentrismo' vuol essere un superamento
del cristocentrismo, un cambiamento di prospettiva, una rivoluzione
copernicana. Questa
posizione deriva, tra gli altri motivi, da una certa cattiva coscienza
dovuta all'unione dell'azione missionaria del passato con la politica
coloniale, talvolta anche dimenticando l'eroismo che accompagnò
l'azione evangelizzatrice. Esso vuole riconoscere
le ricchezze delle religioni e la testimonianza morale dei loro seguaci
e, in ultima istanza, intende facilitare l'unione di tutte le religioni
in vista di un'azione comune per la pace e la giustizia nel mondo.
Possiamo
distinguere
-
un teocentrismo nel quale Gesù Cristo, senza essere
costitutivo, è considerato normativo della salvezza
-
e un
altro nel quale non si riconosce a Gesù Cristo neppure questo
valore normativo.
Nel primo caso, senza negare che anche altri
possano mediare la salvezza, si riconosce in Gesù Cristo
il mediatore che meglio la esprime; l'amore di Dio si rivela più chiaramente
nella sua persona e nella sua opera, ed è così il
paradigma per gli altri mediatori. Tuttavia senza di lui non si
rimarrebbe senza salvezza, ma soltanto senza la sua manifestazione
più perfetta.
Nel secondo caso, Gesù
Cristo non è considerato né come costitutivo né come
normativo per la salvezza dell'uomo. Dio è trascendente
e incomprensibile, quindi non possiamo giudicare i suoi disegni
con le nostre categorie umane; come, del resto, non possiamo valutare
o mettere a confronto i diversi sistemi religiosi. Il 'soteriocentrismo'
radicalizza ancor più la posizione teocentrica, essendo
meno interessato alla questione su Gesù Cristo (ortodossia)
e più all'impegno
effettivo di ogni religione nei confronti dell'umanità che
soffre (ortoprassi). In tale prospettiva, il valore delle religioni
sta nel promuovere il Regno, la salvezza, il benessere dell'umanità:
questa posizione può così essere caratterizzata come
pragmatica e immanentistica.
I.3. LA QUESTIONE DELLA VERITÀ
13. Soggiacente
a tutta questa discussione è il
problema della verità delle religioni; ma oggi
si nota una tendenza a relegarlo in secondo piano, separandolo
dalla riflessione sul valore salvifico. La questione della verità comporta
seri problemi di ordine teorico e pratico, tanto che in passato
ebbe conseguenze negative nell'incontro tra le religioni. Di qui
la tendenza a sminuire o a relativizzare tale problema, affermando
che i criteri di verità valgono soltanto per la propria
religione.
Alcuni introducono una nozione più esistenziale
di verità, considerando soltanto la condotta morale corretta
della persona, senza dare importanza al fatto che le sue convinzioni
religiose possano essere condannate. Si crea così una certa
confusione tra "essere nella salvezza" ed "essere
nella verità": bisognerebbe piuttosto collocarsi nella
prospettiva cristiana della 'salvezza come verità' e dell'essere
nella 'verità come salvezza'.
Tralasciare il discorso sulla
verità conduce a mettere superficialmente sullo stesso piano
tutte le religioni, svuotandole in fondo del loro potenziale salvifico. Affermare
che tutte sono vere equivale a dichiarare che tutte sono false:
sacrificare la questione della verità è incompatibile
con la visione cristiana.
14. La concezione epistemologica soggiacente alla posizione pluralista
utilizza la distinzione di Kant tra 'noumeno' e 'fenomeno'. Dio,
o la Realtà ultima, trascendente e inaccessibile all'uomo,
potrà
essere sperimentato soltanto come fenomeno, espresso con immagini
e nozioni culturalmente condizionate; ne segue che rappresentazioni
diverse della stessa realtà non si escludono necessariamente
tra loro 'a priori'.
La questione della verità si relativizza
ancor più con l'introduzione del concetto di 'verità mitologica',
che non implica adeguamento a una verità, ma semplicemente
risveglia nel soggetto una disposizione adeguata all'enunciato. Tuttavia
bisogna osservare che espressioni così contrastanti del 'noumeno'
finiscono di fatto per dissolverlo, svuotando il senso della verità
mitologica. Soggiace pure una concezione che
separa radicalmente il Trascendente, il Mistero, l'Assoluto dalle
sue rappresentazioni: essendo tutte relative, poiché sono imperfette e inadeguate,
esse non possono rivendicare l'esclusività nella questione
della verità.
Nota del redattore
In alcuni testi di questo sito si afferma che le religioni sono tutte vere in
quanto si è adottato il criterio per il quale " religioni "
sono solo quelle che si fondano su una rivelazione , intesa come fatto storico di miracolo o prodigio insieme ed inscindibilmente con le parole di un intermediario che ne attesta l'autore ed il significato. In questo
senso esse sono
tutte vere : in quanto fondate su una rivelazione. Non sono tutte vere allo
stesso modo, sono vere e al contempo diverse perchè fondate su rivelazioni diverse che portano ad esiti diversi. La rivelazione cristiana poi afferma che solamente in Cristo e nel suo Spirito, Dio si è dato
completamente agli uomini; "
...in senso stretto, non si può parlare
di rivelazione di Dio, se non in quanto Dio dà se stesso: così Cristo è insieme
il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione " ('Dei Verbum', n. 2). 15. La ricerca di un criterio per stabilire la verità di una
religione, che per essere accettato dalle altre religioni deve situarsi
fuori di essa, è un compito serio per la riflessione teologica. Alcuni teologi evitano termini cristiani per
parlare di Dio ('Eternal
One, Ultimate Reality, Real') o per designare
il comportamento corretto ('Reality-centredness', non 'Self-centredness').
Si nota però che
tali espressioni o manifestano una dipendenza da una determinata
tradizione (cristiana) o diventano così astratte che non sono
più utili.
Il ricorso all''humanum' non convince, trattandosi
di un criterio meramente fenomenologico, che farebbe dipendere la
teologia delle religioni dall'antropologia dominante in un'epoca.
Si segnala pure che bisogna considerare come
la vera religione quella che riesce meglio sia a conciliare la limitatezza,
la provvisorietà
e la mutabilità della propria autocomprensione con l'infinito
a cui tende, sia a ridurre a unità (forza integrativa) la
pluralità
di esperienze della realtà e delle concezioni religiose.
I.4. LA QUESTIONE DI DIO
16. La posizione pluralista
vuole eliminare dal cristianesimo qualunque pretesa di esclusività o di superiorità rispetto
alle altre religioni.
Perciò deve affermare che la realtà ultima
delle diverse religioni è identica e, insieme, deve relativizzare
la concezione cristiana di Dio in quello che ha di dogmatico e di
vincolante. Così distingue Dio in se stesso, inaccessibile
all'uomo, e Dio manifestato nell'esperienza umana.
Le immagini di
Dio sono costituite dall'esperienza della trascendenza e dal rispettivo
contesto socioculturale: non sono Dio, però tendono correttamente
verso di lui; questo può dirsi anche delle rappresentazioni
non personali della divinità: di conseguenza nessuna di esse
può considerarsi esclusiva. Ne segue che tutte le religioni
sono relative, non in quanto tendono verso l'Assoluto, ma nelle loro
espressioni e nei loro silenzi.
Posto
che c'è un unico
Dio e uno stesso piano di salvezza per tutti gli uomini, le espressioni
religiose sono ordinate le une alle altre e sono complementari tra
loro. Poiché il Mistero è universalmente attivo e presente,
nessuna delle sue manifestazioni può pretendere di essere
l'ultima e la definitiva. In tal modo la questione di Dio si trova.
17. In rapporto con la stessa questione è il fenomeno della
preghiera, che si incontra nelle diverse religioni. In definitiva, è lo
stesso destinatario quello che è invocato nelle preghiere
dei fedeli sotto diversi nomi? Divinità e potenze religiose,
forze personificate della natura, della vita e della società,
proiezioni psichiche o mistiche rappresentano tutte la stessa realtà?
Non c'è qui un passaggio indebito da un atteggiamento soggettivo
a un giudizio oggettivo? Può esserci una preghiera politeista
rivolta al vero Dio, in quanto un atto salvifico si può avere
anche attraverso una mediazione erronea; ma questo non significa
il riconoscimento oggettivo di tale mediazione religiosa come mediazione
salvifica, benché questa preghiera autentica sia stata suscitata
dallo Spirito Santo
(Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso
e Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, 'Dialogo e annuncio',
n. 27).
I.5. IL DIBATTITO CRISTOLOGICO
1Tm 2,5-6: "Uno
solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli
uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto
per tutti".
CONCILIO VAT. II
Tutti i documenti affermano:
«...Cristo, eterno ed unico mediatore...»18. Dietro alla
problematica teo-logica, che abbiamo ora visto, è stata sempre
presente la questione cristo-logica, che adesso affrontiamo. Le due
questioni sono intimamente collegate, ma le trattiamo separatamente
a causa della complessità del problema.
La maggiore difficoltà del
cristianesimo si è sempre focalizzata nell'"incarnazione
di Dio", che conferisce alla persona e all'azione di Gesù Cristo
le caratteristiche di unicità e di universalità
in ordine alla salvezza dell'umanità. Ma come può un
avvenimento particolare e storico avere una pretesa universale?
