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Teologia delle Religioni
Commissione Teologica Internazionale, tenutesi a Roma nel 1993, 1994 e 1995.
[ Estratto dalla Versione elettronica del testo da 'Il Regno', Documenti, n. 3 1997, pp. 75-89.]

Sottocommissione composta da S.E. mons. Norberto Strotmann MSC, dal rev. Barthélemy Adoukonou, dal rev. Jean Corbon, dal rev. P. Mário de França Miranda SI, dal rev. Ivan Golub, dal rev. p. Tadahiko Iwashima SI, dal rev. p. Luis F. Ladaria SI (presidente), dal rev. Hermann J. Pottmeyer e dal rev. p. Andrzej Szostek MIC. Il presente testo è stato approvato in forma specifica, con il voto della Commissione, il 30 settembre 1996, ed è stato poi sottoposto al suo presidente, il card. J. Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale ha dato la sua approvazione per la pubblicazione.

INTRODUZIONE

L'importanza del fatto religioso nella vita umana e gli incontri sempre più frequenti tra gli uomini e le culture rendono necessario il dialogo interreligioso in vista dei problemi e dei bisogni che riguardano l'umanità, per chiarire il senso della vita e per promuovere un'azione comune in favore della pace e della giustizia nel mondo

1. La questione delle relazioni tra le religioni va acquistando un'importanza sempre maggiore. Tra i vari fattori che contribuiscono a rendere attuale il problema, c'è in primo luogo la crescente interdipendenza tra le diverse parti del mondo.

Essa si manifesta su diversi piani: è sempre più grande il numero delle persone che, nella maggior parte dei paesi, accedono all'informazione; le migrazioni sono tutt'altro che un ricordo del passato; le nuove tecnologie e l'industria moderna hanno prodotto scambi finora sconosciuti tra molti paesi. Indubbiamente questi fattori interessano in modo diverso continenti e nazioni, ma nessuna parte del mondo, almeno in qualche misura, può considerarsene estranea.

2. Tali fattori di comunicazione e di interdipendenza tra i diversi popoli e le diverse culture hanno prodotto una maggiore coscienza della pluralità delle religioni del pianeta, con i pericoli ma insieme con le opportunità che questo comporta.

Nonostante la secolarizzazione, tra gli uomini del nostro tempo non è scomparsa la religiosità: sono noti i vari fenomeni in cui questa si manifesta, nonostante la crisi che, in diversa misura, interessa le grandi religioni. L'importanza del fatto religioso nella vita umana e gli incontri sempre più frequenti tra gli uomini e le culture rendono necessario il dialogo interreligioso, in vista dei problemi e dei bisogni che riguardano l'umanità, per chiarire il senso della vita e per promuovere un'azione comune in favore della pace e della giustizia nel mondo.

Il cristianesimo non si tiene fuori né può rimanere al margine di tale incontro e del conseguente dialogo tra le religioni. Se queste sono state talvolta, e possono essere ancora, fattori di divisione e di conflitto tra i popoli, è auspicabile che nel mondo attuale appaiano agli occhi di tutti come elementi di pace e di unione. Il cristianesimo deve dare il suo contributo perché questo sia possibile.

3. Perché tale dialogo sia fruttuoso, occorre che il cristianesimo, e in concreto la chiesa cattolica, si impegni a precisare come vàluta, dal punto di vista teologico, le religioni. Da questa valutazione dipenderà in grande misura il rapporto dei cristiani con le varie religioni e con i loro seguaci, e il conseguente dialogo che, in diverse forme, si stabilirà con esse. Le riflessioni che seguono hanno come oggetto principale l'elaborazione di alcuni principi teologici che aiutino questa valutazione.

Tali principi sono proposti con la chiara consapevolezza che esistono molte questioni ancora aperte, le quali richiedono ulteriori indagini e discussioni. Prima di esporre i principi, riteniamo necessario tracciare le linee fondamentali del dibattito teologico attuale: partendo da questo, si potranno comprendere meglio le proposte che successivamente si formuleranno .

I. TEOLOGIA DELLE RELIGIONI (status quaestionis)
I.1. OGGETTO, METODO E FINALITÀ

DUE IPOTESI

1.le religioni contengono valori positivi, che però, in quanto tali, non hanno valore salvifico.

2-le religioni, in quanto espressioni sociali della relazione dell'uomo con Dio, aiutano i propri seguaci ad accogliere la grazia di Cristo ('fides implicita') necessaria per la salvezza e ad aprirsi all'amore del prossimo che Gesù identifica con l'amore di Dio.

In tal senso, esse possono avere valore salvifico, sebbene contengano elementi di ignoranza, di peccato e di perversione.
4. La teologia delle religioni non presenta ancora uno statuto epistemologico ben definito: è questo uno dei motivi determinanti della discussione attuale.

Nella teologia cattolica anteriore al Vaticano II si rilevano due linee di pensiero in relazione al problema del valore salvifico delle religioni.
Una, rappresentata da 'Jean Daniélou, Henri de Lubac' e altri, ritiene che le religioni si fondino sull'alleanza con Noè, alleanza cosmica che comporta la rivelazione di Dio nella natura e nella coscienza, e che è diversa dall'alleanza con Abramo.

In quanto conservano i contenuti di questa alleanza cosmica, le religioni contengono valori positivi, che però, in quanto tali, non hanno valore salvifico. Sono "segnali di attesa" ('pierres d'attente'), ma anche "pietre di inciampo" ('pierres d'achoppement'), dovuto al peccato. Essi, da soli, vanno dall'uomo a Dio: soltanto in Cristo e nella sua chiesa raggiungono il loro compimento ultimo e definitivo.

L'altra linea, rappresentata da 'Karl Rahner', afferma che l'offerta della grazia, nell'ordine attuale, raggiunge tutti gli uomini e che essi hanno la coscienza certa, non necessariamente riflessa, della sua azione e della sua luce.
A motivo della caratteristica di socialità propria dell'essere umano, le religioni, in quanto espressioni sociali della relazione dell'uomo con Dio, aiutano i propri seguaci ad accogliere la grazia di Cristo ('fides implicita') necessaria per la salvezza e ad aprirsi all'amore del prossimo che Gesù identifica con l'amore di Dio. In tal senso, esse possono avere valore salvifico, sebbene contengano elementi di ignoranza, di peccato e di perversione.

5. Attualmente cresce l'esigenza di una maggiore conoscenza di ciascuna religione, prima di poterne elaborare la relativa teologia. Poiché in ogni tradizione religiosa si incontrano elementi di origine e di portata ben diverse, la riflessione teologica deve limitarsi a considerare fenomeni concreti e ben definiti, per evitare giudizi globali e aprioristici.
Così
- alcuni sostengono una teologia della storia delle religioni;
- altri prendono in considerazione l'evoluzione storica delle religioni, i rispettivi caratteri specifici, a volte incompatibili tra loro;
- altri riconoscono l'importanza del materiale fenomenologico e storico, senza negare totalmente il metodo deduttivo;
- altri rifiutano un riconoscimento positivo globale delle religioni.

6. In un'epoca nella quale si apprezza il dialogo, la comprensione reciproca e la tolleranza, è naturale che vi siano tentativi di elaborare una teologia delle religioni a partire da criteri che siano accettati da tutti, cioè che non siano esclusivi di una determinata tradizione religiosa. Perciò non sempre si distinguono chiaramente le condizioni per il dialogo interreligioso e i presupposti fondamentali di una teologia cristiana delle religioni. Per evitare il dogmatismo si cercano appoggi esterni, che consentano di valutare la verità di una religione; ma gli sforzi compiuti in questa direzione non riescono a convincere. Se la teologia è 'fides quaerens intellectum', non si vede come si possa abbandonare il "principio dogmatico" o condurre una riflessione teologica prescindendo dalle proprie fonti.

7. Di fronte a tale situazione, una teologia cristiana delle religioni ha davanti a sé diversi compiti.
In primo luogo il cristianesimo dovrà impegnarsi a comprendere e valutare se stesso nel contesto di una pluralità di religioni; dovrà riflettere in concreto sulla verità e l'universalità che esso rivendica.
In secondo luogo dovrà cercare il senso, la funzione e il valore proprio delle religioni nella totalità della storia della salvezza.
Infine la teologia cristiana dovrà studiare ed esaminare le religioni concrete con i loro contenuti ben definiti, che dovranno essere posti a confronto con i contenuti della fede cristiana.
Per questo è necessario stabilire criteri che consentano una discussione critica di tale materiale e un'ermeneutica che lo interpreti.

I.2. LA DISCUSSIONE SUL VALORE SALVIFICO DELLE RELIGIONI

IL CONCILIO VAT. II
'Lumen gentium', n. 16:

...quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna.

Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta....

tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita.

I TEOLOGI

Il 'cristocentrismo' accetta che nelle religioni possa esserci la salvezza, ma nega loro un'autonomia salvifica, a motivo dell'unicità e dell'universalità della salvezza di Gesù Cristo.

Questa posizione è senza dubbio la più comune tra i teologi cattolici, pur essendoci differenze tra loro .

8. La questione di fondo è la seguente: le religioni sono mediazioni di salvezza per i loro seguaci?

A questa domanda
- c'è chi dà una risposta negativa, anzi alcuni dicono che tale impostazione non ha senso;
- altri danno una risposta affermativa, che a sua volta apre la via ad altre domande: sono mediazioni salvifiche autonome, o si realizza in esse la salvezza di Gesù Cristo?

Si tratta pertanto di definire lo 'statuto' del cristianesimo e delle religioni come realtà socioculturali in relazione con la salvezza dell'uomo. Tale questione non dev'essere confusa con quella della salvezza dei singoli, cristiani o no: di tale distinzione non sempre si è tenuto il dovuto conto.

9. Si è tentato di classificare in vari modi le diverse posizioni teologiche di fronte a questo problema. Vediamo alcune di tali classificazioni:

- Cristo contro le religioni, nelle religioni, sopra le religioni, con le religioni (universo ecclesiocentrico o cristologia esclusiva; universo cristocentrico o cristologia inclusiva; universo teocentrico con una cristologia normativa; universo teocentrico con una cristologia non normativa).

