Corso di Religione

Neuroteologia

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DIO  e i neuroni

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Il cervello non spiega chi siamo.di Lucetta Scaraffia -(©L'Osservatore Romano 25 aprile 2009)


Non è facile leggere sui giornali un buon articolo di divulgazione scientifica, che cioè non gridi subito alla scoperta sensazionale e non tiri precipitose conclusioni da piccoli passi in avanti nella conoscenza del funzionamento della natura, e soprattutto del corpo umano. Infatti, se manca l'enfasi, o l'apparente novità, dov'è la notizia?

Ma questo tipo di divulgazione esasperata - se pure serve a creare effimere celebrità scientifiche e, forse, ad attirare finanziamenti alla ricerca in questione - ha un effetto pericoloso sui lettori, perché li convince che sono stati trovati farmaci miracolosi, o che ogni stato emotivo e mentale dell'essere umano si spiega con la biologia.

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Attivare i sottotitoli

E crea illusioni che conteranno molto quando si dovranno affrontare questioni che da bioetiche sono diventate biopolitiche, contribuendo a influenzare in modo decisivo la loro idea di essere umano e di vita umana. Come, per fare un esempio, la ricerca sulle staminali embrionali.

Proprio per questi rilevanti motivi è di grande interesse la lettura del libro di Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà (uno psicologo cognitivo e un neuropsichiatra) intitolato Neuro-mania (Bologna, il Mulino, 2009, pagine 125, euro 9), che passa al vaglio critico proprio quella letteratura divulgativa, oggi tanto diffusa, che si occupa del cervello pretendendo di spiegare il funzionamento della mente umana.

E, su questa base, tratta delle nuove ricerche e discipline che tendono ad abusare del prefisso neuro-, una aggiunta che - lo provano ricerche mirate - aumenta la credibilità dell'informazione presso il lettore inesperto.

Siamo passati da un eccesso a un altro, scrivono gli autori:  se negli anni Settanta ogni comportamento umano veniva spiegato con motivazioni socio-economiche, oggi la stessa cosa avviene con quelle biologiche; la chiave riduttiva è la stessa, ed è dovuta al fatto che le spiegazioni monocausali sono le più efficaci e le più credibili.

Tutto però nasce da un reale progresso della ricerca perché oggi, effettivamente, cominciamo a conoscere da vicino le connessioni tra la mente e il corpo.

Gli scienziati hanno scoperto che determinate aree presiedono alle funzioni specifiche di un dato compito:  come, per esempio, la ricerca visiva di un volto noto, oppure la moltiplicazione mentale di due numeri a una cifra. Naturalmente, in queste operazioni si attivano anche aree "generiche", che presiedono a funzioni comuni a molti compiti, e cioè quelle visive, acustiche, motorie.

La divulgazione scientifica, però, tende a mettere in rilievo di volta in volta una sola area, quella privilegiata, e a dare l'impressione che essa sia l'unica deputata a una particolare funzione o, addirittura, che sia la causa di quel determinato effetto psicologico.
È nata così l'idea di poter vedere direttamente il cervello al lavoro, che tanto entusiasma i non esperti. Ma si tratta di un'idea fuorviante:  ciò che si vede è il risultato di un artificio grafico che trasforma probabilità casuali in colori sovrapposti a una riproduzione schematica del cervello.
Ci sono sempre altre funzioni, altri sistemi più complessi e ancora in parte sconosciuti che operano. Ma questo non fa notizia. Si diffondono così sia la certezza che ormai sappiamo tutto sul funzionamento del cervello sia l'idea che gli stati d'animo e le sensazioni mentali siano effetto di processi biochimici.



La vita quotidiana sarebbe allora riconducibile a una realtà sottostante di natura biologica, in quanto l'uomo, inteso come corpo, fa parte a pieno titolo della natura. Viene in questo modo legittimata la speranza che se, in futuro, si riuscisse ad analizzare in dettaglio il funzionamento di tutte le parti del corpo umano, avremmo una corrispondenza biunivoca tra quanto scoperto dagli psicologi sperimentali e quanto emerge dall'esame di meccanismi biologici elementari.

In altre parole, un unico linguaggio, quello della fisica-chimica e della biologia, sarebbe la spiegazione di tutti i fenomeni conosciuti dell'universo, dal moto dei corpi celesti alle particelle elementari, dal naturale al sociale.