Come
si può
avviare un dialogo interreligioso, rispettando tutte le religioni
e senza considerarle in partenza come imperfette e inferiori, se
riconosciamo in Gesù Cristo, e soltanto in lui, il Salvatore
unico e universale dell'umanità? Non si potrebbe concepire
la persona e l'azione salvifica di Dio a partire da altri mediatori
oltre a Gesù Cristo?
19. Il problema cristologico è legato essenzialmente a quello del valore
salvifico delle religioni, a cui abbiamo già accennato. Ora ci soffermiamo
un po' di più sullo studio delle conseguenze cristologiche delle posizioni
teocentriche.
Una conseguenza è il cosiddetto "teocentrismo salvifico",
che accetta un pluralismo di mediazioni salvifiche legittime e vere. All'interno
di questa posizione, come già osservammo, un gruppo di teologi attribuisce
a Gesù Cristo un valore normativo, in quanto la sua persona e la sua vita
rivelano, nel modo più chiaro e decisivo, l'amore di Dio per gli uomini.
La maggiore difficoltà
di tale concezione è che non offre, né all'interno
né all'esterno del cristianesimo, un fondamento di tale normatività che
si attribuisce a Gesù.
20. Un altro gruppo di teologi sostiene un teocentrismo
salvifico con una cristologia non normativa. Svincolare Cristo da Dio priva il cristianesimo di qualsiasi pretesa
universalistica della salvezza (e così diventerebbe possibile il dialogo
autentico con le religioni), ma implica la necessità di confrontarsi con
la fede della chiesa e in concreto con il dogma di Calcedonia. Questi teologi
considerano tale dogma come un'espressione storicamente condizionata dalla filosofia
greca, che dev'essere attualizzata perché impedisce il dialogo interreligioso.
L'incarnazione sarebbe un'espressione non oggettiva, ma metaforica, poetica,
mitologica: essa vuole soltanto significare l'amore di Dio che si incarna in
uomini e donne la cui vita riflette l'azione di Dio. Le affermazioni dell'esclusività salvifica
di Gesù Cristo possono essere spiegate con il contesto storico-culturale:
cultura classica (una sola verità certa e immutabile), mentalità escatologico-apocalittica
(profeta finale, rivelazione definitiva) e atteggiamento di una minoranza (linguaggio
di sopravvivenza, un unico salvatore).
21. La conseguenza più importante di tale concezione è che Gesù
Cristo non può essere considerato l'unico ed esclusivo mediatore. Soltanto per i cristiani egli è la forma umana di Dio, che
adeguatamente rende possibile l'incontro dell'uomo con Dio, benché non
in modo esclusivo. È 'totus Deus', poiché è l'amore
attivo di Dio su questa terra, ma non è 'totum Dei', poiché non
esaurisce in sé l'amore di Dio. Potremmo anche dire: 'totum
Verbum, sed non totum Verbi'. Il 'Logos', che è più grande
di Gesù, può incarnarsi anche nei fondatori di altre
religioni.
22. Questa stessa problematica ritorna quando si afferma che Gesù
è il Cristo, ma il Cristo è più che Gesù.
Questo facilita molto l'universalizzazione dell'azione del 'Logos'
nelle religioni; ma i testi neotestamentari non concepiscono il 'Logos'
di Dio prescindendo da Gesù. Un altro modo di argomentare
in questa stessa linea consiste nell'attribuire allo Spirito Santo
l'azione salvifica universale di Dio, che non condurrebbe necessariamente
alla fede in Gesù Cristo.
I.6. MISSIONE E DIALOGO INTERRELIGIOSO
La presenza
dello Spinto Santo non si dà allo stesso modo nella tradizione
biblica e nelle altre religioni, poiché Gesù Cristo è la
pienezza della rivelazione.
Tuttavia esperienze e intuizioni,
espressioni e comprensioni diverse, provenienti a volte dallo stesso "avvenimento
trascendentale", danno grande valore al dialogo interreligioso.
Proprio
attraverso questo si può svolgere il processo personale di
interpretazione e di comprensione dell'azione salvifica di Dio. 23. Le
diverse posizioni di fronte alle religioni determinano comprensioni
differenziate riguardo all''attività
missionaria' della chiesa e al 'dialogo interreligioso'.
Se
le religioni sono anch'esse vie alla salvezza (posizione pluralista),
allora la conversione non è più l'obiettivo primario
della missione,
in quanto ciò che importa è che ciascuno, animato
dalla testimonianza degli altri, viva profondamente la propria
fede.
24. La posizione inclusivista da parte sua
non considera più la
missione come un impegno per impedire la dannazione dei non evangelizzati
(posizione esclusivista).
Riconoscendo anche l'azione universale
dello Spirito Santo, osserva che essa, nell'economia salvifica
voluta da Dio, possiede una dinamica di incarnazione che la porta
a esprimersi e ad oggettivarsi: in tal modo la proclamazione della
parola conduce a pienezza questa stessa dinamica.
Non significa
soltanto una tematizzazione della trascendenza, ma la sua maggiore
realizzazione, ponendo l'uomo di fronte a una decisione radicale:
l'annuncio e l'accettazione esplicita della fede fa aumentare le
possibilità di salvezza e anche
la responsabilità personale. Inoltre la missione si considera
oggi come rivolta non soltanto agli individui, ma soprattutto ai
popoli e alle culture.
25. Il dialogo interreligioso si fonda teologicamente
sia sulla comune origine di tutti gli esseri umani creati a immagine
di Dio, sia sul comune destino che è la pienezza di vita in Dio, sia sull'unico
piano divino di salvezza mediante Gesù Cristo, sia sulla
presenza attiva dello Spirito divino tra i seguaci di altre tradizioni
religiose ('Dialogo e annuncio', n. 28).
La presenza dello Spinto Santo non
si dà allo stesso modo nella tradizione biblica e nelle altre
religioni, poiché Gesù Cristo è la pienezza
della rivelazione. Tuttavia esperienze e intuizioni, espressioni
e comprensioni diverse, provenienti a volte dallo stesso "avvenimento
trascendentale", danno grande valore al dialogo interreligioso.
Proprio attraverso questo si può svolgere il processo personale
di interpretazione e di comprensione dell'azione salvifica di Dio.
26. "Una fede che non si è fatta cultura è una
fede che non
è stata pienamente recepita, non è stata interamente
pensata, non
è stata fedelmente vissuta". Queste parole di Giovanni
Paolo II in una lettera al cardinale segretario di stato (20 maggio
1982; 'Regno-doc'. 13,1986,386s) precisano l'importanza dell'inculturazione
della fede. Si costata che la religione è il cuore di ogni
cultura, come istanza di senso ultimo e forza strutturante fondamentale.
In tal modo l'inculturazione della fede non può prescindere
dall'incontro con le religioni, che dovrebbe realizzarsi soprattutto
attraverso il dialogo interreligioso.
(1) Cf. COMMISSIO THEOLOGICA INTERNATIONALIS, 'Fides et
inculturatio', c. III, 10; cf. 'Gregorianum' 70 (1989), 640.
II- LA RIVELAZIONE CRISTIANA
II.1. L'INIZIATIVA
DEL PADRE NELLA SALVEZZA
28. Soltanto
alla luce del piano divino di salvezza degli uomini, che non
conosce frontiere di popoli né di razze,
ha un senso affrontare il problema della teologia delle religioni.
Il Dio che vuole salvare tutti è il Padre del nostro Signore
Gesù
Cristo.
Il piano di salvezza
in Cristo precede la creazione del mondo (cf. Ef 1,3-10) e si realizza
con l'invio di Gesù al mondo,
prova dell'amore infinito e della tenerezza che il Padre ha per l'umanità (cf.
Gv 3,16-17; 1Gv 4,9-10, ecc.). Questo amore di Dio arriva fino alla "consegna" di
Cristo alla morte per la salvezza degli uomini e per la riconciliazione
del mondo (cf. Rm 5,8-11; 8,3.32; 2Cor 5,18-19, ecc.). La paternità di
Dio, che generalmente nel Nuovo Testamento è messa in relazione
con la fede in Gesù, si apre a prospettive più ampie
in alcuni passi (cf. Ef 3,14-15; 4,6). Dio è il Dio degli
ebrei e dei gentili (cf. Rm 3,29); la salvezza di Dio, che è in
Gesù, viene rivolta a tutte le nazioni (cf. Lc 2,30; 3,6;
At 28,28).
29. L'iniziativa del Padre nella salvezza è affermata in 1Gv
4,14:
"Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo".
Dio, "il Padre dal quale tutto proviene" (1Cor 8,6), è
l'origine dell'opera di salvezza realizzata da Cristo. Il titolo
di "salvatore", con cui Cristo è spesso indicato
(cf. Lc 2,11; Gv 4,42; At 5,31, ecc.), è dato innanzitutto
a Dio in alcuni passi del Nuovo Testamento (cf. 1Tm 1,1; 2,3; 4,10;
Tt 1,3; 2,10; 3,4; Gd 25), senza per questo toglierlo a Cristo (cf.