Alcuni teologi adottano la divisione tripartita
- 'esclusivismo, inclusivismo, pluralismo' -
che si presenta come parallela all'altra: 'ecclesiocentrismo, cristocentrismo, teocentrismo'.

Dovendo scegliere una di queste classificazioni per condurre la nostra riflessione, seguiremo quest'ultima, pur completandola con le altre se sarà necessario.

10. L''ecclesiocentrismo' esclusivista, frutto di un determinato sistema teologico o di un'errata comprensione della frase 'extra Ecclesiam nulla salus', non è più difeso dai teologi cattolici, dopo le chiare affermazioni di Pio XII e del concilio Vaticano II sulla possibilità di salvezza per quelli che non appartengono visibilmente alla chiesa (cf., per esempio,

[Dio non e neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto nelle ombre e sotto le immagini, poiché egli dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa (cfr At 1,7,25-26), e come Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1 Tm 2,4). Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita. Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore (cfr. Rm 1,21 e 25), oppure, vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale. Perciò la Chiesa per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti costoro, memore del comando del Signore che dice: “ Predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15), mette ogni cura nell'incoraggiare e sostenere le missioni.] 'Lumen gentium', n. 16

[. Cristo, l'uomo nuovo.In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo.Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore.Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice.]   'Gaudium et spes', n. 22'

11. Il 'cristocentrismo' accetta che nelle religioni possa esserci la salvezza, ma nega loro un'autonomia salvifica, a motivo dell'unicità e dell'universalità della salvezza di Gesù Cristo. Questa posizione è senza dubbio la più comune tra i teologi cattolici, pur essendoci differenze tra loro. Essa cerca di conciliare la volontà salvifica universale di Dio con il fatto che ogni uomo si realizza come tale all'interno di una tradizione culturale, che ha nella propria religione la più alta espressione e l'ultimo fondamento.

12. Il 'teocentrismo' vuol essere un superamento del cristocentrismo, un cambiamento di prospettiva, una rivoluzione copernicana. Questa posizione deriva, tra gli altri motivi, da una certa cattiva coscienza dovuta all'unione dell'azione missionaria del passato con la politica coloniale, talvolta anche dimenticando l'eroismo che accompagnò l'azione evangelizzatrice. Esso vuole riconoscere le ricchezze delle religioni e la testimonianza morale dei loro seguaci e, in ultima istanza, intende facilitare l'unione di tutte le religioni in vista di un'azione comune per la pace e la giustizia nel mondo.

Possiamo distinguere
- un teocentrismo nel quale Gesù Cristo, senza essere costitutivo, è considerato normativo della salvezza
- e un altro nel quale non si riconosce a Gesù Cristo neppure questo valore normativo.

Nel primo caso, senza negare che anche altri possano mediare la salvezza, si riconosce in Gesù Cristo il mediatore che meglio la esprime; l'amore di Dio si rivela più chiaramente nella sua persona e nella sua opera, ed è così il paradigma per gli altri mediatori. Tuttavia senza di lui non si rimarrebbe senza salvezza, ma soltanto senza la sua manifestazione più perfetta.

Nel secondo caso, Gesù Cristo non è considerato né come costitutivo né come normativo per la salvezza dell'uomo. Dio è trascendente e incomprensibile, quindi non possiamo giudicare i suoi disegni con le nostre categorie umane; come, del resto, non possiamo valutare o mettere a confronto i diversi sistemi religiosi. Il 'soteriocentrismo' radicalizza ancor più la posizione teocentrica, essendo meno interessato alla questione su Gesù Cristo (ortodossia) e più all'impegno effettivo di ogni religione nei confronti dell'umanità che soffre (ortoprassi). In tale prospettiva, il valore delle religioni sta nel promuovere il Regno, la salvezza, il benessere dell'umanità: questa posizione può così essere caratterizzata come pragmatica e immanentistica.

I.3. LA QUESTIONE DELLA VERITÀ

13. Soggiacente a tutta questa discussione è il problema della verità delle religioni; ma oggi si nota una tendenza a relegarlo in secondo piano, separandolo dalla riflessione sul valore salvifico. La questione della verità comporta seri problemi di ordine teorico e pratico, tanto che in passato ebbe conseguenze negative nell'incontro tra le religioni. Di qui la tendenza a sminuire o a relativizzare tale problema, affermando che i criteri di verità valgono soltanto per la propria religione.

Alcuni introducono una nozione più esistenziale di verità, considerando soltanto la condotta morale corretta della persona, senza dare importanza al fatto che le sue convinzioni religiose possano essere condannate. Si crea così una certa confusione tra "essere nella salvezza" ed "essere nella verità": bisognerebbe piuttosto collocarsi nella prospettiva cristiana della 'salvezza come verità' e dell'essere nella 'verità come salvezza'.

Tralasciare il discorso sulla verità conduce a mettere superficialmente sullo stesso piano tutte le religioni, svuotandole in fondo del loro potenziale salvifico. Affermare che tutte sono vere equivale a dichiarare che tutte sono false: sacrificare la questione della verità è incompatibile con la visione cristiana.

14. La concezione epistemologica soggiacente alla posizione pluralista utilizza la distinzione di Kant tra 'noumeno' e 'fenomeno'. Dio, o la Realtà ultima, trascendente e inaccessibile all'uomo, potrà essere sperimentato soltanto come fenomeno, espresso con immagini e nozioni culturalmente condizionate; ne segue che rappresentazioni diverse della stessa realtà non si escludono necessariamente tra loro 'a priori'.

La questione della verità si relativizza ancor più con l'introduzione del concetto di 'verità mitologica', che non implica adeguamento a una verità, ma semplicemente risveglia nel soggetto una disposizione adeguata all'enunciato. Tuttavia bisogna osservare che espressioni così contrastanti del 'noumeno' finiscono di fatto per dissolverlo, svuotando il senso della verità mitologica. Soggiace pure una concezione che separa radicalmente il Trascendente, il Mistero, l'Assoluto dalle sue rappresentazioni: essendo tutte relative, poiché sono imperfette e inadeguate, esse non possono rivendicare l'esclusività nella questione della verità.

Nota del redattore  

In alcuni testi di questo sito si afferma che le religioni sono tutte vere in quanto si è adottato il criterio per il quale " religioni " sono solo quelle che si fondano su una rivelazione , intesa come fatto storico di miracolo o prodigio insieme ed inscindibilmente con le parole di un intermediario che ne attesta l'autore ed il significato. In questo senso esse sono tutte vere : in quanto fondate su una rivelazione. Non sono tutte vere allo stesso modo, sono vere e al contempo diverse perchè fondate su rivelazioni diverse che portano ad esiti diversi. La rivelazione cristiana poi afferma che solamente in Cristo e nel suo Spirito, Dio si è dato completamente agli uomini; " ...in senso stretto, non si può parlare di rivelazione di Dio, se non in quanto Dio dà se stesso: così Cristo è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione " ('Dei Verbum', n. 2).
15. La ricerca di un criterio per stabilire la verità di una religione, che per essere accettato dalle altre religioni deve situarsi fuori di essa, è un compito serio per la riflessione teologica. Alcuni teologi evitano termini cristiani per parlare di Dio ('Eternal One, Ultimate Reality, Real') o per designare il comportamento corretto ('Reality-centredness', non 'Self-centredness').

Si nota però che tali espressioni o manifestano una dipendenza da una determinata tradizione (cristiana) o diventano così astratte che non sono più utili.

Il ricorso all''humanum' non convince, trattandosi di un criterio meramente fenomenologico, che farebbe dipendere la teologia delle religioni dall'antropologia dominante in un'epoca.

Si segnala pure che bisogna considerare come la vera religione quella che riesce meglio sia a conciliare la limitatezza, la provvisorietà e la mutabilità della propria autocomprensione con l'infinito a cui tende, sia a ridurre a unità (forza integrativa) la pluralità di esperienze della realtà e delle concezioni religiose.

I.4. LA QUESTIONE DI DIO

16. La posizione pluralista vuole eliminare dal cristianesimo qualunque pretesa di esclusività o di superiorità rispetto alle altre religioni.
Perciò deve affermare che la realtà ultima delle diverse religioni è identica e, insieme, deve relativizzare la concezione cristiana di Dio in quello che ha di dogmatico e di vincolante. Così distingue Dio in se stesso, inaccessibile all'uomo, e Dio manifestato nell'esperienza umana.

Le immagini di Dio sono costituite dall'esperienza della trascendenza e dal rispettivo contesto socioculturale: non sono Dio, però tendono correttamente verso di lui; questo può dirsi anche delle rappresentazioni non personali della divinità: di conseguenza nessuna di esse può considerarsi esclusiva. Ne segue che tutte le religioni sono relative, non in quanto tendono verso l'Assoluto, ma nelle loro espressioni e nei loro silenzi.

Posto che c'è un unico Dio e uno stesso piano di salvezza per tutti gli uomini, le espressioni religiose sono ordinate le une alle altre e sono complementari tra loro. Poiché il Mistero è universalmente attivo e presente, nessuna delle sue manifestazioni può pretendere di essere l'ultima e la definitiva. In tal modo la questione di Dio si trova.

17. In rapporto con la stessa questione è il fenomeno della preghiera, che si incontra nelle diverse religioni. In definitiva, è lo stesso destinatario quello che è invocato nelle preghiere dei fedeli sotto diversi nomi? Divinità e potenze religiose, forze personificate della natura, della vita e della società, proiezioni psichiche o mistiche rappresentano tutte la stessa realtà?

Non c'è qui un passaggio indebito da un atteggiamento soggettivo a un giudizio oggettivo? Può esserci una preghiera politeista rivolta al vero Dio, in quanto un atto salvifico si può avere anche attraverso una mediazione erronea; ma questo non significa il riconoscimento oggettivo di tale mediazione religiosa come mediazione salvifica, benché questa preghiera autentica sia stata suscitata dallo Spirito Santo

(Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, 'Dialogo e annuncio', n. 27).

I.5. IL DIBATTITO CRISTOLOGICO

1Tm 2,5-6: "Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti".

