Corso di Religione

Postumanesimo.

La critica

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Limiti e confini del postumanodi Francesca Ferrando © Lo Sguardo - rivista di filosofia N. 24, 2017 (II)
" L’etichetta ‘postumano’ è spesso evocata in modo generico e onnicomprensivo, per indicare prospettive anche molto diverse tra loro, creando confusione teoretica e metodologica sia nel pubblico esperto che in quello generalista. Il termine ‘postumano’ viene infatti impiegato come termine ombrello per indicare: il Postumanesimo (Filosofico, Culturale e Critico); il Transumanesimo (nelle sue varianti, quali: l’Estropianesimo, il Transumanesimo Liberale e il Transumanesimo Democratico, tra le varie correnti); il Nuovo Materialismo (una specifica declinazione femminista all’interno della cornice postumanista); il paesaggio eterogeneo dell’ Antiumanesimo ; le Postumanità e le Metaumanità. Le aree più confuse di significazione sono quelle condivise dal Postumanesimo e dal Transumanesimo.

Nel dibattito accademico contemporaneo, ‘postumano’ è diventato un concetto chiave, in grado di fronteggiare l’urgenza di un’integrale ridefinizione della nozione di umano, determinata dagli sviluppi onto-epistemologici, nonché da quelli scientifici e bio-tecnologici, del XX e del XXI secolo.
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..la nozione di ‘Postumanità’ è stata adottata dal mondo accademico per sottolineare un proprio cambio interno (dallo studio dell’umanità a quello delle postumanità, ovvero, dagli Studi Umanistici a quelli Postumanistici), in modo da estendere lo studio della condizione umana al postumano. Dall’altro,

il termine, in senso evoluzionistico , si riferisce anche alle future generazioni di esseri discendenti dalla specie umana.
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Il Postumanesimo è una filosofia che offre un punto di partenza atto a pensare in modi relazionali e multistrato, espandendo il suo interesse al regno non-umano in modalità post-dualistiche e post-gerarchiche, permettendo di concepire futuri postumani che espanderanno radicalmente i limiti dell’immaginazione umana.

In Occidente, l’umano è stato storicamente inscritto in una scala gerarchica rispetto al regno non-umano. Tale struttura simbolica, basata su di un eccezionalismo umano ben rappresentato nella ‘ Grande Catena dell’Essere ’ , non ha solo sostenuto il primato dell’essere umano sugli animali non umani, ma ha anche (in) formato la stessa sfera umana, con presupposti sessisti, razzisti, classisti, omofobi ed etnocentrici. In altre parole, non ogni essere umano è stato considerato tale: donne, discendenti afro-americani, gay e lesbiche, persone differentemente abili, accanto ad altre categorie, hanno rappresentato i margini di ciò che sarebbe stato considerato umano. Nel sistema di schiavitù, per esempio, le persone schiave erano considerate proprietà di un padrone, da comprare e vendere.

Ciononostante, la riflessione transumanista, nelle sue articolazioni ‘ultra-umaniste’, non si impegna pienamente in una riflessione critica sulla storia dell’essere umano, che viene presentato in maniera generica e uniforme . Inoltre, la perseveranza transumanista nel riconoscere la scienza e la tecnologia come principali assi di riformulazione dell’umano corre il rischio di tecno-riduzionismo (variante dello scientismo n.d.r.) : la tecnologia diventa un progetto gerarchico, basato sul pensiero razionale e indirizzato al progresso.

