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"Il dialogo interreligioso come via della pace".
Discorso del Cardinal Bertone all'inaugurazione del Corso per Diplomatici della Gregoriana
07-05-2007-

Reverendissimi Padri,
Illustri Autorità,
Signori e Signore,


desidero rivolgere un deferente saluto agli organizzatori e ai partecipanti al presente Corso per diplomatici dei Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente dal titolo "La Chiesa cattolica e la politica internazionale della Santa Sede". In particolare ringrazio il Rev.do Padre Franco Imoda, Presidente della Fondazione "La Gregoriana", nella sua qualità di Presidente del Corso, e il Prof. Roberto Papini, Segretario Generale dell’Istituto internazionale "Jacques Maritain", quale Direttore esecutivo del Corso stesso. Un riconoscente pensiero anche al Rev.do Padre Gianfranco Ghirlanda, Rettore Magnifico della Pontificia Università Gregoriana che ci ospita. A tutti voi, infine, rivolgo un cordiale e amichevole saluto. Questa iniziativa, che vede coinvolte prestigiose istituzioni, appare quanto mai opportuna nell’attuale contesto storico per far conoscere, in modo adeguato, il pensiero e l’attività della Chiesa cattolica a esponenti qualificati del mondo musulmano. La conoscenza vicendevole è in effetti il primo e necessario passo per assicurare uno sviluppo armonico del dialogo e una collaborazione duratura e proficua.

L’argomento che mi è stato assegnato - "Il dialogo interreligioso come via della pace" - è stimolante e quanto mai attuale nella ricerca del dialogo tra le religioni nonché per le future prospettive mondiali. Per questo, al dialogo la Santa Sede riserva costante e sincero interesse. Lo ha affermato con chiarezza il Santo Padre Benedetto XVI nell’incontro con i rappresentanti di alcune comunità musulmane, a Colonia il 20 agosto 2005. "Il dialogo religioso e interculturale – ha egli detto - fra cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta stagionale. Esso è una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro". Qui consideriamo il dialogo religioso al servizio della pace. Com’è noto, la ricerca della pace sta molto a cuore alla Santa Sede. Mi limiterò a menzionare alcuni espliciti riferimenti a questo tema contenuti nei Messaggi che da oltre 30 anni il Papa, in occasione della Giornata Mondiale della Pace, invia ai Capi di Stato, ai cattolici e agli uomini di buona volontà.

1. Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo

Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace dell’anno 1983 aveva per tema: "Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo". In esso il venerato Pontefice Giovanni Paolo II si diceva profondamente convinto che il dialogo - il vero dialogo - è condizione essenziale per la pace e notava: "Sì, questo dialogo è necessario; non è solamente opportuno; è difficile, ma è possibile, nonostante gli ostacoli che il realismo ci deve far prendere in considerazione. Esso costituisce, dunque, una vera sfida, che io vi invito a raccogliere" (Insegnamenti G.P.II, 1982/III, p. 1542). Ed aggiungeva che un vero dialogo "suppone la ricerca di ciò che è vero, buono e giusto per ogni uomo, per ogni gruppo e ogni società" (Op. cit., p. 1545). Il dialogo perciò esige una reale apertura ed accoglienza, nel rispetto e nella comprensione della differenza e della specificità dell'altro. Il dialogo, nello stesso tempo, è ricerca di ciò che è, e resta comune agli uomini, anche in mezzo a tensioni, opposizioni e conflitti. Insomma, il vero dialogo è ricerca del bene con mezzi pacifici; è un riconoscimento della dignità inalienabile degli uomini e poggia sul rispetto della vita umana.

2. Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della pace

Nel 2001, il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace aveva invece come tema il "Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della pace". Proponendo un’analisi condivisa sul dialogo tra le differenti culture e le tradizioni dei popoli, il Santo Padre indicava nel dialogo la via necessaria per l’edificazione di un mondo riconciliato, capace di guardare con serenità al proprio futuro. La cultura – egli notava - è espressione qualificata dell’uomo e della sua vicenda storica. Essere uomo significa necessariamente esistere in una determinata cultura. Se pertanto è importante, da un lato, riuscire ad apprezzare i valori della propria cultura, dall'altro occorre avere consapevolezza che ogni cultura, essendo un prodotto tipicamente umano e storicamente condizionato, implica necessariamente anche dei limiti. Perché il senso di appartenenza culturale non si trasformi in chiusura, un antidoto efficace è la conoscenza serena, non condizionata da pregiudizi negativi, delle altre culture (cfr n. 7) (Insegnamenti G.P.II, 2000/II, p. 1066-1067<). Possiamo così affermare, come recentemente ribadito da S. Ecc. Francesco Follo alla 176° Sessione del Consiglio Esecutivo dell’UNESCO, che se le diverse culture sono segnate da interpretazioni differenti della realtà, esse stesse si connettono insieme, in profondità, nell’esperienza fondamentale della condizione umana, intorno a domande sulla nascita e sulla morte, sul lavoro, la malattia, l’ingiustizia sociale, la salvaguardia del nostro pianeta.