CONCILIO VAT. II

Tutti i documenti affermano:
«...Cristo, eterno ed unico mediatore...»
18. Dietro alla problematica teo-logica, che abbiamo ora visto, è stata sempre presente la questione cristo-logica, che adesso affrontiamo. Le due questioni sono intimamente collegate, ma le trattiamo separatamente a causa della complessità del problema.

La maggiore difficoltà del cristianesimo si è sempre focalizzata nell'"incarnazione di Dio", che conferisce alla persona e all'azione di Gesù Cristo le caratteristiche di unicità e di universalità in ordine alla salvezza dell'umanità. Ma come può un avvenimento particolare e storico avere una pretesa universale?

Come si può avviare un dialogo interreligioso, rispettando tutte le religioni e senza considerarle in partenza come imperfette e inferiori, se riconosciamo in Gesù Cristo, e soltanto in lui, il Salvatore unico e universale dell'umanità? Non si potrebbe concepire la persona e l'azione salvifica di Dio a partire da altri mediatori oltre a Gesù Cristo?

19. Il problema cristologico è legato essenzialmente a quello del valore salvifico delle religioni, a cui abbiamo già accennato. Ora ci soffermiamo un po' di più sullo studio delle conseguenze cristologiche delle posizioni teocentriche.

Una conseguenza è il cosiddetto "teocentrismo salvifico", che accetta un pluralismo di mediazioni salvifiche legittime e vere. All'interno di questa posizione, come già osservammo, un gruppo di teologi attribuisce a Gesù Cristo un valore normativo, in quanto la sua persona e la sua vita rivelano, nel modo più chiaro e decisivo, l'amore di Dio per gli uomini. La maggiore difficoltà di tale concezione è che non offre, né all'interno né all'esterno del cristianesimo, un fondamento di tale normatività che si attribuisce a Gesù.

20. Un altro gruppo di teologi sostiene un teocentrismo salvifico con una cristologia non normativa. Svincolare Cristo da Dio priva il cristianesimo di qualsiasi pretesa universalistica della salvezza (e così diventerebbe possibile il dialogo autentico con le religioni), ma implica la necessità di confrontarsi con la fede della chiesa e in concreto con il dogma di Calcedonia. Questi teologi considerano tale dogma come un'espressione storicamente condizionata dalla filosofia greca, che dev'essere attualizzata perché impedisce il dialogo interreligioso.

L'incarnazione sarebbe un'espressione non oggettiva, ma metaforica, poetica, mitologica: essa vuole soltanto significare l'amore di Dio che si incarna in uomini e donne la cui vita riflette l'azione di Dio. Le affermazioni dell'esclusività salvifica di Gesù Cristo possono essere spiegate con il contesto storico-culturale: cultura classica (una sola verità certa e immutabile), mentalità escatologico-apocalittica (profeta finale, rivelazione definitiva) e atteggiamento di una minoranza (linguaggio di sopravvivenza, un unico salvatore).

21. La conseguenza più importante di tale concezione è che Gesù Cristo non può essere considerato l'unico ed esclusivo mediatore. Soltanto per i cristiani egli è la forma umana di Dio, che adeguatamente rende possibile l'incontro dell'uomo con Dio, benché non in modo esclusivo. È 'totus Deus', poiché è l'amore attivo di Dio su questa terra, ma non è 'totum Dei', poiché non esaurisce in sé l'amore di Dio. Potremmo anche dire: 'totum Verbum, sed non totum Verbi'. Il 'Logos', che è più grande di Gesù, può incarnarsi anche nei fondatori di altre religioni.

22. Questa stessa problematica ritorna quando si afferma che Gesù è il Cristo, ma il Cristo è più che Gesù. Questo facilita molto l'universalizzazione dell'azione del 'Logos' nelle religioni; ma i testi neotestamentari non concepiscono il 'Logos' di Dio prescindendo da Gesù. Un altro modo di argomentare in questa stessa linea consiste nell'attribuire allo Spirito Santo l'azione salvifica universale di Dio, che non condurrebbe necessariamente alla fede in Gesù Cristo.

I.6. MISSIONE E DIALOGO INTERRELIGIOSO

La presenza dello Spinto Santo non si dà allo stesso modo nella tradizione biblica e nelle altre religioni, poiché Gesù Cristo è la pienezza della rivelazione.

Tuttavia esperienze e intuizioni, espressioni e comprensioni diverse, provenienti a volte dallo stesso "avvenimento trascendentale", danno grande valore al dialogo interreligioso.

Proprio attraverso questo si può svolgere il processo personale di interpretazione e di comprensione dell'azione salvifica di Dio.
23. Le diverse posizioni di fronte alle religioni determinano comprensioni differenziate riguardo all''attività missionaria' della chiesa e al 'dialogo interreligioso'.

Se le religioni sono anch'esse vie alla salvezza (posizione pluralista), allora la conversione non è più l'obiettivo primario della missione, in quanto ciò che importa è che ciascuno, animato dalla testimonianza degli altri, viva profondamente la propria fede.

24. La posizione inclusivista da parte sua non considera più la missione come un impegno per impedire la dannazione dei non evangelizzati (posizione esclusivista).

Riconoscendo anche l'azione universale dello Spirito Santo, osserva che essa, nell'economia salvifica voluta da Dio, possiede una dinamica di incarnazione che la porta a esprimersi e ad oggettivarsi: in tal modo la proclamazione della parola conduce a pienezza questa stessa dinamica.

Non significa soltanto una tematizzazione della trascendenza, ma la sua maggiore realizzazione, ponendo l'uomo di fronte a una decisione radicale: l'annuncio e l'accettazione esplicita della fede fa aumentare le possibilità di salvezza e anche la responsabilità personale. Inoltre la missione si considera oggi come rivolta non soltanto agli individui, ma soprattutto ai popoli e alle culture.

25. Il dialogo interreligioso si fonda teologicamente sia sulla comune origine di tutti gli esseri umani creati a immagine di Dio, sia sul comune destino che è la pienezza di vita in Dio, sia sull'unico piano divino di salvezza mediante Gesù Cristo, sia sulla presenza attiva dello Spirito divino tra i seguaci di altre tradizioni religiose ('Dialogo e annuncio', n. 28).

La presenza dello Spinto Santo non si dà allo stesso modo nella tradizione biblica e nelle altre religioni, poiché Gesù Cristo è la pienezza della rivelazione. Tuttavia esperienze e intuizioni, espressioni e comprensioni diverse, provenienti a volte dallo stesso "avvenimento trascendentale", danno grande valore al dialogo interreligioso. Proprio attraverso questo si può svolgere il processo personale di interpretazione e di comprensione dell'azione salvifica di Dio.

26. "Una fede che non si è fatta cultura è una fede che non è stata pienamente recepita, non è stata interamente pensata, non è stata fedelmente vissuta". Queste parole di Giovanni Paolo II in una lettera al cardinale segretario di stato (20 maggio 1982; 'Regno-doc'. 13,1986,386s) precisano l'importanza dell'inculturazione della fede. Si costata che la religione è il cuore di ogni cultura, come istanza di senso ultimo e forza strutturante fondamentale.

In tal modo l'inculturazione della fede non può prescindere dall'incontro con le religioni, che dovrebbe realizzarsi soprattutto attraverso il dialogo interreligioso.
(1) Cf. COMMISSIO THEOLOGICA INTERNATIONALIS, 'Fides et inculturatio', c. III, 10; cf. 'Gregorianum' 70 (1989), 640.

II- LA RIVELAZIONE CRISTIANA

II.1. L'INIZIATIVA DEL PADRE NELLA SALVEZZA

28. Soltanto alla luce del piano divino di salvezza degli uomini, che non conosce frontiere di popoli né di razze, ha un senso affrontare il problema della teologia delle religioni. Il Dio che vuole salvare tutti è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo.

Il piano di salvezza in Cristo precede la creazione del mondo (cf. Ef 1,3-10) e si realizza con l'invio di Gesù al mondo, prova dell'amore infinito e della tenerezza che il Padre ha per l'umanità (cf. Gv 3,16-17; 1Gv 4,9-10, ecc.). Questo amore di Dio arriva fino alla "consegna" di Cristo alla morte per la salvezza degli uomini e per la riconciliazione del mondo (cf. Rm 5,8-11; 8,3.32; 2Cor 5,18-19, ecc.). La paternità di Dio, che generalmente nel Nuovo Testamento è messa in relazione con la fede in Gesù, si apre a prospettive più ampie in alcuni passi (cf. Ef 3,14-15; 4,6). Dio è il Dio degli ebrei e dei gentili (cf. Rm 3,29); la salvezza di Dio, che è in Gesù, viene rivolta a tutte le nazioni (cf. Lc 2,30; 3,6; At 28,28).

29. L'iniziativa del Padre nella salvezza è affermata in 1Gv 4,14: "Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo". Dio, "il Padre dal quale tutto proviene" (1Cor 8,6), è l'origine dell'opera di salvezza realizzata da Cristo. Il titolo di "salvatore", con cui Cristo è spesso indicato (cf. Lc 2,11; Gv 4,42; At 5,31, ecc.), è dato innanzitutto a Dio in alcuni passi del Nuovo Testamento (cf. 1Tm 1,1; 2,3; 4,10; Tt 1,3; 2,10; 3,4; Gd 25), senza per questo toglierlo a Cristo (cf. Tt 1,4; 2,13; 3,6).

Secondo 1Tm 2,3-4: "Dio, nostro salvatore, (...) vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità". La volontà salvifica non conosce restrizioni, ma è unita al desiderio che gli uomini conoscano la verità, cioè aderiscano alla fede (cf. 1Tm 4,10: Dio "è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono"). Questa volontà di salvezza ha pertanto come conseguenza la necessità dell'annuncio. D'altra parte è legata all'unica mediazione di Cristo (cf. 1Tm 2,5-6), di cui ci occuperemo più avanti.

30. Dio Padre è anche il termine verso il quale tutto si muove. Il fine ultimo dell'azione di creazione e di salvezza si realizzerà quando ogni cosa sarà sottomessa al Figlio: allora "anche (...) il Figlio sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti" (1Cor 15,28).