Considerato che un’ampia porzione della popolazione mondiale è ancora alle prese con il tentativo di sopravvivere, se la riflessione sui futuri desiderabili fosse ridotta a una sovrastima dell’eredità tecnologica dell’umano, reinterpretata specificamente nelle sue imprese tecniche, tale preferenza lo confinerebbe a un movimento classista e tecno-centrico. Per questi motivi, pur offrendo prospettive interessanti sull’attuale interazione tra l’ambito biologico e tecnologico, il transumanesimo si radica in tradizioni di pensiero che gli pongono restrizioni non riscattabili. La sua fiducia nella scienza e nella tecnologia dovrebbero essere analizzate da un’angolatura più ampia; un approccio meno centralizzato e maggiormente integrato ne arricchirebbe il dibattito in modo profondo. In questo senso, il Postumanesimo sembra offrire un punto di partenza più adatto. "
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Il Nuovo Materialismo è un altro specifico movimento nell’ambito dello scenario teoretico postumano.
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Filosoficamente, il Nuovo Materialismo nasce come reazione alla radicalizzazione rappresentazionalista e costruttivista della tarda Postmodernità , che in qualche modo aveva perso contatto con l’aspetto materiale, e correva dunque il rischio di postulare un insito dualismo tra ciò che si percepiva come manipolato dall’atto dell’osservare e descrivere propri di chi osserva, e una realtà esterna, che diventava quindi irraggiungibile .
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il Postumanesimo è in sintonia con l’approccio decostruzionista di Jacques Derrida.
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Il Nuovo Materialismo non pone alcuna divisione tra il linguaggio e la materia: la biologia è culturalmente mediata tanto quanto la cultura è materialisticamente costruita. Il Nuovo Materialismo percepisce la materia come un processo di materializzazione continuo, riconciliando elegantemente scienza e teorie critiche: la Fisica Quantistica viene ripercorsa alla luce di una sensibilità post-strutturalista e postmoderna. La materia non è mai intesa come qualcosa di statico, immutabile o passivo, in attesa di essere plasmata da una forza esterna; piuttosto, essa è descritta enfaticamente come un «processo di materializzazione» . Tuttavia tale processo, che è dinamico, mutevole, intrinsecamente correlato, diffrazionale e performativo, non detiene alcun primato sulla materializzazione, né la materializzazione può essere ridotta ai suoi termini processuali.

Il fallimento del neo-materialismo e lo sviluppo spirituale source: www.cyberteologia.it
" Il XX secolo segna un passaggio di straordinaria importanza nella storia secolare della cultura occidentale. All’interno delle scienze della natura interviene infatti un cambiamento epistemologico fondamentale. Mi riferisco al fatto che l’idea che noi come contemporanei abbiamo della materia oggi è completamente diversa da quella del passato: la materia, nella sua intima costituzione è ridotta a campo energetico, viene “smaterializzata”. A partire dalla teoria della relatività di Einstein, abbiamo imparato a pensare la materia come energia. Ciò rappresenta una fondamentale soluzione di continuità nella nostra rappresentazione della realtà. La materia, infatti, diventa energia altamente condensata, energia che può essere liberata: dalla materia all’atomo, dall’atomo alle particelle subatomiche, dalle particelle subatomiche ai pacchetti di energia, dai pacchetti di energia alle superstringhe vibranti fino al vuoto quantico.

Sul piano dell’immaginario collettivo, ciò determina un effetto tutt’altro che trascurabile, dato che la materia perde la sua “materialità” in favore di una visione energetica all’interno della quale prevalgono forme instabili di organizzazione basate su campi e reti. In questa prospettiva, la materia viene definita come tutto ciò che ha massa e dimensioni (discontinuità nello spazio) ed è soggetta alla forza di gravità. La materia deve essere considerata come uno stato di riposo dell’energia: materia ed energia sono quindi aspetti diversi di una stessa entità fisica. Lungo questa strada, si arriva anche alla ridefinizione del rapporto tra materiale e spirituale: a fronte del nuovo immaginario su che cosa sia la materia è questa seconda dimensione che, in un primo momento almeno, sembra costretta a dover battere in ritirata.