Tt 1,4; 2,13; 3,6).
Secondo 1Tm 2,3-4: "Dio, nostro salvatore,
(...) vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza
della verità". La volontà salvifica non conosce
restrizioni, ma è
unita al desiderio che gli uomini conoscano la verità, cioè aderiscano
alla fede (cf. 1Tm 4,10: Dio "è il salvatore di tutti
gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono"). Questa volontà di
salvezza ha pertanto come conseguenza la necessità dell'annuncio.
D'altra parte è legata all'unica mediazione di Cristo (cf.
1Tm 2,5-6), di cui ci occuperemo più avanti.
30. Dio Padre è anche il termine verso il quale
tutto si muove. Il fine ultimo dell'azione di creazione e di salvezza si realizzerà
quando ogni cosa sarà sottomessa al Figlio: allora "anche
(...) il Figlio sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso
ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti" (1Cor 15,28).
31. L'Antico Testamento conosce già alcune prefigurazioni
di questa universalità che soltanto in Cristo si rivelerà pienamente.
Tutti gli uomini, senza eccezione, sono stati creati a immagine e
somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26s; 9,6); poiché nel Nuovo
Testamento l'immagine di Dio è Cristo (2Cor 4,4; Col 1,15),
si può pensare a un "ordinamento"
di tutti gli uomini verso Cristo.
L'alleanza di Dio con Noè abbraccia
tutti gli esseri viventi della terra (cf. Gen 9,9.12.17-18). In Abramo "si
diranno benedette tutte le famiglie della terra"
(Gen 12,3; cf. 28,18); questa benedizione per tutti viene anche attraverso
i discendenti di Abramo grazie alla sua obbedienza (cf. Gen 22,17-18;
26,4-5; 28,14).
Il Dio di Israele è stato riconosciuto come
tale da alcuni stranieri (cf. Gs 2; 1Re 10,1-13; 17,17-24; 2Re 5,1-27).
Nel secondo e nel terzo Isaia si trovano anche testi che si riferiscono
alla salvezza dei popoli nel contesto della salvezza del popolo di
Israele (cf. Is 42,1-4; 49,6-8; 66,18-21, ecc.: le offerte dei popoli
saranno accettate da Dio come quelle degli israeliti; anche Sal 86;
47,10: "I capi dei popoli si sono raccolti con il popolo del
Dio di Abramo"). Si tratta di un'universalità
che ha Israele come centro. Anche la Sapienza si rivolge a tutti
senza distinzione di popoli o di razze (cf. Pr 1,20-23; 8,2-11;
Sap 6,1-10.21, ecc.).
II.2. L'UNICA MEDIAZIONE DI GESÙ
...la volontà salvifica di Dio Padre è unita alla fede in Gesù. Egli è l'unico nel quale si realizza il piano di salvezza: "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12).
La salvezza è legata pertanto all'apparizione di Gesù, anche se questa era stata già annunciata e i suoi effetti in qualche modo erano stati anticipati. Anche se le interpretazioni patristiche dell'immagine sono molto varie, non si può trascurare questa corrente che vede nel Figlio che deve incarnarsi (e morire, e risuscitare) il modello secondo il quale Dio ha fatto il primo uomo.
Se il destino dell'uomo è di portare "l'immagine dell'uomo celeste" (1Cor 15,49), non sembra errato pensare che in ogni uomo ci dev'essere una certa disposizione interiore a questo fine.
A) Alcuni temi neotestamentari
32. Abbiamo già notato che la volontà salvifica di
Dio Padre è unita alla fede in Gesù. Egli è l'unico
nel quale si realizza il piano di salvezza: "Non vi è infatti
altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito
che possiamo essere salvati"
(At 4,12). Che la salvezza si acquista soltanto con la fede in Gesù
è un'affermazione costante nel Nuovo Testamento. Proprio quelli
che credono in Cristo sono la vera discendenza di Abramo (cf. Rm
9,6-7; Gal 3,29; Gv 8,31-58; Lc 1,55). La benedizione di tutti in
Abramo trova il suo significato nella benedizione di tutti in Cristo.
33. Secondo il Vangelo di Matteo, Gesù si è sentito
specialmente inviato al popolo di Israele (Mt 15,24; cf. Mt 10,5-6).
Queste affermazioni corrispondono alla presentazione propria di Matteo
della storia della salvezza: la storia di Israele è orientata
al suo compimento in Cristo (cf. Mt 1,22-23; 2,5-6.15.17-18.23) e
la perfezione delle promesse divine si realizzerà quando saranno
passati il cielo e la terra e tutto sarà compiuto (cf. Mt
5,18).
Tale compimento è
già iniziato con gli eventi escatologici della morte (cf.
Mt 27,51-53) e della risurrezione (cf. Mt 28,2-4) di Cristo. Gesù però non
esclude i gentili dalla salvezza: loda la fede di alcuni di loro,
che non si trova in Israele (cf. Mt 8,10; Lc 7,9: il centurione;
Mt 15,21-28; Mc 7,24-30: la sirofenicia); verranno da oriente e da
occidente a sedersi a mensa nel Regno, mentre i figli del Regno saranno
cacciati fuori (Mt 8,11-12; Lc 13,18-29 cf. 11,20-24). Gesù risorto
dà agli undici discepoli una missione universale (cf. Mt 28,16-20;
Mc 16,15-18; At 1,8). La chiesa primitiva dà inizio subito
alla missione presso i gentili, per ispirazione divina (At 10,34).
In Cristo non c'è
differenza tra ebrei e gentili (Gal 4,24; Col 3,11).
34. In un primo senso, l'universalità dell'opera salvifica
di Gesù
si fonda sul fatto che il suo messaggio e la sua salvezza sono rivolti
a tutti gli uomini e tutti possono accoglierla e riceverla nella
fede. Nel Nuovo Testamento però troviamo altri testi che sembrano
indicare che il significato di Gesù va oltre e precede in
qualche modo l'accoglienza del suo messaggio da parte dei fedeli.
35. Dobbiamo notare anzitutto che ciò che esiste è stato
fatto per mezzo di Cristo (cf. 1Cor 8,6; 1,3-10; Eb 1,2). Secondo
Col 1,15-20 tutto è stato creato in lui, per mezzo di lui,
e tutto si muove verso di lui. Lo stesso testo dimostra che questa
causalità di Cristo nella creazione è in relazione
con la mediazione salvifica, verso la quale è diretta. Gesù è il
primogenito della creazione e il primogenito di coloro che risuscitano
dai morti: sembra che nella seconda primogenitura la prima raggiunga
il suo pieno significato. La ricapitolazione di tutto in Cristo è l'ultimo
disegno di Dio Padre (cf. Ef 1,10).
In tale universalità si
distingue il ruolo speciale di Cristo nella chiesa: "Tutto infatti
ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a
capo della chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di
colui che si realizza interamente in tutte le cose" (Ef 1,22-23;
cf. Col 1,17). Il parallelismo paolino tra Adamo e Cristo (cf. 1Cor
15,20-22.44-49; Rm 5,12-21) sembra rivolto nella stessa direzione.
Se esiste una rilevanza universale del primo Adamo, in quanto primo
uomo e primo peccatore, pure Cristo deve avere un significato per
tutti, anche se non ne sono chiaramente esplicitati i termini. La
vocazione di ogni uomo, che ora porta l'immagine dell'Adamo terrestre, è di
diventare immagine dell'Adamo celeste.
36. "(La Parola) era la luce vera, quella che illumina ogni
uomo venendo in questo mondo" (Gv 1,9) (2).
È Gesù in quanto 'Logos' incarnato colui che illumina
tutti gli uomini. Il 'Logos' ha già esercitato la mediazione
creatrice, non senza riferimento all'incarnazione e alla salvezza
future, e per questo Gesù viene tra i suoi, che non lo accolgono
(cf. Gv 1,3-4.10-11). Gesù annuncia un culto a Dio in spirito
e verità, che va oltre Gerusalemme e il monte Garizim (cf.
Gv 4,21-24), riconosciuto dai samaritani che dichiarano: "Questi è veramente
il salvatore del mondo"
(Gv 4,42).
37. La mediazione unica di Gesù Cristo è messa in relazione
con la volontà salvifica universale di Dio in 1Tm 2,5-6: "Uno
solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli
uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto
per tutti". L'unicità del mediatore (cf. anche Eb 8,6;
9,15; 12,24) corrisponde all'unicità del Dio che vuole salvare
tutti. Il mediatore unico
è 'l'uomo' Cristo Gesù; anche qui si tratta del significato
universale di Gesù in quanto è il Figlio di Dio incarnato: è il
mediatore tra Dio e gli uomini perché è il Figlio fatto
uomo che si è consegnato alla morte in riscatto per tutti.
38. Nel discorso di Paolo all'Areopago (At 17,22-31) appare
chiaramente che la conversione a Cristo implica una rottura
con il passato. Le religioni hanno condotto di fatto gli
uomini all'idolatria. Ma insieme sembra che si riconosca
l'autenticità di una ricerca filosofica
che, se non è giunta alla conoscenza del vero Dio, non era
però
su una via completamente sbagliata. La ricerca a tentoni di Dio risponde
ai disegni della Provvidenza: sembra avere anche aspetti positivi.