Certo, si tratta di un'utopia affascinante. Ma non funziona. Anch'essa è frutto di una moda, nata negli anni Cinquanta per effetto delle scoperte dei fisici. Oggi si vuole imitare il loro metodo di ricerca, riconducendo il complesso al semplice e cercando di ingabbiare il sapere in modelli matematici.
Una moda che può perfino indurre a parlare, come è stato scritto recentemente su autorevoli quotidiani, di una neuroteologia:  cioè, anche se Dio viene pensato dall'uomo nei modi più diversi, questi avrebbero un prerequisito comune, neuronale. Nasceremmo insomma con un cervello predisposto a credere.
È evidente che una divulgazione di questo tipo ha l'effetto di cancellare ogni possibilità di scelta e ogni responsabilità dell'essere umano, e di conseguenza ogni possibilità di evoluzione morale. Anche se non è questo il problema messo a fuoco dai due scienziati, il libro è utile per la sua funzione critica nei confronti di una divulgazione spesso irresponsabile. "

Il neurone cerca Dio.
di Andrea Lavazza-Avvenire 18/10/2002 -

"Fanno discutere le ricerche di due scienziati americani: la pulsione religiosa affonda le sue radici nella biologia cerebrale ?

Al paziente che gli sottoponeva la relazione d'accompagnamento ai referti d'un esame un luminare della chirurgia rispose: " I radiologi si limitino a scattare le fotografie, a interpretarle ci penso io ". Il professore sprezzante dimenticava quanto fondamentale sia la diagnostica per la medicina moderna, ma era nel giusto rivendicando il proprio ruolo.

Il caso nato attorno al libro di Andrew Newberg e Eugene d'Aquili tradotto in italiano (Dio nel cervello, Mondadori, pp.210) è tutto in quell'aneddoto.

Newberg è docente di radiologia (con ampio curriculum in altre discipline) all'università della Pennsylvania, d'Aquili - scomparso nel 1998 - era uno psichiatra. Insieme si sono dedicati alla ricerca delle basi neurofisiologiche dell'esperienza religiosa, un filone nato agli inizi degli anni '90 negli Stati Uniti.

È stato il loro testo divulgativo (scritto con il giornalista Vince Rause) ad accendere in America un ampio dibattito che è subito rimbalzato anche da noi. Viste certe interpretazioni di stampa - tutte in chiave di riduzione materialistica del sacro e della divinità -, è interessante poter ora accostare il volume in forma integrale.

I due autori prendono come punto di partenza un esperimento da loro condotto (il vero cuore dell'opera): a un fervente buddhista in intensa meditazione "tibetana" viene iniettato un composto radioattivo che permette - attraverso la tomografia computerizzata a emissioni di fotoni singoli - di visualizzare con estrema precisione l'afflusso di sangue alle diverse aree del cervello. Sapendo che un accresciuta irrorazione è correlata a un aumento dell'attività cerebrale, si possono localizzare le zone interessate al "picco mistico".

La procedura è stata ripetuta su altri seguaci dello zen e un gruppo di suore francescane in preghiera. Emerge che la meditazione induce un'attivazione particolare dell'area associativa dell'attenzione, mentre all'area associativa dell'orientamento non giungono più i dati sensoriali, sicché la funzione di definizione del sé e delle sue relazioni con il mondo fisico viene meno, e si ha la sensazione di trascendenza, di unità con una realtà superiore e infinita.

Le punte corrispondono alle esperienze mistiche in senso proprio; i livelli intermedi sono innescati anche dalle azioni ritmiche dei riti o da situazioni e condizioni particolari. Vi è quindi una base neurale alle esperienze religiose e, probabilmente, una predisposizione innata del cervello, frutto dell'evoluzione. Fin qui la scienza sperimentale.

Poi parte la spericolata ricostruzione antropologica, filosofica, teologica di Newberg: "Dio è stato scoperto durante un'esperienza mistica o spirituale che la coscienza umana ha potuto vivere grazie ai meccanismi della trascendenza inscritti nel cervello ".


Attivare i sottotitoli

Seguono il mito, costruzione volta a ridurre l'ansia dell'uomo primitivo di fronte alla prospettiva della morte; il rito, azioni codificate che inducono le sensazioni della divinità; e la religione, che contribuisce in vari modi al benessere individuale e al progresso della società.