Si pensi, prima di tutto, al caso delle neuroscienze, dove negli ultimi anni si è sviluppato un ampio dibattito sulla «naturalizzazione delle intenzioni». Sviluppando la prospettiva di Spinoza e Comte, si applica al cervello umano lo stesso modo di studio applicato dalle scienze sperimentali. Persa ogni differenza, il cervello è semplicemente un complesso sistema di circuiti neuronali. Dall’altra parte, si pensi alla capacità di intervenire chimicamente sul funzionamento del cervello o sullo stato psichico: non sono queste dimostrazione della pura natura materiale della nostra stessa interiorità?

Nell’ambito della spiegazione “cosmologica”, i fisici quantistici e gli astrofisici parlano di «energia di fondo» o «vuoto quantico». Si tratta di un vuoto che rappresenta la pienezza di tutte le possibili energie e delle loro eventuali densificazioni che prendono “corpo” in una infinità di forme e di esseri viventi. Per esprimere questa idea, oggi si preferisce l’espressione pregnant void, «vuoto pregno». Si tratta di qualcosa che sfugge alle categorie convenzionali di spazio-tempo, qualcosa di anteriore allo stesso spazio-tempo.

Gli astrofisici lo immaginano e la descrivono come un vasto oceano, senza margini, illimitato, ineffabile, indescrivibile e misterioso, in cui, come in un utero infinito, sono in origine ospitate tutte le possibilità e le virtualità dell’essere. È da qui che sarebbe emerso, senza che si possa sapere perché e come, quel piccolo punto estremamente pregno di energia, inimmaginabilmente caldo, che, esplodendo (big bang), ha poi dato origine al pluriverso nel quale esiste il nostro universo.

Un tale salto epistemologico sta alla base e trova riscontro anche in fondamentali applicazioni tecniche del tempo che viviamo: penso, in particolare, agli sviluppi che hanno interessato l’ambito informatico e telematico, dove si diffonde l’uso di un ossimoro come “realtà virtuale” che si definisce come realtà simulata, digitalizzata. Anche se l’uso quotidiano di queste tecnologie fa perdere la portata del loro impatto sull’immaginario contemporaneo, è chiaro che l’istantaneità di cui sono portatrici ci fa fare l’esperienza di una materialità che supera il vincolo spazio-temporale. Come nel caso del banale invio di una email che può istantaneamente arrivare dall’altra parte del mondo: non è questa un’esperienza in passato riservata a forze divine o magiche? Grazie alle risorse di calcolo, dei computer e delle altre tecnologie di interfaccia è inoltre possibile ricreare un ambiente del tutto simile alla realtà al punto che un “partecipante” non riesce più a cogliere la differenza rispetto alla “realtà reale”. In questo modo diventa poi possibile la moltiplicazione artificiale della realtà.

La nostra è dunque un’epoca profondamente neo-materialista. Neomaterialista perché l’idea del materialismo acquisisce oggi una forza che non ha mai avuto in passato. Ciò che chiamo capitalismo tecno-nichilista altro non è che la traduzione storico-sociale di questa concezione neo-materialista che domina nella epistemologia contemporanea. Il combinarsi di un tecnicismo esasperato che fonda la propria legittimazione sul mero criterio del funzionamento e di un nichilismo che vive dell’equivalenza assoluta dei significati è la principale conseguenza.

Pretendendo di vivere senza riferimento a un senso il tecno-nichilismo sostituisce l’infinito con l’infinitazione, cioè con la moltiplicazione delle opportunità, delle contingenze e delle differenze. In questo modo, il tecno-nichilismo finisce, letteralmente, per rimuovere la realtà, coincidente con ciò che l’essere umano ha la presunzione di costruire (attraverso la tecnica o la comunicazione). Per questo, esso finisce per essere un tempo fantasmagorico, dove a prevalere sono le illusioni («il-ludo»).