C'è una relazione con il Dio di Gesù Cristo anche prima
della conversione (cf. At 10,34)? Non c'è un atteggiamento
di chiusura del Nuovo Testamento verso tutto quello che non proviene
da Gesù
Cristo; l'apertura si può manifestare anche ai valori religiosi
(cf. Fil 4,8).
39. Il Nuovo Testamento ci mostra insieme l'universalità della
volontà
salvifica di Dio e il vincolo della salvezza con l'opera redentrice
di Gesù Cristo, unico mediatore. Gli uomini raggiungono la
salvezza in quanto riconoscono e accettano nella fede Gesù il
Figlio di Dio. Questo messaggio è diretto a tutti senza eccezione.
Alcuni testi però sembrano insinuare che esiste un significato
salvifico di Gesù
per ogni uomo, che può arrivare anche a quelli che non lo
conoscono. Né una limitazione della volontà salvifica
di Dio, né l'ammissione di mediazioni parallele a quella di
Gesù, né un'attribuzione di questa mediazione universale
al 'Logos' eterno non identificato con Gesù risultano compatibili
con il messaggio neotestamentario.
B) Motivi della tradizione raccolti
nel recente magistero della chiesa
40. Il significato universale di Cristo è stato espresso in
modi diversi nella tradizione della chiesa fin dai tempi più antichi.
Scegliamo alcuni temi che hanno trovato eco nei recenti documenti
magisteriali, soprattutto nel concilio Vaticano II.
41. I 'semina Verbi'. Fuori dei confini della chiesa visibile,
e in concreto nelle diverse religioni, si possono trovare "semi
del Verbo"; il motivo si combina spesso con quello della luce
che illumina ogni uomo e con quello della preparazione evangelica
('Ad gentes', nn. 11 e 15; 'Lumen gentium', nn. 16-17; 'Nostra aetate',
n. 2; Giovanni Paolo II, lett. enc. 'Redemptoris missio', n. 56).
42. La teologia dei semi del Verbo inizia con san Giustino.
Di fronte al politeismo del mondo greco, Giustino vede nella
filosofia un'alleata del cristianesimo, perché ha seguito la ragione; ma ora questa
ragione si trova nella sua totalità soltanto in Gesù Cristo,
il 'Logos' in persona. Solamente i cristiani lo conoscono nella sua
integrità
(3). Di questo 'Logos' però è partecipe
tutto il genere umano; perciò da sempre c'è stato chi è vissuto
in conformità con il 'Logos', e in questo senso ci sono stati "cristiani",
pur avendo essi avuto soltanto una conoscenza parziale del 'Logos'
seminale (4). C'è molta differenza
tra il seme di una cosa e la cosa stessa; ma in ogni modo la presenza
parziale e seminale del 'Logos' è dono e grazia di Dio. Il
'Logos'
è il seminatore di questi "semi di verità" (5).
43. Per Clemente Alessandrino l'uomo è razionale in quanto
partecipa della vera ragione che governa l'universo, il 'Logos',
e ha pieno accesso a questa ragione se si converte e segue Gesù,
il 'Logos' incarnato (6). Con l'incarnazione
il mondo si è riempito dei semi di salvezza (7).
Esiste però anche una semina divina dall'inizio dei tempi,
che ha fatto sì che varie parti della verità si trovino
tra i greci e tra i barbari, specialmente nella filosofia considerata
nel suo insieme (8), anche se insieme alla
verità non
è mancata la zizzania (9).
La filosofia ha avuto per i greci una funzione simile a quella della
legge per gli ebrei: è stata una preparazione per la pienezza
di Cristo (10). C'è però una
chiara differenza tra l'azione di Dio in questi filosofi e nell'Antico
Testamento. D'altra parte, soltanto in Gesù, luce che illumina
ogni uomo, si può contemplare il 'Logos' perfetto, la verità intera:
i frammenti di verità appartengono al tutto (11).
44. Giustino e Clemente coincidono nel segnalare che questi
frammenti della verità totale conosciuti dai greci provengono, almeno
in parte, da Mosè e dai profeti, i quali sono più antichi
dei filosofi (12). Da loro, secondo i piani
della Provvidenza, hanno "rubato"
i greci, che non hanno saputo essere riconoscenti per quello che
hanno ricevuto (13). Questa conoscenza
della verità non è pertanto senza relazione con la
rivelazione storica, che troverà la sua pienezza nell'incarnazione
di Gesù.
45. Ireneo non usa direttamente l'idea dei semi del Verbo;
però
sottolinea fortemente che in tutti i momenti della storia il 'Logos'
è stato unito agli uomini e li ha accompagnati, in previsione
dell'incarnazione (14): con questa, portando
se stesso nel mondo, Gesù vi ha portato tutta la novità.
La salvezza è legata pertanto all'apparizione di Gesù,
anche se questa era stata già
annunciata e i suoi effetti in qualche modo erano stati anticipati
(15).
46. Il Figlio di Dio si è unito a ogni uomo (cf. 'Gaudium
et spes', n. 22; 'Redemptoris missio', n. 6, tra molti altri testi).
L'idea si ripete spesso nei padri, che si ispirano ad alcuni testi
del Nuovo Testamento. Uno di quelli che hanno dato luogo a tale interpretazione
è la parabola della pecora smarrita (cf. Mt 18,12-24; Lc 15,1-7):
questa è identificata con il genere umano sviato, che Gesù è venuto
a cercare. Assumendo la natura umana, il Figlio ha messo sulle sue
spalle l'intera umanità per presentarla al Padre. Così si
esprime Gregorio di Nissa: "Questa pecora siamo noi, gli uomini
(...), il Salvatore prende sulle spalle la pecora intera, quindi
(...), poiché si era perduta tutta intera, tutta intera viene
ricondotta. Il pastore la prende sulle sue spalle, cioè nella
sua divinità (...).
Avendola presa su di sé, ne fa
una cosa sola con sé" (16).
Anche Gv 1,14, "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in
mezzo a noi", è stato interpretato in diverse occasioni
nel senso di abitare "dentro di noi", cioè nell'intimo
di ogni uomo; dallo stare lui in noi si passa facilmente al nostro
stare in lui (17). Contenendoci tutti in
sé, può riconciliarci tutti con Dio Padre (18).
Nella sua umanità glorificata tutti possiamo trovare la risurrezione
e il riposo (19).
47. I padri non dimenticano che tale unione degli uomini
con il corpo di Cristo si produce soprattutto nel battesimo
e nell'eucaristia. L'unione di tutti in Cristo però, grazie alla sua assunzione
della nostra natura, costituisce un presupposto oggettivo a partire
dal quale il credente cresce nell'unione personale con Gesù.
Il significato universale di Cristo si mostra anche per i primi cristiani
nel fatto che libera l'uomo dai principi di questo mondo che lo tengono
prigioniero come singolo e come popolo (20).
48. 'La dimensione cristologica dell'immagine'. Secondo il
concilio Vaticano II, Gesù è l'"uomo perfetto", seguendo
il quale l'uomo si fa più uomo ('Gaudium et spes', n. 41;
cf. 'ivi', nn. 22; 38; 45). Indica pure che soltanto 'in mysterio
Verbi incarnati mysterium hominis vere clarescit' ('Gaudium et spes',
n. 22; 'EV' 1/1385).
Tra gli altri fondamenti di tale affermazione
si segnala un testo di Tertulliano, secondo il quale plasmando Adamo
con il fango della terra Dio pensava già a Cristo che doveva
incarnarsi (21). Già Ireneo aveva
segnalato che il Verbo, artefice di tutto, aveva prefigurato in Adamo
la futura economia dell'umanità di cui egli stesso si sarebbe
rivestito (22). Anche se le interpretazioni
patristiche dell'immagine sono molto varie, non si può trascurare
questa corrente che vede nel Figlio che deve incarnarsi (e morire,
e risuscitare) il modello secondo il quale Dio ha fatto il primo
uomo. Se il destino dell'uomo è di portare "l'immagine
dell'uomo celeste" (1Cor 15,49), non sembra errato pensare che
in ogni uomo ci dev'essere una certa disposizione interiore a questo
fine.
NOTE
2Sembra che si debba preferire
questa lettura a quella della Volgata: 'omnen hominem venientem in
mundum'. La Neovolgata traduce: 'veniens in mundum'.
3Cf. GIUSTINO, 'Apol'.
I 5,4; II 6, 7; 7,2-3 (BAC 116; 186s; 268; 269).
4Cf. ID., 'Apol'. I 46,
2-4; II 7, 1-3 (BAC 232s; 269).
5Cf. ID., 'Apol'. I 44,
10; II 10, 2; 13, 2-6 (BAC 230; 272; 276s).
6Cf. CLEMENTE ALESSANDRINO,
'Protr'. I 6, 4; X 98, 4 ('SCh' 2 bis, 60; 166); ID., 'Ped'.
I 96, 1 ('SCh' 70, 280).
7Cf. ID., 'Protr'. X 110,
1-3 ('SCh' 2 bis, 178).