In questa chiave, il dialogo tra le culture emerge come un’esigenza intrinseca alla natura stessa dell’uomo e della cultura; esso porta a riconoscere la ricchezza della diversità disponendo gli animi alla reciproca accettazione, nella prospettiva di un'autentica collaborazione, rispondente all'originaria vocazione all'unità dell'intera famiglia umana. Come tale, il dialogo è strumento eminente per realizzare la civiltà dell'amore e della pace che il Papa Paolo VI indicava come l'ideale a cui ispirare la vita culturale, sociale, politica ed economica del nostro tempo.

Di fronte alle crescenti disuguaglianze nel mondo, il primo valore comune di cui promuovere una consapevolezza sempre maggiore è certamente quello della solidarietà. Ma al cuore di un'autentica cultura della solidarietà si pone la promozione della giustizia, strettamente collegata con il valore della pace, obiettivo primario di ogni società e patrimonio comune per una reale convivenza nazionale e internazionale. Inoltre, va notato che un autentico dialogo tra le culture non può non alimentare anche una viva sensibilità per il valore della vita, mai considerata come oggetto di cui disporre arbitrariamente, ma come la realtà più sacra e intangibile. Se viene meno la salvaguardia di così fondamentale bene, non ci può essere pace; non si può invocare la pace e disprezzare la vita.

3. Credenti uniti nella costruzione della pace. Il dialogo interreligioso via della pace

Per quanto concerne il ruolo della religione e del dialogo interreligioso in favore della pace, mi pare di grande interesse il Messaggio della Giornata Mondiale della Pace del 1992. In esso più volte Giovanni Paolo II torna a sottolineare il compito dei credenti che, "proprio in ragione della loro fede, sono chiamati - individualmente e tutti insieme - ad essere messaggeri e costruttori di pace" (Insegnamenti G.P.II, 1991/II, p. 1332). Un compito che non è d’elite, di "nicchia", come si dice oggi, ma "riguarda ogni persona di buona volontà" (op. cit., p. 1332), anche se tale "dovere si impone con urgenza a quanti professano la fede in Dio" (op. cit., p. 1332).

Nei libri sacri delle diverse religioni, il riferimento alla pace occupa un posto rilevante nel quadro della vita dell'uomo e degli stessi suoi rapporti con Dio. A questo proposito, osserva Papa Wojtyła, "una vita religiosa, se è autenticamente vissuta, non può non produrre frutti di pace e di fraternità" (op. cit., n. 2, p. 1333). Si capisce allora facilmente l’importanza della preghiera per la pace, come fattore di incontro e di unità, "laddove disuguaglianze, incomprensioni, rancori e ostilità sono superati, cioè davanti a Dio, Signore e Padre di tutti" (op. cit., n. 4, p. 1335). Insieme alla preghiera, per promuovere la pace occorre incentivare i contatti interreligiosi e il dialogo ecumenico. "Grazie a tali forme di confronto e di scambio – nota Giovanni Paolo II - le religioni hanno potuto prender più chiara coscienza delle loro non certo lievi responsabilità rispetto al vero bene dell'intera umanità... Un tale procedere dei credenti può esser determinante per la pacificazione dei popoli ed il superamento delle divisioni tuttora esistenti tra «zone» e «mondi»" (op. cit., n. 5, p. 1335-1336). E conclude: "i contatti inter-religiosi, accanto al dialogo ecumenico, sembrano ormai strade obbligate, perché tante dolorose lacerazioni, avvenute lungo il corso dei secoli, più non accadano e quelle residue siano presto risanate" (op. cit., n. 6, p. 1336).