In questa cultura, esiste solo ciò che è visibile, ciò che viene rappresentato. Si afferma così una concezione neo-sofista dove quello che viene messo in scena in modo efficace convince e viene assunto come reale. L’unico linguaggio che non finisce nella babele contemporanea è quello matematico, linguaggio che si incarna negli apparati tecnico-economico che restano così incatenati alla numerazione e alla quantificazione. Ciò che ci deve sorprendere più di ogni altra cosa è che questo tempo, che si è dispiegato così potentemente negli ultimi decenni, arriva oggi a un punto drammatico di crisi. Trent’anni di espansione lasciano una pesantissima eredità: montagne di debiti, livelli elevati di disuguaglianza, problemi diffusi di depressione. E, ciò che più conta, è come se l’Occidente, dopo aver dominato l’intero mondo per due decenni — cioè a partire dalla conclusione che aveva caratterizzato il Novecento col modello sovietico — si ritrovasse completamente incapace di pensare e praticare il futuro.

È in questa prospettiva che si devono interpretare le bolle finanziarie che hanno caratterizzato gli ultimi anni dello sviluppo economico. Attraverso la moltiplicazione fittizia di nuovi strumenti tecnici — che hanno lavorato su una non-materia — la possibilità di indebitarsi non ha più limiti imprimendo all’economia una velocità di crescita senza precedenti basata però su un gioco di scambi fittizio. Alimentato dal circuito potenza-volontà di potenza. È questa la ragione profonda che sta alla base della grave crisi che ha investito l’Occidente: ciò che è collassato è l’idea che lo sviluppo tecnico può procedere senza limite.

Così, la materia smaterializzata, per quanto accelerata e sollevata, si ripiega su di sé, inerte. Despiritualizzata, essa non regge e non vive. Lo dimostra, appunto, la crisi nella quale ci stiamo dibattendo. Non si tratta solo di economia e finanza. È che la depressione si diffonde come malattia sociale mentre molti indicatori ci parlano di crisi del desiderio. Non male per una società che è nata proprio per “liberare” il desiderio.

Dato che c’è solo il pensiero metaforico che si muove in orizzontale e si perde l’analogia che ci permetterebbe di verticalizzare, la società dei liberi finisce per ritrovarsi in una nuova prigione fatta di istantaneità e slegamento. La sostanza della tecnica — che sfugge a qualsiasi contestazione — si separa dal reale. Il concetto, geloso della propria purezza, diventa così autoreferenziale e viene sospinto avanti solo dalla volontà di potenza. La crisi che abbiamo davanti a noi non è, dunque, semplicemente “economica”, una crisi di efficienza. È, piuttosto, una crisi di senso. Una crisi spirituale.

La cosa è quanto mai interessante, perché il neo-materialismo imperante, che ha pensato di sostituire lo spirito con la mobilità, l’accelerazione, la sensazione, finisce in un cul de sac, dal quale non sa più come uscire.

Il fallimento del neo-materialismo contemporaneo conferma che lo sviluppo o è spirituale o non è. Lo aveva già chiarito Max Weber. Il capitalismo, nel suo fondamento materialistico, sussiste e supera se stesso solo alleandosi con uno spirito. La crisi di oggi è crisi spirituale perché lo spirito individualista e materialista che si è affermato dagli anni Sessanta e Settanta è giunto al suo stesso limite. Per superare la crisi, occorre tornare all’origine del problema che è prima di tutto spirituale. La questione è molto impegnativa dato che la partita si gioca attorno alla capacità di ridire, nel tempo in cui viviamo, la parola spirito. Cioè di dire diversamente libertà.

Compito molto difficile. Mi limito dunque a uno spunto: il termine “spirito” viene dalla radice spas-spus che significa soffiare, esalare, alitare, in italiano «spirare». Il vento, infatti, spira. È interessante osservare che anche la parola speranza viene dalla medesima radice spas-spus nel senso di «a-spirare» e di spingere verso. Dunque, la speranza — come atto spirituale — indica la capacità dell’essere umano di desiderare qualche cosa di buono, di bello, di vero. Un’ulteriorità. Qualche cosa di qualitativamente differente dall’esistente.