8Cf. ID., 'Strom'. I 37,
1-7 ('SCh' 30, 73-74).
9Cf. ID., 'Strom'. VI
67, 2 ('GCS' 15, 465).
10Cf. ID., 'Strom'. I
28, 1-3; 32, 4 ('SCh' 30, 65; 69); VI 153-154 (GCS 15, 510
s).
11ID., 'Strom'. I 56-57
('SCh' 30, 89-92).
12GIUSTINO, 'Apol'. I
44, 8-9; 59-60 (BAC 116, 230; 247-249).
13CLEMENTE ALESSANDRINO,
'Protr'. VI 70 ('SCh' 2 bis, 135); ID., 'Strom'. I 59-60;
87, 2 ('SCh' 30,93s; 113); II 1, 1 ('SCh' 38, 32s).
14Cf. IRENEO DI LIONE,
'Adv Haer'. III 16, 6; 18, 1 ('SCh' 211, 312; 342); VI 6,
7; 20,4; 28, 2 ('SCh' 100, 454; 634s; 758); V 16, 1 ('SCh'
153, 214); ID., 'Demons'. 12 ('SCh' 406, 100).
15Cf. ID., 'Adv. Haer'.
IV 34, 1 ('SCh' 100, 846s).
16GREGORIO DI NISSA, 'Contra
Apol'. XVI ('PG' 45, 1.153). Cf. anche IRENEO DI LIONE, 'Adv.
Haer'. III 19, 3 ('SCh' 211, 380); V 12, 3 ('SCh' 153, 150);
ID., 'Demons'. 33 ('SCh' 406, 130); ILARIO DI POITIERS, 'In
Mt'. 18, 6 ('SCh' 258, 80s).
17Cf. ILARIO DI POITIERS,
'Trin'. II 24-25 ('CCL' 62, 605); ATANASIO, 'Contra Ar'.
III 25.3.34 ('PG' 26, 376; 393-397); CIRILLO DI ALESSANDRIA,
'In Joh'. I 9; V 2 ('PG' 73, 161; 753). Si potrebbe introdurre
qui anche l'idea dello "scambio"; cf. IRENEO DI
LIONE, 'Adv. Haer'. V prol. ('SCh' 153, 14), ecc.
18CIRILLO DI ALESSANDRIA,
'In Joh'. I 9 ('PG' 73, 164).
19Cf. ILARIO DI POITIERS,
'Tr. Ps'. 13, 14; 14, 5.17; 51, 3 ('CSEL' 22, 81; 87s; 96;
98).
20Cf. ORIGENE, 'In Luc.
hom'. 35 ('GCS' Orig. W. 9, 200s); ID., 'De Princ'. VI 11-12
(Orig. W. 5,339s); AGOSTINO, 'De Civ. Dei' V 13.19 ('CCL'
47, 146-148; 154-156).
21TERTULLIANO, 'De carnis
res'. ('De res. mort'.) 6 ('CCL' 2, 928; citato in 'Gaudium
et spes', n. 22, nota 20): "Quodcumque enim limus exprimebatur,
Christus cogitabatur, homo futurus"; e subito dopo si
aggiunge: "Id utique quod finxit, ad imaginem Dei fecit
illum, scilicet Christi (...). Ita limus ille, iam tunc imaginem
induens Christi futuri in carne, non tantum Dei opus erat,
sed et pignus". Lo stesso in ID., 'Adv. Prax'. XII 4
('CCL' 2, 1.173).
22IRENEO DI LIONE, 'Adv.
Haer'. III 22, 3 ('SCh' 211, 438).
C) Conclusioni
49. a) Gli uomini possono salvarsi soltanto in Gesù,
e perciò il cristianesimo ha una chiara pretesa di
universalità.
Il messaggio cristiano è pertanto
diretto a tutti gli uomini e a tutti dev'essere annunciato.
b) Alcuni testi del Nuovo Testamento e della tradizione più antica
lasciano intravedere un significato universale di Cristo che
non si riduce a quello che abbiamo appena ricordato.
Con la sua
venuta nel mondo Gesù illumina ogni uomo, egli è l'ultimo
e definitivo Adamo al quale tutti sono chiamati a conformarsi,
ecc. La presenza universale di Gesù appare in forma più elaborata
nell'antica dottrina del 'Logos spermatikos'. Ma anche qui si
distingue chiaramente tra la piena apparizione del 'Logos' in
Gesù e la presenza dei suoi semi in quelli che non lo
conoscono. Questa presenza, pur essendo reale, non
esclude l'errore né la contraddizione
23-Oltre ai testi già citati,
cf. AGOSTINO, 'Ep'. 137, 12 ('PL' 33, 520s); ID., 'Retr'. I 13,
3 ('PL' 32, 603).. A partire dalla venuta di Gesù nel
mondo, e soprattutto a partire dalla sua morte e risurrezione,
si comprende il senso ultimo della vicinanza del Verbo a tutti
gli uomini. Gesù porta a compimento la storia intera (cf.
'Gaudium et spes', nn. 10 e 45).
c) Se la salvezza è legata all'apparizione storica
di Gesù, per nessuno può essere indifferente l'adesione
personale a lui nella fede. Soltanto nella chiesa, che è in
continuità storica con Gesù, si può vivere
pienamente il suo mistero. Di qui la necessità
ineludibile dell'annuncio di Cristo da parte della chiesa.
d) Altre possibilità di "mediazione" salvifica
non possono mai considerarsi separate dall'uomo Gesù,
l'unico mediatore.
Sarà più difficile determinare
come entrano in relazione con Gesù
gli uomini che non lo conoscono e le religioni; ma bisogna ricordare
le vie misteriose dello Spirito, che dà a tutti la possibilità
di essere associati al mistero pasquale ('Gaudium et spes',
n. 22), e la cui opera non può non riferirsi a Cristo
('Redemptoris missio', n. 29). Nel contesto dell'azione universale
dello Spirito di Cristo si deve porre la questione del valore
salvifico delle religioni in quanto tali.
e) Essendo
Gesù l'unico mediatore, che
porta a compimento il disegno salvifico dell'unico Dio Padre,
la salvezza è unica
ed è la stessa per tutti gli uomini: la piena conformazione
a Gesù e la comunione con lui nella partecipazione alla
sua filiazione divina. Perciò
si deve escludere l'esistenza di economie diverse per quelli
che credono in Gesù e per quelli che non credono in lui. Non
ci possono essere vie per andare a Dio che non confluiscano nell'unica
via che è Cristo (cf. Gv 14,6).
II.3. L'UNIVERSALITÀ DELLO SPIRITO
SANTO
50. L'universalità dell'azione salvifica di Cristo non si può comprendere senza l'azione universale dello Spirito Santo.
Il dono dello Spirito è il dono di Gesù risorto e salito al cielo alla destra del Padre (At 2,32; cf. Gv 14,15.26; 15,26; 16,7; 20,22)
56. La chiesa è il luogo privilegiato dell'azione dello Spirito. ... È nota l'espressione di Ireneo: "Dov'è lo Spirito del Signore, lì c'è la chiesa; e dov'è la chiesa, c'è lo Spirito del Signore e ogni grazia" .
61. L'ambito privilegiato dell'azione dello Spirito è la chiesa, corpo di Cristo; ma tutti i popoli sono chiamati, in vari modi, all'unità del popolo di Dio che lo Spirito promuove ...lo Spirito è dono di Gesù e conduce a lui, anche se la via concreta per la quale conduce gli uomini è nota soltanto a Dio.
Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale, e alla quale in vario modo appartengono e sono ordinati ... tutti gli uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza" .
50. L'universalità dell'azione salvifica di
Cristo non si può comprendere senza l'azione universale dello
Spirito Santo. Un primo elemento di tale universalità dell'opera
dello Spirito si incontra già nella creazione. L'Antico Testamento
ci mostra lo Spirito di Dio sopra le acque (Gen 1,2); e il libro
della Sapienza (1,7) segnala che "lo Spirito del Signore riempie
l'universo e, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce".
51. Se questo si può dire di tutto l'universo, vale specialmente
per l'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, secondo Gen 1,26-27.
Dio crea l'uomo per essere presente in lui, per avere in lui la sua
dimora; guardare qualcuno con benevolenza, essere unito a lui, vuol
dire essere suo amico.
Così si può parlare di amicizia
originale ('amicitia originalis') dell'uomo con Dio e di Dio con
l'uomo (conc. Trid., sess. VI, cap. 7- Denz.-Schönm. 1528- )
come frutto dell'azione dello Spirito. La vita in generale e quella
dell'uomo in particolare è messa in relazione più o
meno esplicita con lo Spirito di Dio in vari passi dell'Antico Testamento
(cf. Sal 104,29-30; Gb 34,14-15; Qo 12,7).
Giovanni Paolo II mette
in relazione con la comunicazione dello Spirito la creazione dell'uomo
a immagine di Dio e nell'amicizia divina (cf. Giovanni Paolo II,
lett. enc. 'Dominum et vivificantem', nn. 12 e 34).
52. La tragedia del peccato consiste nel fatto che, invece
della vicinanza tra Dio e l'uomo, viene la distanza. Lo spirito
delle tenebre ha presentato Dio come nemico dell'uomo, come
minaccia (cf. Gen 3,4-5; 'Dominum et vivificantem', n. 38).