Conclusione: Dio non se ne andrà (titolo originale), perché è nel cervello. L'autore però non è il materialista che sembra. Infatti oscilla tra la semplice descrizione empirica e l'ipotesi che l'"essere unitario assoluto", un po' new age e ben lontano dal Dio personale, esista realmente.

La neuroteologia, di cui è in uscita una summa firmata da tutti i principali ricercatori (NeuroTheology, University Press, California), è una sfida affascinante che ci dice qualcosa in più sull'uomo ma che non può (ancora) pretendere di svelarne i misteri.

Il libro di Newberg e d 'Aquili va quindi letto con l'avvertenza data dal chirurgo. Le ingenuità sul rapporto tra mente e cervello, tra rappresentazioni e mondo esterno, alcuni erronei presupposti (l'esperienza in prima persona è vera e reale per definizione) e le semplificazioni evoluzionistiche sono da attribuire a scarso rigore e indebite letture dell'esperimento. Che mostra - e non è poco - la localizzazione fisica di alcuni eventi mentali e il meccanismo neurale correlato che "spiega" l'insorgere dell'esperienza spirituale.

Correlazione è la parola chiave, poiché ogni evento mentale ha come condizione necessaria il cervello (senza saremmo semplicemente morti); resta invece aperta la questione circa il determinismo del cervello sulla mente.

Né va dimenticato che la fusione mistica è solo una parte del fatto religioso. Come alla fine ammette Newberg, la scienza non può stabilire se il pensiero di Dio si riferisca a un'entità esistente oppure sia solo uno stato elettrochimico nella nostre teste.

A questo proposito un piccolo biasimo va pure all'editore che, in quarta di copertina, pone due lusinghieri giudizi di monsignor Elio Sgreccia e del Nobel Rita Levi Montalcini, tratti - ahinoi - da vecchi articoli di giornale in cui gli intervistati premettevano di non aver letto il libro, né di averne mai sentito parlare precedentemente ".


L' illuminazione " epigenetica" Epigenetica è qualsiasi attività di regolazione genetica tramite processi chimici che non comporta cambiamenti nel codice del DNA : la sequenza base del DNA rimane la stessa ma si producono mutamenti nelle cellule che si moltiplicano, dividono, differenziano .

Questi caratteri nuovi che si producono nelle nuove cellule come fenomeni epigenetici possono essere provvisori, instabili ma anche essere stabili ed ereditati dalle generazioni successive.
Alcuni fenomeni epigenetici - come la metilazione del DNA o l' acetilazione degli istoni- alterano l'accessibilità fisica al genoma da parte di complessi molecolari deputati all'espressione genica e quindi alterano il grado di funzionamento dei geni.

epigeneticsImmagine di cromatina creata da Nicolas Bouvier- Curie Institute, Paris, France.

Nel campo dei fenomeni epigenetici oggi si studiano anche quei mutamenti chimici che esaltano o deprimono l'espressione di determinati geni. Secondo molti ricercatori le diverse esperienze dell'esistenza umana influiscono sull'attività dei geni che controllano l'attività cerebrale. Questo è ad esempio il meccanismo attraverso cui si può descrivere l' interazione della natura con l'apprendimento in genere.

Anche le esperienze religiose , secondo recenti ricerche , hanno effetti chimici su determinati geni , riducendone l'espressione oppure facilitandola.La neuroteologia studia l'attività neurologica del cervello nelle esperienze religiose.

L'ipotesi di base è che le esperienze religiose siano il risultato di impulsi neuronali e paradigmi cerebrali .
A partire dagli anni '50 sono stati iniziati studi dei tracciati delle onde cerebrali di persone che sperimentavano fenomeni di trance , illuminazione, e in genere stati alterati di coscienza. Più recentemente si riesce a produrre mappe di attività cerebrale durante queste esperienze.

Così come  la filosofia e il diritto  anche la teologia è posta di fronte alle nuove teorie delle neuroscienze. Accanto alla neuroetica è nata la neuroteologia.Il primo ad usare il termine neuroteologia è stato lo scrittore Aldous Huxley nel suo romanzo L'isola . Il termine veniva usato in senso filosofico ; oggi è stato introdotto anche nelle neuroscienze .