La speranza è esattamente l’eccedenza che manca al nostro tempo, che per questo non ha futuro. La crisi dell’Occidente consiste nell’aver confuso l’espansione — materiale, quantitativa, acquisitiva, individualistica, orizzontale — con l’eccedenza — spirituale, qualitativa, donativa, relazionale, verticale.

Uscire dalla crisi significa sanare questo movimento, non riducibile alla sola orizzontalità, ma che ha bisogno anche di verticalità. È proprio tale confusione, derivante dall’attacco neo-materialista alla dimensione spirituale, che ci consegna questa crisi drammatica nella quale noi oggi rischiamo di sprofondare.

Il punto è recuperare l’idea che l’essere umano esiste non solo per via di una infinità quantitativa, ma come unicità qualitativamente infinita; esiste cioè non solo in rapporto ad alcune cose — da possedere, numerare, ridurre a sé — e non solo a cose che gli stanno immediatamente intorno; egli, infatti, risponde al mondo intero, alla totalità dell’essere, alla vita, e risponde rispetto a una interpellazione di senso che chiama in causa la dimensione spirituale, espressiva, qualitativa, relazionale — in una parola, potremmo dire, l’eccedenza propria della vita.

Questa eccedenza è essenzialmente spirituale e qualitativa, espressiva e relazionale. Non affrontare di nuovo tale questione condannerebbe l’Occidente al suo declino" .


Il possibile dominio tecno-scientifico sulla vita .source : bioeticanews.it .di Enrico Larghero Medico, Teologo morale Responsabile e Direttore scientifico del Master universitario in Bioetica Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale - Sezione parallela di Torino- pubblicato il 14 novembre 2017 Il testo, a firma di Enrico Larghero, è pubblicato sul settimanale diocesano di Torino «La Voce e il Tempo» in data 19 novembre 2017 (pp. 14-15), intitolato: Bioetica, coscienza critica dell’uomo futuro. Il possibile dominio tecno-scientifico sulla vita e l’ibridazione tra naturale e artificiale: questioni moralmente rilevanti affrontate da Enrico Larghero partendo da un libro di don Giuseppe Zeppegno

Il sogno prometeico dell’uomo agli albori del III Millennio "Gli albori del Terzo Millennio proiettano l’umanità in uno scenario nuovo, contraddistinto nell’era della globalizzazione, da una società multietnica, multiculturale e plurivaloriale. La prospettiva antropocentrica e totalizzante del dominio tecno-scientifico sulla vita e sulla materia sembra permettere la realizzazione del sogno prometeico dell’uomo, quale arbitro assoluto ed incondizionato del suo destino. Da ciò una prospettiva ulteriore ed autorefenziale di un mondo sotto l’assoluto controllo umano. Le leggi della natura non dipendono più da un ordine cosmico, da un progetto superiore, trascendente: il bios viene plasmato dalla ragione ad uso e consumo dell’essere umano. Il XX secolo ha squarciato il velo, ha aperto una crepa nel muro apparentemente solido del sapere scientifico Tuttavia il XX secolo, definito per la densità dei suoi avvenimenti come il “secolo breve”, ha squarciato il velo, ha aperto una crepa nel muro apparentemente solido del sapere scientifico, figlio dell’Illuminismo.

L’utopia dogmatica di una scienza senza vincoli morali, che deve rendere conto unicamente a se stessa ed in cui tutto ciò che è tecnicamente possibile può essere attuato, è entrata profondamente in crisi. L’era atomica ha infatti posto l’umanità di fronte a problematiche nuove. Il concetto di potersi trovare nelle condizioni potenziali di distruggere la vita sulla Terra è nuovo, sovverte il rapporto con la natura, rendendo l’uomo padrone incondizionato del cosmo, pur con nuove responsabilità.