Ma Dio si è avvicinato
all'uomo mediante le diverse alleanze di cui ci parla l'Antico Testamento.
L'immagine e la somiglianza significano fin dall'inizio capacità
di relazione personale con Dio e, quindi, capacità di alleanza.
Così Dio si è avvicinato gradualmente agli uomini,
mediante le diverse alleanze, con Noè (cf. Gen 7,1ss), con
Abramo e con Mosè, dei quali Dio si è fatto amico (Gc
2,23; Es 33,11).
53. Nella nuova alleanza Dio si è avvicinato così tanto
all'uomo che ha inviato il suo Figlio nel mondo, incarnato per opera
dello Spirito Santo nel seno della vergine Maria. La nuova alleanza,
diversamente dalla precedente, non è della lettera ma dello
Spirito (2Cor 3,6).
È l'alleanza nuova e universale, l'alleanza dell'universalità dello
Spirito. L'universalità vuol dire 'versus unum' ("verso
uno"). La stessa parola "spirito" vuol dire movimento,
e questo include il "verso", la direzione. Lo Spirito è chiamato
'dynamis' (At 1,8), e la 'dynamis' include la possibilità di
una direzione. Dalle parole di Gesù sullo Spirito paraclito
si deduce che l'"essere verso" si riferisce a Gesù.
54. La stretta connessione tra lo Spirito e Cristo si manifesta
nell'unzione di Gesù: Gesù Cristo significa precisamente che Gesù
è l'unto di Dio con l'unzione che è lo Spirito: "Lo
Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha unto..." (Lc
4,16; Is 61,1-2). Dio ha unto Gesù "in Spirito Santo
e potenza", e così "passò beneficando e risanando
tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo" (At 10,38).
Come dice Ireneo:
"Nel nome di Cristo si sottintende colui che unge, colui che
è unto e la stessa unzione con cui è unto. Colui che
unge è il Padre, l'unto è il Figlio, nello Spirito
che è l'unzione. Come dice la Parola per mezzo di Isaia: "Lo
Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi
ha consacrato con l'unzione" (Is 61,1-2), indicando il Padre
che unge, il Figlio unto e l'unzione che è lo Spirito" (24).
55. L'universalità dell'alleanza dello Spirito è pertanto
quella dell'alleanza in Gesù. Egli si è offerto al
Padre in virtù dello Spirito eterno (Eb 9,14), nel quale è stato
unto. Questa unzione si estende al Cristo totale, ai cristiani unti
con lo Spirito e alla chiesa. Già Ignazio di Antiochia indicò che
Gesù ricevette l'unguento "per infondere incorruttibilità nella
sua chiesa"
(25).
Gesù è stato unto nel
Giordano, secondo Ireneo, "perché noi fossimo salvati
ricevendo l'abbondanza della sua unzione" (26).
Gregorio di Nissa ha espresso questo con un'immagine profonda e bella: "La
nozione di unzione suggerisce (...) che non c'è nessuna distinzione
tra il Figlio e lo Spirito. Infatti, come tra la superficie del corpo
e l'unzione con l'olio né la ragione né i sensi conoscono
intermediari, così è immediato il contatto del Figlio
con lo Spirito; perciò chi sta per entrare in contatto con
il Figlio mediante la fede, deve necessariamente entrare prima in
contatto con l'olio.
Nessuna parte è priva dello Spirito Santo" (27).
Il Cristo totale include in un certo senso ogni uomo, poiché Cristo
si è unito a tutti gli uomini ('Gaudium et spes', n. 22).
Lo stesso Gesù dice: "Ogni volta che avete fatto queste
cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete
fatto a me" (Mt 25,40).
56. La chiesa è il luogo privilegiato dell'azione dello Spirito.
In essa, corpo di Cristo, lo Spirito suscita i diversi doni per l'utilità comune
(cf. 1Cor 12,4-11). È nota l'espressione di Ireneo:
"Dov'è lo Spirito del Signore, lì c'è la
chiesa; e dov'è la chiesa, c'è lo Spirito del Signore
e ogni grazia" (28). E san Giovanni
Crisostomo: "Se lo Spirito Santo non fosse presente, non esisterebbe
la chiesa; se la chiesa esiste, è un chiaro segno della presenza
dello Spirito" (29).
57. Alcuni testi del Nuovo Testamento sembrano insinuare
la portata universale dell'azione dello Spirito, sempre in
relazione con la missione evangelizzatrice della chiesa che
deve giungere a tutti gli uomini. Lo Spirito Santo precede
e guida la predicazione, è
all'origine della missione ai pagani (At 10,19.44-47). Il superamento
del peccato di Babele avverrà nello Spirito.
Diversamente
dal tentativo dei costruttori della torre di Babele, che con i loro
sforzi vogliono arrivare al cielo, la dimora di Dio, ora lo Spirito
Santo scende dal cielo come un dono e dà la possibilità di
parlare tutte le lingue e di ascoltare, ciascuno nella propria lingua,
le grandezze di Dio (cf. At 2,1-11). La torre di Babele era uno sforzo
per realizzare l'unità senza l'universalità: "Facciamoci
un nome, per non disperderci su tutta la terra" (Gen 11,4).
La Pentecoste fu il dono dell'universalità nell'unità: "Essi
furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre
lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi" (At
2,4). Nel dono dello Spirito di Pentecoste si deve vedere anche il
compimento dell'alleanza del Sinai (cf. Es 19,1ss), che diventa così universale.
58. Il dono dello Spirito è il dono di Gesù risorto
e salito al cielo alla destra del Padre (At 2,32; cf. Gv 14,15.26;
15,26; 16,7; 20,22): questo è un insegnamento costante nel
Nuovo Testamento. La stessa risurrezione di Gesù si realizza
con l'intervento dello Spirito (cf. Rm 1,4; 8,11). Lo Spirito Santo
ci è dato come Spirito di Cristo, Spirito del Figlio (cf.
Rm 8,9; Gal 4,6; Fil 1,19; At 16,7).
Perciò non si può pensare
un'azione universale dello Spirito che non sia in relazione con l'azione
universale di Gesù: i padri continuamente lo hanno messo in
rilievo (30). Soltanto con l'azione dello
Spirito noi uomini possiamo essere resi conformi all'immagine di
Gesù risorto, nuovo Adamo, nel quale l'uomo acquista definitivamente
la dignità a cui era chiamato fin dalle origini: "E noi
tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria
del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di
gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito"
(2Cor 3,18).
L'uomo, che è stato creato a immagine di Dio,
con la presenza dello Spirito è rinnovato a immagine di Dio
(o di Cristo) secondo l'azione dello Spirito. Il Padre è il
pittore; il Figlio
è il modello secondo il quale l'uomo viene dipinto; lo Spirito
Santo
è il pennello con il quale viene dipinto l'uomo nella creazione
e nella redenzione.
59. Perciò lo Spirito Santo conduce a Cristo. Lo Spirito Santo
dirige tutti gli uomini verso Cristo, l'unto; Cristo, a sua volta,
li dirige verso il Padre. Nessuno va al Padre se non attraverso Gesù,
perché
egli è la via (Gv 14,6); però è lo Spirito Santo
che guida i discepoli alla verità intera (Gv 16,12-13). La
parola "guiderà"
('hodegesei') include la via ('hodos'): quindi lo Spirito guida per
la via che è Gesù, il quale conduce al Padre. Perciò nessuno
può dire "Gesù è il Signore" se non
sotto l'azione dello Spirito Santo (1Cor 12,3).
E la terminologia
del Paraclito usata da Giovanni ci indica che lo Spirito è l'avvocato
nel giudizio che cominciò in Gerusalemme e continua nella
storia. Lo Spirito paraclito difenderà Gesù dalle accuse
che gli sono rivolte nei suoi discepoli (cf. Gv 16,8-11). Lo Spirito
Santo è così il testimone di Cristo, e grazie a lui
possono esserlo i discepoli: "Egli mi renderà
testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete
stati con me fin dal principio" (Gv 15,26-27).
60. Perciò lo Spirito è dono di Gesù e conduce
a lui, anche se la via concreta per la quale conduce gli uomini è nota
soltanto a Dio. Il Vaticano II lo ha formulato chiaramente: "Cristo,
infatti,
è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente
una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito
Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel
modo che Dio conosce, col mistero pasquale" (Vaticano II, cost.
past. 'Gaudium et spes' sulla chiesa nel mondo contemporaneo, n.
22).
Non ha senso affermare un'universalità dell'azione dello
Spirito che non si trovi in relazione con il significato di Gesù,
il Figlio incarnato, morto e risorto. Invece in
virtù dell'opera
dello Spirito tutti gli uomini possono entrare in relazione con Gesù,
che visse, morì e risuscitò in un luogo e in un tempo
concreti. D'altra parte l'azione dello Spirito
non si limita alle dimensioni intime e personali dell'uomo, ma si
estende anche a quelle sociali: "Questo Spirito
è lo stesso che ha operato nell'incarnazione, nella vita,
morte e risurrezione di Gesù e opera nella chiesa.