4. L’incontro interreligioso di Assisi

Evento storico, pietra miliare nel dialogo interreligioso al servizio della pace è risultato l’incontro svoltosi ad Assisi il 27 ottobre 1986. A 20 anni di distanza, il Papa Benedetto XVI, in una lettera commemorativa del 2 settembre 2006, ha affermato che l’invito ai leaders delle religioni mondiali per una corale testimonianza di pace servì allora a chiarire senza possibilità di equivoco che la religione non può che essere foriera di pace. Concetto, questo, fortemente ribadito nella Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, laddove si dice al n. 5, che "non possiamo invocare Dio come Padre di tutti, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni uomini creati ad immagine di Dio". E prosegue: "Nonostante le differenze che caratterizzano i vari cammini religiosi, il riconoscimento dell'esistenza di Dio, a cui gli uomini possono pervenire anche solo partendo dall’esperienza del creato (cfr Rm 1,20), non può non disporre i credenti a considerare gli altri esseri umani come fratelli. A nessuno è dunque lecito assumere il motivo della differenza religiosa come presupposto o pretesto di un atteggiamento bellicoso verso altri esseri umani". E le guerre di religione? "Simili manifestazioni di violenza - segnala Benedetto XVI - non possono attribuirsi alla religione in quanto tale, ma ai limiti culturali con cui essa viene vissuta e si sviluppa nel tempo".

Ma richiamiamoci per un istante ad Assisi, a quel 27 ottobre 1986, quando il Servo di Dio Giovanni Paolo II pose l’accento sul valore della preghiera nella costruzione della pace, perché "in primo luogo la pace va costruita nei cuori. Il cuore dell'uomo è il luogo degli interventi di Dio". In un clima di grande interesse chiese a tutti una preghiera autentica, accompagnata dal digiuno ed espressa nel pellegrinaggio, simbolo del cammino verso l’incontro con Dio, spiegando che "la preghiera comporta da parte nostra la conversione del cuore" (Insegnamenti G.P.II, 1986/II, p. 1253).
Per non equivocare, poi, sul senso di quanto, in quello stesso incontro, si voleva realizzare, per intendere bene ciò che si suole qualificare come "spirito di Assisi", è importante non dimenticare l’attenzione che fu posta perché quell’incontro interreligioso di preghiera non si prestasse ad interpretazioni sincretistiche, fondate su una concezione relativistica. Proprio a fugare questo rischio, fin dalle prime battute Giovanni Paolo II dichiarò: "Il fatto che noi siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. E neppure è una concessione al relativismo nelle credenze religiose" (op. cit.,p. 1252).

5. Il rifiuto del terrorismo

Il sincero dialogo fra le religioni non può non comportare un netto rifiuto della violenza e del fenomeno del terrorismo. Dopo gli avvenimenti dell’11 settembre 2001, sempre Giovanni Paolo II, il 24 gennaio 2002, convocò un’altra volta i leaders religiosi ad Assisi per pregare per la pace. In quell’occasione affermò con chiarezza: "E' doveroso che le persone e le comunità religiose manifestino il più netto e radicale ripudio della violenza, di ogni violenza, a partire da quella che pretende di ammantarsi di religiosità, facendo addirittura appello al nome sacrosanto di Dio per offendere l'uomo. L'offesa dell'uomo è, in definitiva, offesa di Dio. Non v’è finalità religiosa che possa giustificare la pratica della violenza dell'uomo sull'uomo" (Insegnamenti G.P.II, 2002/I, p.1011). E per la Giornata Mondiale della Pace di quello stesso anno 2002, aveva scelto come tema "Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono". Nel Messaggio per tale annuale ricorrenza ebbe a proclamare con forza che "Il terrorismo si fonda sul disprezzo della vita dell'uomo. Proprio per questo esso non dà solo origine a crimini intollerabili, ma costituisce esso stesso, in quanto ricorso al terrore come strategia politica ed economica, un vero crimine contro l'umanità" (Insegnamenti G.P.II, 2001/II, p. 1083). E rivolgendosi ai capi religiosi aggiungeva: "Nessun responsabile delle religioni, pertanto, può avere indulgenza verso il terrorismo e, ancor meno, lo può predicare" (op. cit., p. 1085).