In tale contesto si è sviluppato una nuova corrente di pensiero. È il cosiddetto post-umanesimo , un movimento nato nel mondo anglosassone e che lentamente è giunto sino a noi. Viene vagheggiato un mondo libero da condizionamenti e dal giogo della finitudine, una società globale senza più malattie, con un orologio biologico nel quale la morte è spostata molto avanti nel tempo. Stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione, ad un ribaltamento della relazione che abbiamo come umanità nei confronti della vita e della morte, del rapporto tra corpo e persona, nonché della sessualità. Il Postumanesimo e la queer theory

Giuseppe Zeppegno, «Bioetica e Postumano», Collana Bioethica, If Press, Morolo-Roma 2017, pp. 224 Giuseppe Zeppegno, «Bioetica e Postumano», Collana Bioethica, If Press, Roma-Morolo (Fr) 2017, pp. 224

Il Postumanesimo – afferma Giuseppe Zeppegno, docente alla Facoltà Teologica di Torino nella sua ultima pubblicazione: Bioetica e Postumano. Percorso storico prospettico – costituisce il secondo stadio della postmodernità.

Con esso – prosegue l’Autore − è emersa la queer theory che promuove il dissolvimento dell’identità del soggetto ed esalta l’indeterminato e il costantemente mutevole.

Tali convincimenti ben si coniugano con le estreme teorie quali il transumanesimo che sono mosse dall’idea di sconvolgere le frontiere fra naturale e artificiale per promuovere una soggettività potenziata se non del tutto trasformata.

All’interno di tali coordinate vengono ridefinite le stesse nozioni di salute e malattia e osservando piuttosto le modalità storiche attraverso le quali il concetto di “natura” è stato culturalmente costruito sulla base di assunti ideologici considerati ovvi e non criticabili.

Il contributo della bioetica nei più recenti sviluppi scientifici e tecnologici Potenziamento dell’intelligenza e immortalità, libera determinazione di sé, sono le principali mete da raggiungere. I più recenti sviluppi della genetica, della nanotecnologia, della robotica, della neurofarmacologia, della bionica e delle scienze informatiche consentirebbero di creare un homo novus in grado di raggiungere perfezione, resistenza e stabilità psicofisica, esercitando nel contempo un controllo totale sull’evoluzione. Alle questioni complesse e moralmente rilevanti sollevate dal Postumanesimo, la bioetica può portare un suo contributo significativo.

Zeppegno: “bioliberali” e “biorealisti”
"Da tempo – afferma Zeppegno − ho indirizzato la mia ricerca allo studio di questo complesso fenomeno che pone una nuova visione del mondo e dell’uomo e invita la bioetica a ripensare il suo modo di argomentare. Non si caratterizza più per il riferimento a prospettive religiose o laiche, ma contrappone quelli che sono definiti “bioliberali” e “bioconservatori”.

Tra i primi annovero gli esponenti della queer theory e i transumanisti. I secondi, che sarebbe meglio definire “biorealisti”, rivendicano l’esigenza di non banalizzare la natura per sopravvalutare la cultura perché quest’ultima non può esprimersi compiutamente se non mantiene un profondo legame con le disposizioni insite nell’uomo.

“Cattedra del dialogo”: a confronto scienza, etica e fede In ultima analisi l’obiettivo ultimo della bioetica, quando non è in grado di fornire risposte esaustive ai singoli problemi, è almeno quello di costituire una “cattedra del dialogo”, una piattaforma che mettendo a confronto la scienza, l’etica e la fede contribuisce in modo organico e critico a creare uno strumento funzionale e interdisciplinare per la ricerca della verità.

Le contrapposizioni ideologiche e talvolta strumentali all’interno della disciplina bioetica, come quelle storiche tra una visione laica e cattolica della disciplina, non aiutano a risolvere le problematiche sottese.

Un aiuto in tal senso può essere dato dalla posizione assunta dal Santo Padre. L’attuale magistero di Papa Francesco, più disposto a considerare le soggettive situazioni che le persone vivono, senza peraltro dimenticare i presupposti dottrinali del Cattolicesimo − fa notare Zeppegno − sembra aver favorito un assottigliamento dello steccato tra i due paradigmi.