31. L'Antico Testamento conosce già alcune prefigurazioni di questa universalità che soltanto in Cristo si rivelerà pienamente. Tutti gli uomini, senza eccezione, sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26s; 9,6); poiché nel Nuovo Testamento l'immagine di Dio è Cristo (2Cor 4,4; Col 1,15), si può pensare a un "ordinamento" di tutti gli uomini verso Cristo.

L'alleanza di Dio con Noè abbraccia tutti gli esseri viventi della terra (cf. Gen 9,9.12.17-18). In Abramo "si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gen 12,3; cf. 28,18); questa benedizione per tutti viene anche attraverso i discendenti di Abramo grazie alla sua obbedienza (cf. Gen 22,17-18; 26,4-5; 28,14).

Il Dio di Israele è stato riconosciuto come tale da alcuni stranieri (cf. Gs 2; 1Re 10,1-13; 17,17-24; 2Re 5,1-27). Nel secondo e nel terzo Isaia si trovano anche testi che si riferiscono alla salvezza dei popoli nel contesto della salvezza del popolo di Israele (cf. Is 42,1-4; 49,6-8; 66,18-21, ecc.: le offerte dei popoli saranno accettate da Dio come quelle degli israeliti; anche Sal 86; 47,10: "I capi dei popoli si sono raccolti con il popolo del Dio di Abramo"). Si tratta di un'universalità che ha Israele come centro. Anche la Sapienza si rivolge a tutti senza distinzione di popoli o di razze (cf. Pr 1,20-23; 8,2-11; Sap 6,1-10.21, ecc.).

II.2. L'UNICA MEDIAZIONE DI GESÙ

...la volontà salvifica di Dio Padre è unita alla fede in Gesù. Egli è l'unico nel quale si realizza il piano di salvezza: "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12).

La salvezza è legata pertanto all'apparizione di Gesù, anche se questa era stata già annunciata e i suoi effetti in qualche modo erano stati anticipati. Anche se le interpretazioni patristiche dell'immagine sono molto varie, non si può trascurare questa corrente che vede nel Figlio che deve incarnarsi (e morire, e risuscitare) il modello secondo il quale Dio ha fatto il primo uomo.

Se il destino dell'uomo è di portare "l'immagine dell'uomo celeste" (1Cor 15,49), non sembra errato pensare che in ogni uomo ci dev'essere una certa disposizione interiore a questo fine.

A) Alcuni temi neotestamentari

32. Abbiamo già notato che la volontà salvifica di Dio Padre è unita alla fede in Gesù. Egli è l'unico nel quale si realizza il piano di salvezza: "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12). Che la salvezza si acquista soltanto con la fede in Gesù è un'affermazione costante nel Nuovo Testamento. Proprio quelli che credono in Cristo sono la vera discendenza di Abramo (cf. Rm 9,6-7; Gal 3,29; Gv 8,31-58; Lc 1,55). La benedizione di tutti in Abramo trova il suo significato nella benedizione di tutti in Cristo.

33. Secondo il Vangelo di Matteo, Gesù si è sentito specialmente inviato al popolo di Israele (Mt 15,24; cf. Mt 10,5-6). Queste affermazioni corrispondono alla presentazione propria di Matteo della storia della salvezza: la storia di Israele è orientata al suo compimento in Cristo (cf. Mt 1,22-23; 2,5-6.15.17-18.23) e la perfezione delle promesse divine si realizzerà quando saranno passati il cielo e la terra e tutto sarà compiuto (cf. Mt 5,18).

Tale compimento è già iniziato con gli eventi escatologici della morte (cf. Mt 27,51-53) e della risurrezione (cf. Mt 28,2-4) di Cristo. Gesù però non esclude i gentili dalla salvezza: loda la fede di alcuni di loro, che non si trova in Israele (cf. Mt 8,10; Lc 7,9: il centurione; Mt 15,21-28; Mc 7,24-30: la sirofenicia); verranno da oriente e da occidente a sedersi a mensa nel Regno, mentre i figli del Regno saranno cacciati fuori (Mt 8,11-12; Lc 13,18-29 cf. 11,20-24). Gesù risorto dà agli undici discepoli una missione universale (cf. Mt 28,16-20; Mc 16,15-18; At 1,8). La chiesa primitiva dà inizio subito alla missione presso i gentili, per ispirazione divina (At 10,34). In Cristo non c'è differenza tra ebrei e gentili (Gal 4,24; Col 3,11).

34. In un primo senso, l'universalità dell'opera salvifica di Gesù si fonda sul fatto che il suo messaggio e la sua salvezza sono rivolti a tutti gli uomini e tutti possono accoglierla e riceverla nella fede. Nel Nuovo Testamento però troviamo altri testi che sembrano indicare che il significato di Gesù va oltre e precede in qualche modo l'accoglienza del suo messaggio da parte dei fedeli.

35. Dobbiamo notare anzitutto che ciò che esiste è stato fatto per mezzo di Cristo (cf. 1Cor 8,6; 1,3-10; Eb 1,2). Secondo Col 1,15-20 tutto è stato creato in lui, per mezzo di lui, e tutto si muove verso di lui. Lo stesso testo dimostra che questa causalità di Cristo nella creazione è in relazione con la mediazione salvifica, verso la quale è diretta. Gesù è il primogenito della creazione e il primogenito di coloro che risuscitano dai morti: sembra che nella seconda primogenitura la prima raggiunga il suo pieno significato. La ricapitolazione di tutto in Cristo è l'ultimo disegno di Dio Padre (cf. Ef 1,10).

In tale universalità si distingue il ruolo speciale di Cristo nella chiesa: "Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose" (Ef 1,22-23; cf. Col 1,17). Il parallelismo paolino tra Adamo e Cristo (cf. 1Cor 15,20-22.44-49; Rm 5,12-21) sembra rivolto nella stessa direzione. Se esiste una rilevanza universale del primo Adamo, in quanto primo uomo e primo peccatore, pure Cristo deve avere un significato per tutti, anche se non ne sono chiaramente esplicitati i termini. La vocazione di ogni uomo, che ora porta l'immagine dell'Adamo terrestre, è di diventare immagine dell'Adamo celeste.

36. "(La Parola) era la luce vera, quella che illumina ogni uomo venendo in questo mondo" (Gv 1,9) (2). È Gesù in quanto 'Logos' incarnato colui che illumina tutti gli uomini. Il 'Logos' ha già esercitato la mediazione creatrice, non senza riferimento all'incarnazione e alla salvezza future, e per questo Gesù viene tra i suoi, che non lo accolgono (cf. Gv 1,3-4.10-11). Gesù annuncia un culto a Dio in spirito e verità, che va oltre Gerusalemme e il monte Garizim (cf. Gv 4,21-24), riconosciuto dai samaritani che dichiarano: "Questi è veramente il salvatore del mondo" (Gv 4,42).

37. La mediazione unica di Gesù Cristo è messa in relazione con la volontà salvifica universale di Dio in 1Tm 2,5-6: "Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti". L'unicità del mediatore (cf. anche Eb 8,6; 9,15; 12,24) corrisponde all'unicità del Dio che vuole salvare tutti. Il mediatore unico è 'l'uomo' Cristo Gesù; anche qui si tratta del significato universale di Gesù in quanto è il Figlio di Dio incarnato: è il mediatore tra Dio e gli uomini perché è il Figlio fatto uomo che si è consegnato alla morte in riscatto per tutti.

38. Nel discorso di Paolo all'Areopago (At 17,22-31) appare chiaramente che la conversione a Cristo implica una rottura con il passato. Le religioni hanno condotto di fatto gli uomini all'idolatria. Ma insieme sembra che si riconosca l'autenticità di una ricerca filosofica che, se non è giunta alla conoscenza del vero Dio, non era però su una via completamente sbagliata. La ricerca a tentoni di Dio risponde ai disegni della Provvidenza: sembra avere anche aspetti positivi. C'è una relazione con il Dio di Gesù Cristo anche prima della conversione (cf. At 10,34)? Non c'è un atteggiamento di chiusura del Nuovo Testamento verso tutto quello che non proviene da Gesù Cristo; l'apertura si può manifestare anche ai valori religiosi (cf. Fil 4,8).

39. Il Nuovo Testamento ci mostra insieme l'universalità della volontà salvifica di Dio e il vincolo della salvezza con l'opera redentrice di Gesù Cristo, unico mediatore. Gli uomini raggiungono la salvezza in quanto riconoscono e accettano nella fede Gesù il Figlio di Dio. Questo messaggio è diretto a tutti senza eccezione. Alcuni testi però sembrano insinuare che esiste un significato salvifico di Gesù per ogni uomo, che può arrivare anche a quelli che non lo conoscono. Né una limitazione della volontà salvifica di Dio, né l'ammissione di mediazioni parallele a quella di Gesù, né un'attribuzione di questa mediazione universale al 'Logos' eterno non identificato con Gesù risultano compatibili con il messaggio neotestamentario.

B) Motivi della tradizione raccolti nel recente magistero della chiesa

40. Il significato universale di Cristo è stato espresso in modi diversi nella tradizione della chiesa fin dai tempi più antichi. Scegliamo alcuni temi che hanno trovato eco nei recenti documenti magisteriali, soprattutto nel concilio Vaticano II.

41. I 'semina Verbi'. Fuori dei confini della chiesa visibile, e in concreto nelle diverse religioni, si possono trovare "semi del Verbo"; il motivo si combina spesso con quello della luce che illumina ogni uomo e con quello della preparazione evangelica ('Ad gentes', nn. 11 e 15; 'Lumen gentium', nn. 16-17; 'Nostra aetate', n. 2; Giovanni Paolo II, lett. enc. 'Redemptoris missio', n. 56).

42. La teologia dei semi del Verbo inizia con san Giustino. Di fronte al politeismo del mondo greco, Giustino vede nella filosofia un'alleata del cristianesimo, perché ha seguito la ragione; ma ora questa ragione si trova nella sua totalità soltanto in Gesù Cristo, il 'Logos' in persona. Solamente i cristiani lo conoscono nella sua integrità (3). Di questo 'Logos' però è partecipe tutto il genere umano; perciò da sempre c'è stato chi è vissuto in conformità con il 'Logos', e in questo senso ci sono stati "cristiani", pur avendo essi avuto soltanto una conoscenza parziale del 'Logos' seminale (4). C'è molta differenza tra il seme di una cosa e la cosa stessa; ma in ogni modo la presenza parziale e seminale del 'Logos' è dono e grazia di Dio. Il 'Logos' è il seminatore di questi "semi di verità" (5).