Al terrorismo si è riferito anche Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace dello scorso anno 2006: "Al giorno d'oggi – ha scritto - la verità della pace continua ad essere compromessa e negata, in modo drammatico, dal terrorismo che, con le sue minacce ed i suoi atti criminali, è in grado di tenere il mondo in stato di ansia e di insicurezza" (Insegnamenti B. XVI, 2005/I, p.958). Ed aggiunge: "Nell'analizzare le cause del fenomeno contemporaneo del terrorismo è auspicabile che, oltre alle ragioni di carattere politico e sociale, si tengano presenti anche le più profonde motivazioni culturali, religiose ed ideologiche" (op. cit., p. 959).

6. Promozione e Rispetto dei Diritti Umani

Le ultime considerazioni di questo mio intervento vorrei dedicarle alla promozione e al rispetto dei diritti umani, un ambito nel quale il dialogo interreligioso è quanto mai utile per la costruzione della pace. La pace di fatto nasce e si rafforza proprio quando i diritti umani vengono osservati e rispettati integralmente. E’ convinzione della Santa Sede che quando la promozione della dignità della persona costituisce il principio-guida a cui ci si ispira, quando la ricerca del bene comune rappresenta l'impegno predominante, allora vengono posti solidi e durevoli fondamenti all'edificazione della pace. Quando invece i diritti umani sono ignorati o disprezzati, quando il perseguimento di interessi particolari prevale ingiustamente sul bene comune, allora vengono inevitabilmente seminati i germi dell'instabilità, della ribellione e della violenza.

La "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo" ha come premessa basilare l'affermazione secondo cui il riconoscimento dell'innata dignità di tutti i membri della famiglia umana, come pure dell'uguaglianza ed inalienabilità dei loro diritti, è il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. Papa Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, che ha per tema "La persona umana, il cuore della pace", ha ribadito che la difesa dell'universalità e dell'indivisibilità dei diritti umani è essenziale per la costruzione di una società pacifica e per lo sviluppo integrale di individui, popoli e nazioni. Tra questi diritti vorrei far riferimento a due oggi particolarmente esposti a più o meno aperte violazioni: si tratta cioè del diritto alla vita e del diritto alla libertà religiosa. La vita umana è sacra e tale va considerata dal suo concepimento al naturale tramonto. E’ questo un diritto inviolabile, che comporta il netto rifiuto di ogni forma di violenza.

Accanto al diritto alla vita, la Chiesa ha ugualmente a cuore quello alla libertà religiosa. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1999 Giovanni Paolo II scrive che "La libertà religiosa, costituisce il cuore stesso dei diritti umani. Essa è talmente inviolabile da esigere che alla persona sia riconosciuta la libertà persino di cambiare religione, se la sua coscienza lo domanda. Ciascuno, infatti, è tenuto a seguire la propria coscienza in ogni circostanza e non può essere costretto ad agire in contrasto con essa. Proprio per questo, nessuno può essere obbligato ad accettare per forza una determinata religione, quali che siano le circostanze o le motivazioni" (Insegnamenti G.P.II, 1998/II, p. 1218).

7. Conclusione

Intervenendo in apertura dei vostri lavori, ho voluto richiamare alcuni spunti di riflessione e dell’attività della Santa Sede, tratti dagli insegnamenti dei Pontefici su un tema che conserva grande attualità. Come sacerdote, e ora come Cardinale Segretario di Stato, vado sempre più convincendomi che alla base di ogni dialogo tra persone ci devono essere l’ascolto e la conoscenza reciproca; deve esserci la stima che nasce dal riconoscere la buona volontà dell’altro e dalla chiarezza e dalla sincerità nel proporre le proprie posizioni. Il dialogo interreligioso al servizio della pace esige una "purificazione" della fede che apra il cuore all’amore; esige, in ultima analisi, una "conversione" costante a Dio. Solo Lui, infatti, può toccare il cuore dell’uomo e far scoccare la scintilla di quell’amore che si fa accoglienza e perdono, condizione favorevole per la difesa e la costruzione della pace.

Possa anche quest’incontro contribuire a una reciproca conoscenza e stima fra tutti i partecipanti, e serva a far meglio conoscere l’attività della Santa Sede e lo spirito che la anima. Possa soprattutto aiutarci a diventare tessitori infaticabili di pace in un mondo dove Dio non sia visto come estraneo, o peggio nemico della felicità dell’uomo, ma vero amico dell’umanità che raccoglie sotto la sua protezione. Sotto l’abbraccio paterno di Dio la famiglia degli uomini non può che crescere più libera, più prospera e più felice.

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