La bioetica deve rispondere principalmente a questi requisiti per svolgere un ruolo insostituibile di coscienza critica che richiami la società moderna alle sue responsabilità, ponendosi al servizio di un’umanità proiettata verso il futuro che vede nel postumanesimo una sfida per il genere umano, un rito di passaggio che molti interpretano come un’accelerazione inevitabile nell’evoluzione darwiniana della specie umana.

È impensabile ed anacronistico cercare di arrestare il corso della storia e degli eventi. Il progresso è come un treno in corsa che non si ferma di fronte a nulla, svincolato da regole morali e religiose, autoreferenziale, portatore di valori non negoziabili che hanno portato nella cultura dominante a ritenere che la scienza sia la depositaria della verità.

In tale contesto un contributo significativo potrà essere portato dalla Bioetica, disciplina nata dall’esigenza di coniugare il bios con i valori, la scienza con le istanze indissolubilmente legate all’essere umano. La libertà non è un arbitrario anarchismo senza regole È utile pertanto favorire un processo di sensibilizzazione sociale trasversalmente condiviso e un progetto educativo che aiuti a comprendere che la libertà non è un arbitrario anarchismo senza regole.

Si impone – conclude Zeppegno − contribuire con tutti gli opportuni mezzi possibili a migliorare le condizioni di vita, combattere ogni forma di emarginazione, promuovere una autentica cultura del genere contrastando lo scarso rispetto nei confronti delle donne e favorendo l’integrazione sociale delle diversità.
Le sfide non si possono ignorare…ma qualsiasi cambiamento non può e non deve frammentare la persona. La questione è aperta.
Le sfide non si possono ignorare, vanno però raccolte e vagliate alla luce del discernimento ben consapevoli che qualsiasi cambiamento non può e non deve frammentare la persona, ma ricondurre all’unità corpo, mente e anima. Rinnegando la legge naturale e rifondando la società sul diritto positivo, supportato dalle tecnoscienze e sulla spinta di una cultura liberale e sul principio di autodeterminazione si sollevano inevitabilmente questioni delicate ed insidiose, di non univoca interpretazione.

Bioetica e Postumano, testo agile e di piacevole lettura, ma al contempo documentato ed argomentativo, contribuisce a far luce su tali tematiche di frontiera, conservando un taglio obiettivo e dialogico in grado di fornire al lettore strumenti utili per approfondire la materia. Infatti, compito della bioetica, forse partendo dall’ineludibile contesto odierno e dal dato reale, è formare le coscienze, recuperare una prospettiva di senso in grado di guidare con sapienza la locomotiva del progresso, modulandone però la velocità e la direzione.
Allontanare l’uomo dall’uomo, ridefinire sessualità e corporeità, vagheggiare l’immortalità terrena non contribuisce a creare un mondo migliore ed un’umanità più felice. Il Post-umano e le conseguenze etico-morali, politiche, sociali e giuridiche . Due piani distinti e contrapposti nel “potenziamento” source :bioeticanews.it  Anno VII n.2 di Giorgio Palestro * pubblicato il 27 marzo 2018

Nel concetto di “potenziamento” emergono due piani distinti e contrapposti: da un lato esso va inteso come processo quantitativamente dinamico che mira essenzialmente a raggiungere un progressivo perfezionamento delle possibilità che sono inscritte nella natura umana.

Dall’altro lato, il concetto di potenziamento, inteso come prospettiva biotecnologica illimitata sul piano qualitativo, si sovra-impone alla natura umana.

Si tratta di un nuovo potere assoluto, sradicato dalle caratteristiche costitutive della natura umana, con un nuovo profilo politico, morale, religioso, economico e giuridico e traccia qualitativamente il nuovo destino dell’uomo.