43. Per Clemente Alessandrino l'uomo è razionale in quanto partecipa della vera ragione che governa l'universo, il 'Logos', e ha pieno accesso a questa ragione se si converte e segue Gesù, il 'Logos' incarnato (6). Con l'incarnazione il mondo si è riempito dei semi di salvezza (7). Esiste però anche una semina divina dall'inizio dei tempi, che ha fatto sì che varie parti della verità si trovino tra i greci e tra i barbari, specialmente nella filosofia considerata nel suo insieme (8), anche se insieme alla verità non è mancata la zizzania (9).
La filosofia ha avuto per i greci una funzione simile a quella della legge per gli ebrei: è stata una preparazione per la pienezza di Cristo (10). C'è però una chiara differenza tra l'azione di Dio in questi filosofi e nell'Antico Testamento. D'altra parte, soltanto in Gesù, luce che illumina ogni uomo, si può contemplare il 'Logos' perfetto, la verità intera: i frammenti di verità appartengono al tutto (11).

44. Giustino e Clemente coincidono nel segnalare che questi frammenti della verità totale conosciuti dai greci provengono, almeno in parte, da Mosè e dai profeti, i quali sono più antichi dei filosofi (12). Da loro, secondo i piani della Provvidenza, hanno "rubato" i greci, che non hanno saputo essere riconoscenti per quello che hanno ricevuto (13). Questa conoscenza della verità non è pertanto senza relazione con la rivelazione storica, che troverà la sua pienezza nell'incarnazione di Gesù.

45. Ireneo non usa direttamente l'idea dei semi del Verbo; però sottolinea fortemente che in tutti i momenti della storia il 'Logos' è stato unito agli uomini e li ha accompagnati, in previsione dell'incarnazione (14): con questa, portando se stesso nel mondo, Gesù vi ha portato tutta la novità. La salvezza è legata pertanto all'apparizione di Gesù, anche se questa era stata già annunciata e i suoi effetti in qualche modo erano stati anticipati (15).

46. Il Figlio di Dio si è unito a ogni uomo (cf. 'Gaudium et spes', n. 22; 'Redemptoris missio', n. 6, tra molti altri testi). L'idea si ripete spesso nei padri, che si ispirano ad alcuni testi del Nuovo Testamento. Uno di quelli che hanno dato luogo a tale interpretazione è la parabola della pecora smarrita (cf. Mt 18,12-24; Lc 15,1-7): questa è identificata con il genere umano sviato, che Gesù è venuto a cercare. Assumendo la natura umana, il Figlio ha messo sulle sue spalle l'intera umanità per presentarla al Padre. Così si esprime Gregorio di Nissa: "Questa pecora siamo noi, gli uomini (...), il Salvatore prende sulle spalle la pecora intera, quindi (...), poiché si era perduta tutta intera, tutta intera viene ricondotta. Il pastore la prende sulle sue spalle, cioè nella sua divinità (...).

Avendola presa su di sé, ne fa una cosa sola con sé" (16). Anche Gv 1,14, "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi", è stato interpretato in diverse occasioni nel senso di abitare "dentro di noi", cioè nell'intimo di ogni uomo; dallo stare lui in noi si passa facilmente al nostro stare in lui (17). Contenendoci tutti in sé, può riconciliarci tutti con Dio Padre (18). Nella sua umanità glorificata tutti possiamo trovare la risurrezione e il riposo (19).

47. I padri non dimenticano che tale unione degli uomini con il corpo di Cristo si produce soprattutto nel battesimo e nell'eucaristia. L'unione di tutti in Cristo però, grazie alla sua assunzione della nostra natura, costituisce un presupposto oggettivo a partire dal quale il credente cresce nell'unione personale con Gesù. Il significato universale di Cristo si mostra anche per i primi cristiani nel fatto che libera l'uomo dai principi di questo mondo che lo tengono prigioniero come singolo e come popolo (20).

48. 'La dimensione cristologica dell'immagine'. Secondo il concilio Vaticano II, Gesù è l'"uomo perfetto", seguendo il quale l'uomo si fa più uomo ('Gaudium et spes', n. 41; cf. 'ivi', nn. 22; 38; 45). Indica pure che soltanto 'in mysterio Verbi incarnati mysterium hominis vere clarescit' ('Gaudium et spes', n. 22; 'EV' 1/1385).

Tra gli altri fondamenti di tale affermazione si segnala un testo di Tertulliano, secondo il quale plasmando Adamo con il fango della terra Dio pensava già a Cristo che doveva incarnarsi (21). Già Ireneo aveva segnalato che il Verbo, artefice di tutto, aveva prefigurato in Adamo la futura economia dell'umanità di cui egli stesso si sarebbe rivestito (22). Anche se le interpretazioni patristiche dell'immagine sono molto varie, non si può trascurare questa corrente che vede nel Figlio che deve incarnarsi (e morire, e risuscitare) il modello secondo il quale Dio ha fatto il primo uomo. Se il destino dell'uomo è di portare "l'immagine dell'uomo celeste" (1Cor 15,49), non sembra errato pensare che in ogni uomo ci dev'essere una certa disposizione interiore a questo fine.

NOTE

2Sembra che si debba preferire questa lettura a quella della Volgata: 'omnen hominem venientem in mundum'. La Neovolgata traduce: 'veniens in mundum'.
3Cf. GIUSTINO, 'Apol'. I 5,4; II 6, 7; 7,2-3 (BAC 116; 186s; 268; 269).
4Cf. ID., 'Apol'. I 46, 2-4; II 7, 1-3 (BAC 232s; 269).
5Cf. ID., 'Apol'. I 44, 10; II 10, 2; 13, 2-6 (BAC 230; 272; 276s).
6Cf. CLEMENTE ALESSANDRINO, 'Protr'. I 6, 4; X 98, 4 ('SCh' 2 bis, 60; 166); ID., 'Ped'. I 96, 1 ('SCh' 70, 280).
7Cf. ID., 'Protr'. X 110, 1-3 ('SCh' 2 bis, 178).
8Cf. ID., 'Strom'. I 37, 1-7 ('SCh' 30, 73-74).
9Cf. ID., 'Strom'. VI 67, 2 ('GCS' 15, 465).
10Cf. ID., 'Strom'. I 28, 1-3; 32, 4 ('SCh' 30, 65; 69); VI 153-154 (GCS 15, 510 s).
11ID., 'Strom'. I 56-57 ('SCh' 30, 89-92).
12GIUSTINO, 'Apol'. I 44, 8-9; 59-60 (BAC 116, 230; 247-249).
13CLEMENTE ALESSANDRINO, 'Protr'. VI 70 ('SCh' 2 bis, 135); ID., 'Strom'. I 59-60; 87, 2 ('SCh' 30,93s; 113); II 1, 1 ('SCh' 38, 32s).
14Cf. IRENEO DI LIONE, 'Adv Haer'. III 16, 6; 18, 1 ('SCh' 211, 312; 342); VI 6, 7; 20,4; 28, 2 ('SCh' 100, 454; 634s; 758); V 16, 1 ('SCh' 153, 214); ID., 'Demons'. 12 ('SCh' 406, 100).
15Cf. ID., 'Adv. Haer'. IV 34, 1 ('SCh' 100, 846s).
16GREGORIO DI NISSA, 'Contra Apol'. XVI ('PG' 45, 1.153). Cf. anche IRENEO DI LIONE, 'Adv. Haer'. III 19, 3 ('SCh' 211, 380); V 12, 3 ('SCh' 153, 150); ID., 'Demons'. 33 ('SCh' 406, 130); ILARIO DI POITIERS, 'In Mt'. 18, 6 ('SCh' 258, 80s).
17Cf. ILARIO DI POITIERS, 'Trin'. II 24-25 ('CCL' 62, 605); ATANASIO, 'Contra Ar'. III 25.3.34 ('PG' 26, 376; 393-397); CIRILLO DI ALESSANDRIA, 'In Joh'. I 9; V 2 ('PG' 73, 161; 753). Si potrebbe introdurre qui anche l'idea dello "scambio"; cf. IRENEO DI LIONE, 'Adv. Haer'. V prol. ('SCh' 153, 14), ecc.
18CIRILLO DI ALESSANDRIA, 'In Joh'. I 9 ('PG' 73, 164).
19Cf. ILARIO DI POITIERS, 'Tr. Ps'. 13, 14; 14, 5.17; 51, 3 ('CSEL' 22, 81; 87s; 96; 98).
20Cf. ORIGENE, 'In Luc. hom'. 35 ('GCS' Orig. W. 9, 200s); ID., 'De Princ'. VI 11-12 (Orig. W. 5,339s); AGOSTINO, 'De Civ. Dei' V 13.19 ('CCL' 47, 146-148; 154-156).
21TERTULLIANO, 'De carnis res'. ('De res. mort'.) 6 ('CCL' 2, 928; citato in 'Gaudium et spes', n. 22, nota 20): "Quodcumque enim limus exprimebatur, Christus cogitabatur, homo futurus"; e subito dopo si aggiunge: "Id utique quod finxit, ad imaginem Dei fecit illum, scilicet Christi (...). Ita limus ille, iam tunc imaginem induens Christi futuri in carne, non tantum Dei opus erat, sed et pignus". Lo stesso in ID., 'Adv. Prax'. XII 4 ('CCL' 2, 1.173).
22IRENEO DI LIONE, 'Adv. Haer'. III 22, 3 ('SCh' 211, 438).

C) Conclusioni

49. a) Gli uomini possono salvarsi soltanto in Gesù, e perciò il cristianesimo ha una chiara pretesa di universalità. Il messaggio cristiano è pertanto diretto a tutti gli uomini e a tutti dev'essere annunciato.

b) Alcuni testi del Nuovo Testamento e della tradizione più antica lasciano intravedere un significato universale di Cristo che non si riduce a quello che abbiamo appena ricordato.