Non è,
dunque, alternativo a Cristo, né riempie una specie di vuoto,
come talvolta si ipotizza esserci tra Cristo e il 'Logos'. Quanto
lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli,
nelle culture e religioni, assume un valore di preparazione evangelica
e non può non avere riferimento a Cristo" (Giovanni Paolo
II, lett. enc. 'Redemptoris missio', 7.12.1990, n. 29).
61. L'ambito privilegiato dell'azione
dello Spirito è la chiesa,
corpo di Cristo; ma tutti i popoli sono chiamati, in vari modi, all'unità del
popolo di Dio che lo Spirito promuove: "Questo carattere di
universalità che adorna e distingue il popolo di Dio,
è dono dello stesso Signore, e con esso la chiesa cattolica
efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità,
con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell'unità del suo Spirito.
(...) Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del
popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale, e alla
quale in vario modo appartengono e sono ordinati sia i fedeli cattolici,
sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini, dalla
grazia di Dio chiamati alla salvezza" (Vaticano II, cost.
dogm. 'Lumen gentium' sulla chiesa, n. 13).
È la stessa universalità dell'azione
salvifica di Cristo e dello Spirito che conduce a interrogarsi sulla
funzione della chiesa come sacramento universale di salvezza.
24-IRENEO DI LIONE, 'Adv
Haer'. III 18, 3 ('SCh' 211, 350-352). Ripetono quasi alla
lettera questa idea BASILIO DI CESAREA, 'De Spiritu Sancto'
XII, 28 ('SCh' 17 bis, 344) e AMBROGIO DI MILANO, 'De Spiritu
Sancto' I 3, 44 ('CSEL' 79, 33).
25IGNAZIO DI ANTIOCHIA,
'Ad Ephesios' 17, 1 ('SCh' 10,86).
26IRENEO DI LIONE, 'Adv.
Haer'. III 9, 3 ('SCh' 211, 112). Secondo lo stesso Ireneo,
lo Spirito scende su Gesù per "abituarsi" ad
abitare nel genere umano, 'ivi', 17, 1 (330).
27GREGORIO DI NISSA, 'De
Spiritu Sancto contra Macedonianos' 16 ('PG' 45, 1.321 A-B).
28IRENEO DI LIONE, 'Adv
Haer'. III 24, 1 ('SCh' 211, 474).
29GIOVANNI CRISOSTOMO,
'Hom. Pent'. I 4 ('PG' 49, 459).
30Ad esempio, IRENEO DI
LIONE, 'Adv Haer' III 17, 2 ('SCh' 211, 334): "(...)
Dominus accipiens munus a Patre ipse quoque his donavit qui
ex ipso participantur, in universam terram mittens Spiritum
Sanctum"; ILARIO DI POITIERS, 'Tr. ps'. 56, 6 ('CSEL'
22, 172): "Et quia exaltatus super caelos impleturus
esset in terris omnia sancti spiritus gloria, subiecit: 'et
super omnem terram gloria tua' (Sal 57,6.12). Cum effusum
super omnem carnem spiritus donum gloriam exaltati super
coelos domini protestaretur".
II.4. "ECCLESIA, UNIVERSALE SALUTIS
SACRAMENTUM"
63. La questione principale non è oggi se gli uomini possano raggiungere la salvezza anche se non appartengono alla chiesa cattolica visibile: questa possibilità è considerata come teologicamente certa. La questione è se la Chiesa è necessria o no alla salvezza.
65. Si parla della necessità della chiesa per la salvezza in due sensi: --la necessità dell'appartenenza alla chiesa per quelli che credono in Gesù,
--
e la necessità, per la salvezza, del ministero della chiesa che, per incarico di Dio, dev'essere al servizio della venuta del regno di Dio.
La chiesa è un aiuto generale per la salvezza (Denz 3867-3869): nel caso di un'ignoranza invincibile, basta il desiderio implicito di appartenere alla chiesa, e questo desiderio è sempre presente quando un uomo aspira a conformare la sua volontà a quella di Dio .
Il mistero della chiesa di Cristo è una realtà dinamica nello Spirito Santo. Anche se a questa unione spirituale manca l'espressione visibile dell'appartenenza alla chiesa, i non cristiani giustificati sono inclusi nella chiesa "corpo mistico di Cristo" e "comunità spirituale"...
...
non saranno invece salvati quelli che appartengono soltanto "al corpo" ma non "al cuore" della chiesa, perché non hanno perseverato nell'amore.
Ciò non toglie che i non cristiani che non sono colpevoli di non appartenere alla chiesa entrino nella comunione dei chiamati al regno di Dio praticando l'amore per Dio e per il prossimo; questa comunione si rivelerà come 'Ecclesia universalis' nel compimento del regno di Dio e di Cristo.
62. Non si può sviluppare una teologia delle
religioni senza tener conto della missione salvifica universale della
chiesa, attestata dalla Sacra Scrittura e dalla tradizione di fede
della chiesa. La valutazione teologica delle religioni fu impedita
per molto tempo a causa del principio 'extra Ecclesiam nulla salus',
(=non c'è salvezza fuori dalla Chiesa) inteso in senso esclusivista.
Con la dottrina sulla chiesa come 'sacramento
universale di salvezza' o 'sacramento del regno di Dio', la teologia
cerca di rispondere alla nuova impostazione del problema. Questo insegnamento, che fu
accolto anche dal concilio Vaticano II, si collega con la visione
sacramentale della chiesa nel Nuovo Testamento.
63. La questione principale non è oggi se gli uomini possano
raggiungere la salvezza anche se non appartengono alla chiesa cattolica
visibile: questa possibilità è considerata come teologicamente
certa.
La pluralità
delle religioni, di cui i cristiani sono sempre più coscienti,
una migliore conoscenza di queste religioni e il necessario dialogo
con esse, senza tralasciare in ultimo luogo una più chiara
coscienza delle frontiere spaziali e temporali della chiesa, ci pongono la
questione se si possa ancora parlare della necessità della
chiesa per la salvezza, e se questo principio sia compatibile con
la volontà
salvifica universale di Dio.
A) "Extra Ecclesiam nulla salus"
64. Gesù ha unito l'annuncio del regno di Dio con la sua chiesa.
Dopo la morte e la risurrezione di Gesù si ricompose l'unione
del popolo di Dio, nel nome di Gesù Cristo. La chiesa degli
ebrei e dei gentili fu intesa come un'opera di Dio e come la comunità nella
quale si sperimenta l'azione del Signore elevato al cielo e del suo
Spirito.
Alla fede in Gesù Cristo, mediatore universale della
salvezza, si unisce il battesimo nel suo nome, come mediazione per
partecipare alla sua morte redentrice, per ricevere il perdono dei
peccati e per entrare nella comunità di salvezza (cf. Mc 16,16;
Gv 3,5). Perciò il battesimo è paragonato all'arca
salvatrice (1Pt 3,20-21). Secondo il Nuovo Testamento la necessità della
chiesa per la salvezza si fonda sull'unica mediazione salvifica di
Gesù
Cristo.
65. Si parla della necessità della chiesa per la salvezza
in due sensi: la necessità dell'appartenenza alla chiesa per
quelli che credono in Gesù, e la necessità, per la
salvezza, del ministero della chiesa che, per incarico di Dio, dev'essere
al servizio della venuta del regno di Dio.
66. Nell'enciclica 'Mystici corporis'
Pio XII affronta la questione della relazione con la chiesa
di quelli che raggiungono la salvezza fuori della comunione
visibile con essa, e dice che questi sono ordinati al corpo
mistico di Cristo attraverso un non consapevole anelito e
desiderio (Denz 3821).
L'opposizione del gesuita americano
Leonard Feeney, che insiste nella sua interpretazione esclusivistica
della frase 'extra Ecclesiam nulla salus', dà occasione alla lettera
del sant'Uffizio all'arcivescovo di Boston dell'8 agosto 1949, la
quale respinge l'interpretazione di Feeney e precisa l'insegnamento
di Pio XII. La lettera distingue tra la necessità dell'appartenenza
alla chiesa per la salvezza ('necessitas praecepti') e la necessità
dei mezzi indispensabili per la salvezza ('intrinseca necessitas').
Riguardo a tali mezzi, la chiesa è un aiuto generale per la
salvezza (Denz 3867-3869): nel caso di un'ignoranza invincibile,
basta il desiderio implicito di appartenere alla chiesa, e questo
desiderio
è sempre presente quando un uomo aspira a conformare la sua
volontà
a quella di Dio (Denz 3870). La fede però, nel senso di Eb
11,6, e l'amore sono sempre necessari con necessità intrinseca
(Denz 3872).
67. Il concilio Vaticano II fa sua la frase 'extra Ecclesiam
nulla salus', ma con essa si rivolge esplicitamente ai cattolici
e ne limita la validità a coloro che conoscono la necessità della
chiesa per la salvezza. Il concilio osserva che l'asserto si fonda
sulla necessità della fede e del battesimo affermata da Cristo
('Lumen gentium', n. 14). In tal modo il concilio si colloca in continuità
con l'insegnamento di Pio XII, però mette in rilievo più chiaramente
il carattere parenetico originale di questa frase.