Quali effetti preoccupano di più? 
«Quelli che potrebbero derivare dall’entità post-umana…»

Ma, ancor più dell’artificiosa illegittimità antropologica e morale degli interventi verso il post-umano, preoccupano gli effetti che potrebbero derivare dall’entità post-umana le cui facoltà potrebbero sfuggire al suo stesso controllo e che potrebbero tradursi in comportamenti incompatibili con la civile convivenza, sfuggendo così ai valori che costituiscono i parametri sostanziali dell’umano, come la pietà, la solidarietà, il rispetto altrui… su cui si fonda la convivenza sociale.  Atteggiamenti che, seppur da sempre si manifestino nei comportamenti di singoli umani, tuttavia, di fatto, non vanificano il paradigma dei valori sostanziali che servono a indicare i comportamenti dell’uomo tradizionale.

Alcune domande per una riflessione

Sorgono dunque alcune domande: che cosa significherebbe, ad esempio, una longevità enormemente prolungata nell’economia della vita umana generale? A che fini si potrebbero orientare prestazioni dell’intelligenza molto superiori a quelle che rappresentano il possibile range delle prestazioni umane attuali, sostenute anche da capacità fisiche eccezionali?

Quali sarebbero le conseguenze per l’uomo dall’avere un corpo, come ricorda la bioeticista e antropologa Elena Postigo Solana, in concordanza con i suoi desideri, e quali conseguenze deriverebbero dalla realizzazione dei desideri che si profilerebbero nel nuovo vivente post-umano?

Quale sarebbe la conseguenza di una disparità fra gli individui, non potendosi supporre di assegnare a tutti gli stessi requisiti di potenziamento? Disparità di potenza che potrebbe imporre la sottomissione dei meno dotati se non la loro eliminazione. E chi garantirebbe la tutela di costoro? E quali valori morali emergeranno nell’entità definita post-umano?

L’eventuale clonazione dei “migliori”, giudicati secondo il valore di un’efficienza utilitaristica improntata all’imperante cultura materialistica, quali effetti potrebbe avere sul resto dell’umanità? E quali regole sarebbero necessarie? E chi avrebbe l’autorità di istituirle nella nuova società per evitare disastri indotti da conflitti, guerre, che le tecnologie avanzate e i nuovi scenari di autonomia potrebbero consentire? Infatti chi può escludere che la consapevolezza del grande potere acquisito non spinga i nuovi soggetti a moti di ribellione verso un ipotetico controllo?

E chi sarebbe il controllore che dovrebbe organizzare una nuova società formata da individui così trasformati e potenziati? Quali strutture sociali sarebbero adeguate a questo nuovo mondo?


A questi quesiti se ne affiancano molti altri che investono la non prevedibilità degli effetti dei requisiti post-umani nonché l’attribuzione sperequata di tali requisiti.

Verso il superamento delle leggi fisiche che governano la creazione?

Il concetto del post-umano apre, dunque, la strada anche all’ipotesi del superamento delle leggi fisiche che governano la creazione così com’è nel suo complesso e nella sua integrazione, realizzando nuovi modelli strutturali adeguati alle nuove realtà post ed extra-umane, con il rischio di modificarne l’assetto; ma con quali garanzie di coerenza con l’assetto generale del cosmo?
Modificarne i parametri significa sovvertire e sconvolgere l’ordine del creato estinguendone per collasso l’esistenza.

La questione della finitudine e  deperibilità della materia

Ma, a fronte di tutto questo, val la pena ricordare che la finitudine e la inevitabile deperibilità della materia, proprio in quanto condizioni permanenti e ineliminabili della creazione, che ovviamente include anche la vita, sono i concreti e naturali ostacoli che impediranno l’affermazione dei velleitari prometeici progetti di trasformazione dell’umano nel post-umano, attraverso il sovvertimento dei limiti naturali dell’esistenza.


E questa nuova entità post-umana è ancora nella condizione di percepire il trascendente o ritiene se stessa nella posizione di trascendenza?


(*) Giorgio Palestro
Presidente del Centro Cattolico di Bioetica - Arcidiocesi di Torino
Professore Ordinario Emerito Anatomia e Istologia Patologica
Università degli Studi di Torino © Riproduzione Riservata






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