Con la sua venuta nel mondo Gesù illumina ogni uomo, egli è l'ultimo e definitivo Adamo al quale tutti sono chiamati a conformarsi, ecc. La presenza universale di Gesù appare in forma più elaborata nell'antica dottrina del 'Logos spermatikos'. Ma anche qui si distingue chiaramente tra la piena apparizione del 'Logos' in Gesù e la presenza dei suoi semi in quelli che non lo conoscono. Questa presenza, pur essendo reale, non esclude l'errore né la contraddizione

23-Oltre ai testi già citati, cf. AGOSTINO, 'Ep'. 137, 12 ('PL' 33, 520s); ID., 'Retr'. I 13, 3 ('PL' 32, 603).. A partire dalla venuta di Gesù nel mondo, e soprattutto a partire dalla sua morte e risurrezione, si comprende il senso ultimo della vicinanza del Verbo a tutti gli uomini. Gesù porta a compimento la storia intera (cf. 'Gaudium et spes', nn. 10 e 45).

c) Se la salvezza è legata all'apparizione storica di Gesù, per nessuno può essere indifferente l'adesione personale a lui nella fede. Soltanto nella chiesa, che è in continuità storica con Gesù, si può vivere pienamente il suo mistero. Di qui la necessità ineludibile dell'annuncio di Cristo da parte della chiesa.

d) Altre possibilità di "mediazione" salvifica non possono mai considerarsi separate dall'uomo Gesù, l'unico mediatore.

Sarà più difficile determinare come entrano in relazione con Gesù gli uomini che non lo conoscono e le religioni; ma bisogna ricordare le vie misteriose dello Spirito, che dà a tutti la possibilità di essere associati al mistero pasquale ('Gaudium et spes', n. 22), e la cui opera non può non riferirsi a Cristo ('Redemptoris missio', n. 29). Nel contesto dell'azione universale dello Spirito di Cristo si deve porre la questione del valore salvifico delle religioni in quanto tali.

e) Essendo Gesù l'unico mediatore, che porta a compimento il disegno salvifico dell'unico Dio Padre, la salvezza è unica ed è la stessa per tutti gli uomini: la piena conformazione a Gesù e la comunione con lui nella partecipazione alla sua filiazione divina. Perciò si deve escludere l'esistenza di economie diverse per quelli che credono in Gesù e per quelli che non credono in lui. Non ci possono essere vie per andare a Dio che non confluiscano nell'unica via che è Cristo (cf. Gv 14,6).

II.3. L'UNIVERSALITÀ DELLO SPIRITO SANTO

50. L'universalità dell'azione salvifica di Cristo non si può comprendere senza l'azione universale dello Spirito Santo.

Il dono dello Spirito è il dono di Gesù risorto e salito al cielo alla destra del Padre (At 2,32; cf. Gv 14,15.26; 15,26; 16,7; 20,22)

56. La chiesa è il luogo privilegiato dell'azione dello Spirito. ... È nota l'espressione di Ireneo: "Dov'è lo Spirito del Signore, lì c'è la chiesa; e dov'è la chiesa, c'è lo Spirito del Signore e ogni grazia" .

61. L'ambito privilegiato dell'azione dello Spirito è la chiesa, corpo di Cristo; ma tutti i popoli sono chiamati, in vari modi, all'unità del popolo di Dio che lo Spirito promuove ...lo Spirito è dono di Gesù e conduce a lui, anche se la via concreta per la quale conduce gli uomini è nota soltanto a Dio.

Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale, e alla quale in vario modo appartengono e sono ordinati ... tutti gli uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza" .

50. L'universalità dell'azione salvifica di Cristo non si può comprendere senza l'azione universale dello Spirito Santo. Un primo elemento di tale universalità dell'opera dello Spirito si incontra già nella creazione. L'Antico Testamento ci mostra lo Spirito di Dio sopra le acque (Gen 1,2); e il libro della Sapienza (1,7) segnala che "lo Spirito del Signore riempie l'universo e, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce".

51. Se questo si può dire di tutto l'universo, vale specialmente per l'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, secondo Gen 1,26-27. Dio crea l'uomo per essere presente in lui, per avere in lui la sua dimora; guardare qualcuno con benevolenza, essere unito a lui, vuol dire essere suo amico.

Così si può parlare di amicizia originale ('amicitia originalis') dell'uomo con Dio e di Dio con l'uomo (conc. Trid., sess. VI, cap. 7- Denz.-Schönm. 1528- ) come frutto dell'azione dello Spirito. La vita in generale e quella dell'uomo in particolare è messa in relazione più o meno esplicita con lo Spirito di Dio in vari passi dell'Antico Testamento (cf. Sal 104,29-30; Gb 34,14-15; Qo 12,7).

Giovanni Paolo II mette in relazione con la comunicazione dello Spirito la creazione dell'uomo a immagine di Dio e nell'amicizia divina (cf. Giovanni Paolo II, lett. enc. 'Dominum et vivificantem', nn. 12 e 34).

52. La tragedia del peccato consiste nel fatto che, invece della vicinanza tra Dio e l'uomo, viene la distanza. Lo spirito delle tenebre ha presentato Dio come nemico dell'uomo, come minaccia (cf. Gen 3,4-5; 'Dominum et vivificantem', n. 38).

Ma Dio si è avvicinato all'uomo mediante le diverse alleanze di cui ci parla l'Antico Testamento. L'immagine e la somiglianza significano fin dall'inizio capacità di relazione personale con Dio e, quindi, capacità di alleanza. Così Dio si è avvicinato gradualmente agli uomini, mediante le diverse alleanze, con Noè (cf. Gen 7,1ss), con Abramo e con Mosè, dei quali Dio si è fatto amico (Gc 2,23; Es 33,11).

53. Nella nuova alleanza Dio si è avvicinato così tanto all'uomo che ha inviato il suo Figlio nel mondo, incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della vergine Maria. La nuova alleanza, diversamente dalla precedente, non è della lettera ma dello Spirito (2Cor 3,6). È l'alleanza nuova e universale, l'alleanza dell'universalità dello Spirito. L'universalità vuol dire 'versus unum' ("verso uno"). La stessa parola "spirito" vuol dire movimento, e questo include il "verso", la direzione. Lo Spirito è chiamato 'dynamis' (At 1,8), e la 'dynamis' include la possibilità di una direzione. Dalle parole di Gesù sullo Spirito paraclito si deduce che l'"essere verso" si riferisce a Gesù.

54. La stretta connessione tra lo Spirito e Cristo si manifesta nell'unzione di Gesù: Gesù Cristo significa precisamente che Gesù è l'unto di Dio con l'unzione che è lo Spirito: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha unto..." (Lc 4,16; Is 61,1-2). Dio ha unto Gesù "in Spirito Santo e potenza", e così "passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo" (At 10,38). Come dice Ireneo: "Nel nome di Cristo si sottintende colui che unge, colui che è unto e la stessa unzione con cui è unto. Colui che unge è il Padre, l'unto è il Figlio, nello Spirito che è l'unzione. Come dice la Parola per mezzo di Isaia: "Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione" (Is 61,1-2), indicando il Padre che unge, il Figlio unto e l'unzione che è lo Spirito" (24).

55. L'universalità dell'alleanza dello Spirito è pertanto quella dell'alleanza in Gesù. Egli si è offerto al Padre in virtù dello Spirito eterno (Eb 9,14), nel quale è stato unto. Questa unzione si estende al Cristo totale, ai cristiani unti con lo Spirito e alla chiesa. Già Ignazio di Antiochia indicò che Gesù ricevette l'unguento "per infondere incorruttibilità nella sua chiesa" (25).

Gesù è stato unto nel Giordano, secondo Ireneo, "perché noi fossimo salvati ricevendo l'abbondanza della sua unzione" (26). Gregorio di Nissa ha espresso questo con un'immagine profonda e bella: "La nozione di unzione suggerisce (...) che non c'è nessuna distinzione tra il Figlio e lo Spirito. Infatti, come tra la superficie del corpo e l'unzione con l'olio né la ragione né i sensi conoscono intermediari, così è immediato il contatto del Figlio con lo Spirito; perciò chi sta per entrare in contatto con il Figlio mediante la fede, deve necessariamente entrare prima in contatto con l'olio.

Nessuna parte è priva dello Spirito Santo" (27). Il Cristo totale include in un certo senso ogni uomo, poiché Cristo si è unito a tutti gli uomini ('Gaudium et spes', n. 22). Lo stesso Gesù dice: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

56. La chiesa è il luogo privilegiato dell'azione dello Spirito. In essa, corpo di Cristo, lo Spirito suscita i diversi doni per l'utilità comune (cf. 1Cor 12,4-11). È nota l'espressione di Ireneo: "Dov'è lo Spirito del Signore, lì c'è la chiesa; e dov'è la chiesa, c'è lo Spirito del Signore e ogni grazia" (28). E san Giovanni Crisostomo: "Se lo Spirito Santo non fosse presente, non esisterebbe la chiesa; se la chiesa esiste, è un chiaro segno della presenza dello Spirito" (29).

57. Alcuni testi del Nuovo Testamento sembrano insinuare la portata universale dell'azione dello Spirito, sempre in relazione con la missione evangelizzatrice della chiesa che deve giungere a tutti gli uomini. Lo Spirito Santo precede e guida la predicazione, è all'origine della missione ai pagani (At 10,19.44-47). Il superamento del peccato di Babele avverrà nello Spirito.

Diversamente dal tentativo dei costruttori della torre di Babele, che con i loro sforzi vogliono arrivare al cielo, la dimora di Dio, ora lo Spirito Santo scende dal cielo come un dono e dà la possibilità di parlare tutte le lingue e di ascoltare, ciascuno nella propria lingua, le grandezze di Dio (cf. At 2,1-11). La torre di Babele era uno sforzo per realizzare l'unità senza l'universalità: "Facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra" (Gen 11,4).

La Pentecoste fu il dono dell'universalità nell'unità: "Essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi" (At 2,4). Nel dono dello Spirito di Pentecoste si deve vedere anche il compimento dell'alleanza del Sinai (cf. Es 19,1ss), che diventa così universale.