68. A differenza di Pio XII, il concilio rinuncia a parlare
di 'votum implicitum' e applica il concetto di 'votum' soltanto
al desiderio esplicito dei catecumeni di appartenere alla
chiesa ('Lumen gentium', n. 14). Dei non cristiani si dice
che, in modo diverso, sono ordinati al popolo di Dio. Secondo
i vari modi in cui la volontà salvifica
di Dio abbraccia i non cristiani, il concilio distingue quattro gruppi:
in primo luogo gli ebrei; in secondo luogo i musulmani; in terzo
luogo quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e non
conoscono la chiesa, ma cercano Dio con cuore sincero e si sforzano
di compiere la sua volontà conosciuta attraverso la coscienza;
in quarto luogo quelli che, senza colpa, non sono ancora giunti a
conoscere espressamente Dio, ma ciò nonostante si sforzano
di condurre una vita retta ('Lumen gentium', n. 16).
69. I doni che Dio offre a tutti gli uomini per condurli
alla salvezza si fondano, secondo il concilio, sulla sua
volontà salvifica
universale ('Lumen gentium', nn. 2.3.16; 'Ad gentes', n. 7). L'affermazione
che anche i non cristiani sono ordinati al popolo di Dio si fonda
sul fatto che la chiamata universale alla salvezza include la vocazione
di tutti gli uomini all'unità cattolica del popolo di Dio
('Lumen gentium', n. 13). Il concilio osserva che l'intima relazione
delle due vocazioni si fonda sull'unica mediazione di Cristo, che
si rende presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la chiesa
('Lumen gentium', n. 14).
70. Così si restituisce alla frase 'extra Ecclesiam nulla
salus' il suo senso originale: esortare alla fedeltà i membri
della chiesa (31). Questa frase, integrata
all'interno di quella più generale 'extra Christum nulla salus',
non è più in contraddizione con la chiamata di tutti
gli uomini alla salvezza.
B) "Paschali mysterio consociati"
71. La costituzione dogmatica sulla chiesa 'Lumen gentium'
parla di un "ordinamento" graduale alla chiesa dal punto di vista
della chiamata universale alla salvezza, che include la chiamata
alla chiesa. Invece la costituzione pastorale 'Gaudium et spes' apre
una più ampia prospettiva cristologica, pneumatologica e soteriologica.
Quello che si dice dei cristiani vale anche per tutti gli uomini
di buona volontà, nel cuore dei quali opera in modo invisibile
la grazia. Anche questi, mediante lo Spirito Santo, possono essere
associati al mistero pasquale e quindi possono essere assimilati
alla morte di Cristo e andare incontro alla risurrezione ('Gaudium
et spes', n. 22).
72. Quando i non cristiani, giustificati mediante la grazia
di Dio, sono associati al mistero pasquale di Gesù Cristo, lo sono
pure al mistero del suo corpo, che è la chiesa. Il mistero
della chiesa di Cristo è una realtà dinamica nello
Spirito Santo. Anche se a questa unione spirituale manca l'espressione
visibile dell'appartenenza alla chiesa, i non cristiani giustificati
sono inclusi nella chiesa
"corpo mistico di Cristo" e "comunità spirituale"
('Lumen gentium', n. 8). In questo senso i padri della chiesa possono
dire che i non cristiani giustificati appartengono alla 'ecclesia
ab Abel'. Mentre questi sono riuniti nella chiesa universale con
il Padre ('Lumen gentium', n. 2), non saranno invece salvati quelli
che appartengono soltanto "al corpo" ma non "al cuore"
della chiesa, perché non hanno perseverato nell'amore ('Lumen
gentium', n. 14).
73. Perciò si può parlare non soltanto di un "ordinamento"
alla chiesa dei non cristiani giustificati, ma anche di un loro vincolo
col mistero di Cristo e del suo corpo, la chiesa. Non si dovrebbe
però parlare di appartenenza e neppure di graduale appartenenza
alla chiesa, o di una comunione imperfetta con la chiesa, riservata
ai cristiani non cattolici ('Unitatis redintegratio', n. 3; 'Lumen
gentium', n. 15); la chiesa infatti per sua essenza è una
realtà
complessa, costituita dall'unione visibile e dalla comunione spirituale.
Ciò non toglie che i non cristiani che non sono colpevoli
di non appartenere alla chiesa entrino nella comunione dei chiamati
al regno di Dio praticando l'amore per Dio e per il prossimo; questa
comunione si rivelerà come 'Ecclesia universalis' nel compimento
del regno di Dio e di Cristo.
C) "Universale salutis sacramentum"
74. Quando si partiva dal presupposto che tutti gli uomini
venivano a contatto con la chiesa, la necessità di questa per la salvezza
era intesa soprattutto come necessità di appartenere a essa.
Da quando la chiesa ha preso coscienza della sua condizione di minoranza,
sia diacronicamente sia sincronicamente, è venuta in primo
piano la necessità della funzione salvifica universale della
chiesa. Questa missione universale e questa efficacia sacramentale
in ordine alla salvezza hanno trovato espressione teologica nella
qualifica della chiesa come sacramento universale di salvezza. Come
tale la chiesa
è al servizio della venuta del regno di Dio, nell'unione di
tutti gli uomini con Dio e nell'unità degli uomini tra loro
('Lumen gentium', n. 1).
75. Dio si è rivelato di fatto come amore non soltanto perché fin
d'ora ci fa partecipare al regno di Dio e ai suoi frutti, ma anche
perché ci chiama e ci libera per collaborare alla venuta del
suo Regno. Così la chiesa è non soltanto segno, ma
anche strumento del regno di Dio che irrompe con forza. La chiesa
compie la sua missione come sacramento universale con la 'martyria',
la 'leiturgia' e la 'diakonia'.
76. Attraverso la 'martyria' del Vangelo della redenzione
universale portata a compimento da Gesù Cristo, la chiesa annuncia a
tutti gli uomini il mistero pasquale di salvezza che viene offerto
loro e del quale già vivono senza saperlo. Come sacramento
universale di salvezza, la chiesa è essenzialmente una chiesa
missionaria. Infatti Dio, nel suo amore, non soltanto ha chiamato
gli uomini a raggiungere la salvezza finale in comunione con lui;
ma appartiene alla piena vocazione dell'uomo che la sua salvezza
non si realizzi nel servizio delle cose che sono "ombra delle
future"
(Col 2,17), bensì nella piena conoscenza della verità,
nella comunione del popolo di Dio e nell'attiva collaborazione per
la venuta del suo Regno, rafforzato dalla sicura speranza nella fedeltà di
Dio ('Ad gentes', nn. 1-2).
77. Nella 'leiturgia', celebrazione del mistero pasquale,
la chiesa compie la sua missione di servizio sacerdotale
in rappresentanza di tutta l'umanità. Questa rappresentanza, secondo la volontà di
Dio, è efficace per tutti gli uomini e rende presente Cristo,
che
"Dio trattò da peccato in nostro favore" (2Cor 5,21)
e che al nostro posto fu appeso al legno (Gal 3,13) per liberarci
dal peccato ('Lumen gentium', n. 10). Infine nella 'diakonia' la
chiesa dà testimonianza del dono amorevole di Dio agli uomini
e dell'irruzione del Regno di giustizia, di amore e di pace.
78. Alla missione della chiesa come sacramento universale
di salvezza appartiene pure "che ogni germe di bene che si trova nel cuore
e nella mente degli uomini, o nei riti e culture propri dei popoli,
non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e perfezionato"
('Lumen gentium', n. 17).
Infatti l'azione dello Spirito precede,
a volte anche visibilmente, l'attività apostolica della chiesa
('Ad gentes', n. 4), e la sua azione si può manifestare pure
nella ricerca e nell'inquietudine religiosa degli uomini. Il mistero
pasquale, nel quale tutti gli uomini possono essere incorporati nel
modo che Dio conosce, è la realtà salvifica che abbraccia
tutta l'umanità, che unisce preventivamente la chiesa con
i non cristiani a cui si rivolge e ai quali ha sempre il dovere di
trasmettere la rivelazione. Nella misura in cui la chiesa riconosce,
discerne e fa proprio quanto di vero e di buono lo Spirito Santo
ha operato nelle parole e nelle azioni dei non cristiani, diventa
sempre più la vera chiesa cattolica,
"che parla tutte le lingue e tutte le lingue nell'amore intende
e comprende, superando così la dispersione babelica" ('Ad
gentes', n. 4).
79. "Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo
di fatto tutti gli uomini e apparendo talora come piccolo gregge,
costituisce per tutta l'umanità un germe validissimo di unità,
di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo in una comunione
di vita, di carità
e di verità, è pure da lui preso per essere strumento
della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra
(cf. Mt 5,13-16),
è inviato a tutto il mondo" ('Lumen gentium', n. 9).
31 Cf. ORIGENE, 'In Jesu
Nave' 3, 5 ('SCh' 71, 142ss); CIPRIANO, 'De cath. unit'.
6 ('CSEL' 3\1, 214s); ID., 'Ep'. 73, 21 ('CSEL' 3\2, 795). |