58. Il dono dello Spirito è il dono di Gesù risorto e salito al cielo alla destra del Padre (At 2,32; cf. Gv 14,15.26; 15,26; 16,7; 20,22): questo è un insegnamento costante nel Nuovo Testamento. La stessa risurrezione di Gesù si realizza con l'intervento dello Spirito (cf. Rm 1,4; 8,11). Lo Spirito Santo ci è dato come Spirito di Cristo, Spirito del Figlio (cf. Rm 8,9; Gal 4,6; Fil 1,19; At 16,7).

Perciò non si può pensare un'azione universale dello Spirito che non sia in relazione con l'azione universale di Gesù: i padri continuamente lo hanno messo in rilievo (30). Soltanto con l'azione dello Spirito noi uomini possiamo essere resi conformi all'immagine di Gesù risorto, nuovo Adamo, nel quale l'uomo acquista definitivamente la dignità a cui era chiamato fin dalle origini: "E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito" (2Cor 3,18).

L'uomo, che è stato creato a immagine di Dio, con la presenza dello Spirito è rinnovato a immagine di Dio (o di Cristo) secondo l'azione dello Spirito. Il Padre è il pittore; il Figlio è il modello secondo il quale l'uomo viene dipinto; lo Spirito Santo è il pennello con il quale viene dipinto l'uomo nella creazione e nella redenzione.

59. Perciò lo Spirito Santo conduce a Cristo. Lo Spirito Santo dirige tutti gli uomini verso Cristo, l'unto; Cristo, a sua volta, li dirige verso il Padre. Nessuno va al Padre se non attraverso Gesù, perché egli è la via (Gv 14,6); però è lo Spirito Santo che guida i discepoli alla verità intera (Gv 16,12-13). La parola "guiderà" ('hodegesei') include la via ('hodos'): quindi lo Spirito guida per la via che è Gesù, il quale conduce al Padre. Perciò nessuno può dire "Gesù è il Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo (1Cor 12,3).

E la terminologia del Paraclito usata da Giovanni ci indica che lo Spirito è l'avvocato nel giudizio che cominciò in Gerusalemme e continua nella storia. Lo Spirito paraclito difenderà Gesù dalle accuse che gli sono rivolte nei suoi discepoli (cf. Gv 16,8-11). Lo Spirito Santo è così il testimone di Cristo, e grazie a lui possono esserlo i discepoli: "Egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio" (Gv 15,26-27).

60. Perciò lo Spirito è dono di Gesù e conduce a lui, anche se la via concreta per la quale conduce gli uomini è nota soltanto a Dio. Il Vaticano II lo ha formulato chiaramente: "Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale" (Vaticano II, cost. past. 'Gaudium et spes' sulla chiesa nel mondo contemporaneo, n. 22).


Non ha senso affermare un'universalità dell'azione dello Spirito che non si trovi in relazione con il significato di Gesù, il Figlio incarnato, morto e risorto. Invece in virtù dell'opera dello Spirito tutti gli uomini possono entrare in relazione con Gesù, che visse, morì e risuscitò in un luogo e in un tempo concreti. D'altra parte l'azione dello Spirito non si limita alle dimensioni intime e personali dell'uomo, ma si estende anche a quelle sociali: "Questo Spirito è lo stesso che ha operato nell'incarnazione, nella vita, morte e risurrezione di Gesù e opera nella chiesa.

Non è, dunque, alternativo a Cristo, né riempie una specie di vuoto, come talvolta si ipotizza esserci tra Cristo e il 'Logos'. Quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un valore di preparazione evangelica e non può non avere riferimento a Cristo" (Giovanni Paolo II, lett. enc. 'Redemptoris missio', 7.12.1990, n. 29).

61. L'ambito privilegiato dell'azione dello Spirito è la chiesa, corpo di Cristo; ma tutti i popoli sono chiamati, in vari modi, all'unità del popolo di Dio che lo Spirito promuove: "Questo carattere di universalità che adorna e distingue il popolo di Dio, è dono dello stesso Signore, e con esso la chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell'unità del suo Spirito. (...) Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale, e alla quale in vario modo appartengono e sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza" (Vaticano II, cost. dogm. 'Lumen gentium' sulla chiesa, n. 13).

È la stessa universalità dell'azione salvifica di Cristo e dello Spirito che conduce a interrogarsi sulla funzione della chiesa come sacramento universale di salvezza.

24-IRENEO DI LIONE, 'Adv Haer'. III 18, 3 ('SCh' 211, 350-352). Ripetono quasi alla lettera questa idea BASILIO DI CESAREA, 'De Spiritu Sancto' XII, 28 ('SCh' 17 bis, 344) e AMBROGIO DI MILANO, 'De Spiritu Sancto' I 3, 44 ('CSEL' 79, 33).
25IGNAZIO DI ANTIOCHIA, 'Ad Ephesios' 17, 1 ('SCh' 10,86).
26IRENEO DI LIONE, 'Adv. Haer'. III 9, 3 ('SCh' 211, 112). Secondo lo stesso Ireneo, lo Spirito scende su Gesù per "abituarsi" ad abitare nel genere umano, 'ivi', 17, 1 (330).
27GREGORIO DI NISSA, 'De Spiritu Sancto contra Macedonianos' 16 ('PG' 45, 1.321 A-B).
28IRENEO DI LIONE, 'Adv Haer'. III 24, 1 ('SCh' 211, 474).
29GIOVANNI CRISOSTOMO, 'Hom. Pent'. I 4 ('PG' 49, 459).
30Ad esempio, IRENEO DI LIONE, 'Adv Haer' III 17, 2 ('SCh' 211, 334): "(...) Dominus accipiens munus a Patre ipse quoque his donavit qui ex ipso participantur, in universam terram mittens Spiritum Sanctum"; ILARIO DI POITIERS, 'Tr. ps'. 56, 6 ('CSEL' 22, 172): "Et quia exaltatus super caelos impleturus esset in terris omnia sancti spiritus gloria, subiecit: 'et super omnem terram gloria tua' (Sal 57,6.12). Cum effusum super omnem carnem spiritus donum gloriam exaltati super coelos domini protestaretur".

II.4. "ECCLESIA, UNIVERSALE SALUTIS SACRAMENTUM"

63. La questione principale non è oggi se gli uomini possano raggiungere la salvezza anche se non appartengono alla chiesa cattolica visibile: questa possibilità è considerata come teologicamente certa.  La questione è se la Chiesa è necessria o no alla salvezza.

65. Si parla della necessità della chiesa per la salvezza in due sensi: --la necessità dell'appartenenza alla chiesa per quelli che credono in Gesù,
-- e la necessità, per la salvezza, del ministero della chiesa che, per incarico di Dio, dev'essere al servizio della venuta del regno di Dio.

La chiesa è un aiuto generale per la salvezza (Denz 3867-3869): nel caso di un'ignoranza invincibile, basta il desiderio implicito di appartenere alla chiesa, e questo desiderio è sempre presente quando un uomo aspira a conformare la sua volontà a quella di Dio .

Il mistero della chiesa di Cristo è una realtà dinamica nello Spirito Santo. Anche se a questa unione spirituale manca l'espressione visibile dell'appartenenza alla chiesa, i non cristiani giustificati sono inclusi nella chiesa "corpo mistico di Cristo" e "comunità spirituale"...

... non saranno invece salvati quelli che appartengono soltanto "al corpo" ma non "al cuore" della chiesa, perché non hanno perseverato nell'amore.

Ciò non toglie che i non cristiani che non sono colpevoli di non appartenere alla chiesa entrino nella comunione dei chiamati al regno di Dio praticando l'amore per Dio e per il prossimo; questa comunione si rivelerà come 'Ecclesia universalis' nel compimento del regno di Dio e di Cristo.

62. Non si può sviluppare una teologia delle religioni senza tener conto della missione salvifica universale della chiesa, attestata dalla Sacra Scrittura e dalla tradizione di fede della chiesa. La valutazione teologica delle religioni fu impedita per molto tempo a causa del principio 'extra Ecclesiam nulla salus', (=non c'è salvezza fuori dalla Chiesa) inteso in senso esclusivista.

Con la dottrina sulla chiesa come 'sacramento universale di salvezza' o 'sacramento del regno di Dio', la teologia cerca di rispondere alla nuova impostazione del problema. Questo insegnamento, che fu accolto anche dal concilio Vaticano II, si collega con la visione sacramentale della chiesa nel Nuovo Testamento.

63. La questione principale non è oggi se gli uomini possano raggiungere la salvezza anche se non appartengono alla chiesa cattolica visibile: questa possibilità è considerata come teologicamente certa.

La pluralità delle religioni, di cui i cristiani sono sempre più coscienti, una migliore conoscenza di queste religioni e il necessario dialogo con esse, senza tralasciare in ultimo luogo una più chiara coscienza delle frontiere spaziali e temporali della chiesa, ci pongono la questione se si possa ancora parlare della necessità della chiesa per la salvezza, e se questo principio sia compatibile con la volontà salvifica universale di Dio.

A) "Extra Ecclesiam nulla salus"

64. Gesù ha unito l'annuncio del regno di Dio con la sua chiesa. Dopo la morte e la risurrezione di Gesù si ricompose l'unione del popolo di Dio, nel nome di Gesù Cristo. La chiesa degli ebrei e dei gentili fu intesa come un'opera di Dio e come la comunità nella quale si sperimenta l'azione del Signore elevato al cielo e del suo Spirito.

Alla fede in Gesù Cristo, mediatore universale della salvezza, si unisce il battesimo nel suo nome, come mediazione per partecipare alla sua morte redentrice, per ricevere il perdono dei peccati e per entrare nella comunità di salvezza (cf. Mc 16,16; Gv 3,5). Perciò il battesimo è paragonato all'arca salvatrice (1Pt 3,20-21). Secondo il Nuovo Testamento la necessità della chiesa per la salvezza si fonda sull'unica mediazione salvifica di Gesù Cristo.

65. Si parla della necessità della chiesa per la salvezza in due sensi: la necessità dell'appartenenza alla chiesa per quelli che credono in Gesù, e la necessità, per la salvezza, del ministero della chiesa che, per incarico di Dio, dev'essere al servizio della venuta del regno di Dio.

66. Nell'enciclica 'Mystici corporis' Pio XII affronta la questione della relazione con la chiesa di quelli che raggiungono la salvezza fuori della comunione visibile con essa, e dice che questi sono ordinati al corpo mistico di Cristo attraverso un non consapevole anelito e desiderio (Denz 3821).

L'opposizione del gesuita americano Leonard Feeney, che insiste nella sua interpretazione esclusivistica della frase 'extra Ecclesiam nulla salus', dà occasione alla lettera del sant'Uffizio all'arcivescovo di Boston dell'8 agosto 1949, la quale respinge l'interpretazione di Feeney e precisa l'insegnamento di Pio XII. La lettera distingue tra la necessità dell'appartenenza alla chiesa per la salvezza ('necessitas praecepti') e la necessità dei mezzi indispensabili per la salvezza ('intrinseca necessitas').

Riguardo a tali mezzi, la chiesa è un aiuto generale per la salvezza (Denz 3867-3869): nel caso di un'ignoranza invincibile, basta il desiderio implicito di appartenere alla chiesa, e questo desiderio è sempre presente quando un uomo aspira a conformare la sua volontà a quella di Dio (Denz 3870). La fede però, nel senso di Eb 11,6, e l'amore sono sempre necessari con necessità intrinseca (Denz 3872).

67. Il concilio Vaticano II fa sua la frase 'extra Ecclesiam nulla salus', ma con essa si rivolge esplicitamente ai cattolici e ne limita la validità a coloro che conoscono la necessità della chiesa per la salvezza. Il concilio osserva che l'asserto si fonda sulla necessità della fede e del battesimo affermata da Cristo ('Lumen gentium', n. 14). In tal modo il concilio si colloca in continuità con l'insegnamento di Pio XII, però mette in rilievo più chiaramente il carattere parenetico originale di questa frase.

68. A differenza di Pio XII, il concilio rinuncia a parlare di 'votum implicitum' e applica il concetto di 'votum' soltanto al desiderio esplicito dei catecumeni di appartenere alla chiesa ('Lumen gentium', n. 14). Dei non cristiani si dice che, in modo diverso, sono ordinati al popolo di Dio. Secondo i vari modi in cui la volontà salvifica di Dio abbraccia i non cristiani, il concilio distingue quattro gruppi: in primo luogo gli ebrei; in secondo luogo i musulmani; in terzo luogo quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e non conoscono la chiesa, ma cercano Dio con cuore sincero e si sforzano di compiere la sua volontà conosciuta attraverso la coscienza; in quarto luogo quelli che, senza colpa, non sono ancora giunti a conoscere espressamente Dio, ma ciò nonostante si sforzano di condurre una vita retta ('Lumen gentium', n. 16).

69. I doni che Dio offre a tutti gli uomini per condurli alla salvezza si fondano, secondo il concilio, sulla sua volontà salvifica universale ('Lumen gentium', nn. 2.3.16; 'Ad gentes', n. 7). L'affermazione che anche i non cristiani sono ordinati al popolo di Dio si fonda sul fatto che la chiamata universale alla salvezza include la vocazione di tutti gli uomini all'unità cattolica del popolo di Dio ('Lumen gentium', n. 13). Il concilio osserva che l'intima relazione delle due vocazioni si fonda sull'unica mediazione di Cristo, che si rende presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la chiesa ('Lumen gentium', n. 14).

70. Così si restituisce alla frase 'extra Ecclesiam nulla salus' il suo senso originale: esortare alla fedeltà i membri della chiesa (31). Questa frase, integrata all'interno di quella più generale 'extra Christum nulla salus', non è più in contraddizione con la chiamata di tutti gli uomini alla salvezza.

B) "Paschali mysterio consociati"

71. La costituzione dogmatica sulla chiesa 'Lumen gentium' parla di un "ordinamento" graduale alla chiesa dal punto di vista della chiamata universale alla salvezza, che include la chiamata alla chiesa. Invece la costituzione pastorale 'Gaudium et spes' apre una più ampia prospettiva cristologica, pneumatologica e soteriologica. Quello che si dice dei cristiani vale anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cuore dei quali opera in modo invisibile la grazia. Anche questi, mediante lo Spirito Santo, possono essere associati al mistero pasquale e quindi possono essere assimilati alla morte di Cristo e andare incontro alla risurrezione ('Gaudium et spes', n. 22).

72. Quando i non cristiani, giustificati mediante la grazia di Dio, sono associati al mistero pasquale di Gesù Cristo, lo sono pure al mistero del suo corpo, che è la chiesa. Il mistero della chiesa di Cristo è una realtà dinamica nello Spirito Santo. Anche se a questa unione spirituale manca l'espressione visibile dell'appartenenza alla chiesa, i non cristiani giustificati sono inclusi nella chiesa "corpo mistico di Cristo" e "comunità spirituale" ('Lumen gentium', n. 8). In questo senso i padri della chiesa possono dire che i non cristiani giustificati appartengono alla 'ecclesia ab Abel'. Mentre questi sono riuniti nella chiesa universale con il Padre ('Lumen gentium', n. 2), non saranno invece salvati quelli che appartengono soltanto "al corpo" ma non "al cuore" della chiesa, perché non hanno perseverato nell'amore ('Lumen gentium', n. 14).

73. Perciò si può parlare non soltanto di un "ordinamento" alla chiesa dei non cristiani giustificati, ma anche di un loro vincolo col mistero di Cristo e del suo corpo, la chiesa. Non si dovrebbe però parlare di appartenenza e neppure di graduale appartenenza alla chiesa, o di una comunione imperfetta con la chiesa, riservata ai cristiani non cattolici ('Unitatis redintegratio', n. 3; 'Lumen gentium', n. 15); la chiesa infatti per sua essenza è una realtà complessa, costituita dall'unione visibile e dalla comunione spirituale. Ciò non toglie che i non cristiani che non sono colpevoli di non appartenere alla chiesa entrino nella comunione dei chiamati al regno di Dio praticando l'amore per Dio e per il prossimo; questa comunione si rivelerà come 'Ecclesia universalis' nel compimento del regno di Dio e di Cristo.

C) "Universale salutis sacramentum"

74. Quando si partiva dal presupposto che tutti gli uomini venivano a contatto con la chiesa, la necessità di questa per la salvezza era intesa soprattutto come necessità di appartenere a essa. Da quando la chiesa ha preso coscienza della sua condizione di minoranza, sia diacronicamente sia sincronicamente, è venuta in primo piano la necessità della funzione salvifica universale della chiesa. Questa missione universale e questa efficacia sacramentale in ordine alla salvezza hanno trovato espressione teologica nella qualifica della chiesa come sacramento universale di salvezza. Come tale la chiesa è al servizio della venuta del regno di Dio, nell'unione di tutti gli uomini con Dio e nell'unità degli uomini tra loro ('Lumen gentium', n. 1).

75. Dio si è rivelato di fatto come amore non soltanto perché fin d'ora ci fa partecipare al regno di Dio e ai suoi frutti, ma anche perché ci chiama e ci libera per collaborare alla venuta del suo Regno. Così la chiesa è non soltanto segno, ma anche strumento del regno di Dio che irrompe con forza. La chiesa compie la sua missione come sacramento universale con la 'martyria', la 'leiturgia' e la 'diakonia'.

76. Attraverso la 'martyria' del Vangelo della redenzione universale portata a compimento da Gesù Cristo, la chiesa annuncia a tutti gli uomini il mistero pasquale di salvezza che viene offerto loro e del quale già vivono senza saperlo. Come sacramento universale di salvezza, la chiesa è essenzialmente una chiesa missionaria. Infatti Dio, nel suo amore, non soltanto ha chiamato gli uomini a raggiungere la salvezza finale in comunione con lui; ma appartiene alla piena vocazione dell'uomo che la sua salvezza non si realizzi nel servizio delle cose che sono "ombra delle future" (Col 2,17), bensì nella piena conoscenza della verità, nella comunione del popolo di Dio e nell'attiva collaborazione per la venuta del suo Regno, rafforzato dalla sicura speranza nella fedeltà di Dio ('Ad gentes', nn. 1-2).

77. Nella 'leiturgia', celebrazione del mistero pasquale, la chiesa compie la sua missione di servizio sacerdotale in rappresentanza di tutta l'umanità. Questa rappresentanza, secondo la volontà di Dio, è efficace per tutti gli uomini e rende presente Cristo, che "Dio trattò da peccato in nostro favore" (2Cor 5,21) e che al nostro posto fu appeso al legno (Gal 3,13) per liberarci dal peccato ('Lumen gentium', n. 10). Infine nella 'diakonia' la chiesa dà testimonianza del dono amorevole di Dio agli uomini e dell'irruzione del Regno di giustizia, di amore e di pace.

78. Alla missione della chiesa come sacramento universale di salvezza appartiene pure "che ogni germe di bene che si trova nel cuore e nella mente degli uomini, o nei riti e culture propri dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e perfezionato" ('Lumen gentium', n. 17).

Infatti l'azione dello Spirito precede, a volte anche visibilmente, l'attività apostolica della chiesa ('Ad gentes', n. 4), e la sua azione si può manifestare pure nella ricerca e nell'inquietudine religiosa degli uomini. Il mistero pasquale, nel quale tutti gli uomini possono essere incorporati nel modo che Dio conosce, è la realtà salvifica che abbraccia tutta l'umanità, che unisce preventivamente la chiesa con i non cristiani a cui si rivolge e ai quali ha sempre il dovere di trasmettere la rivelazione. Nella misura in cui la chiesa riconosce, discerne e fa proprio quanto di vero e di buono lo Spirito Santo ha operato nelle parole e nelle azioni dei non cristiani, diventa sempre più la vera chiesa cattolica, "che parla tutte le lingue e tutte le lingue nell'amore intende e comprende, superando così la dispersione babelica" ('Ad gentes', n. 4).

79. "Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo di fatto tutti gli uomini e apparendo talora come piccolo gregge, costituisce per tutta l'umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui preso per essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo" ('Lumen gentium', n. 9).

31 Cf. ORIGENE, 'In Jesu Nave' 3, 5 ('SCh' 71, 142ss); CIPRIANO, 'De cath. unit'. 6 ('CSEL' 3\1, 214s); ID., 'Ep'. 73, 21 ('CSEL' 3\2, 795).

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