In questo campo i primi studi degli anni '50 e '60 cercavano correlazioni tra l'attività cerebrale e gli stati " spirituali" della coscienza utilizzando l'elettroencefalogramma ( EEGs) .

Michael Persinger - organizzatore deil Behavioral Neuroscience Program alla  Laurentian University di Sudbury, Ontario tra i primi fece ricerche interdisciplinari di biologia-chimica-fisica-neurologia .

Negli anni 80 il Dr. Michael Persinger provò a stimolare soggetti umani con campi magnetici . Questi soggetti affermavano di avere la sensazione di presenze eteree nella stanza dell'esperimento.

Le sue ricerche ebbero una certa divulgazione e presto molti credettero di essere ormai prossimi ad una spiegazione materialistica, chimico-fisica del fenomeno religioso.

Nei suoi esperimenti utilizzava un casco -da lui inventato- noto come God-helmet  con cui creava campi magnetici che stimolavano i lobi temporali ad una reazione emozionale misurabile.

Susan Blackmore , psicologa accademica usò il casco e ne fu entusiasta. Su altri ricercatori come Richard Dawkins non ebbe effetti speciali.

Michael Persinger ha collaborato nelle ricerche sulle apparizioni mariane di Fatima ( vedi il suo The Fatima UFO Hypothesis ) ed in altri fenomeni religiosi ipotizzando che fossero riconducibili ad una stimolazione cerebrale. Nel 1975 pubblica la Tectonic Strain Theory (TST) secondo la quale alcune variabili geosfisiche possono essere correlate con avvistamenti di UFO.

Persinger sostiene che i campi elettromagnetici che si producono in occasione dei fenomeni sismici possono stimolare i lobi temporali e produrre avvistamenti di UFO .

Laurence O. McKinney ha pubblicato "Neurotheology : Virtual Religion in the 21st Century" nel 1994 come testo divulgativo ma il libro è stato lanciato da molte riviste come Zygon

Secondo McKinney la neuroteologia colloca lo studio  delle domande religiose nei recenti sviluppi della neurofisiologia :
- lo sviluppo pre-frontale negli esseri umani creerebbe l'illusione del tempo cronologico come parte fondamentale della cognizione a partire dai 3 anni
- l'incapacità del cervello adulto di riportare all'oggi il vissuto del cervello infantile creerebbe domande del tipo : " da dove vengo?" e " dove andrò a finire?".
- questa sarebbe la base da cui vengono create dal cervello tutte le credenze religiose.

La sua ipotesi sull''esperienza della propria morte come di una pacifica e serena regressione fuori del tempo cronologico ha trovato concordi personaggi come il Dalai Lama , il teologo statunitense Harvey Cox (Cox è uno dei più noti teologi cristiani contemporanei e ministro della chiesa battista ; è il maggior rappresentante delle teologie della secolarizzazione.) e lo scrittore britannico Arthur Charles Clarke  , autore di 2001-Odissea nello spazio.

Andrew Newberg, M.D . , Associate Professor of Radiology and Psychiatry nella School of Medicine at the University of Pennsylvania - ricercatore nel campo della medicina nucleare /brain imaging - nei primi anni 90 iniziò a studiare lo sviluppo delle tracce dei neurotrasmettitori per la valutazione dei disordini psichiatrici ,Alzheimer, Parkinson, depressione clinica, traumi cranici, etc. e dei comportameti religiosi .

La sua ricerca include anche la comprensione dei correlati fisiologici dell'agopuntura, della meditazione, e di altre terapie alternative.   Il suo lavoro è stato spesso definito come Neuroteologia e Newberg sostiene la possibilità di una associazione di alcuni meccanismi neurofisiologici con le esperienze religiose .

Ha studiato monaci buddisti in meditazione, suore francescane in preghiera ed ha pubblicato il suo lavoro in The Mystical MindWhy God Won’t Go Away ; e Why We Believe What We Believe (in Italia : Dio nel cervello: la prova biologica della fede, Mondadori 2002). Per lui è stato creato il Center for Spirituality and the Mind at the University of Pennsylvania.

Newberg descrive alcuni processi neurologici che sono sotenuti da stimolazioni ritmiche, ripetitive ,tipiche dei rituali religiosi e che contribuiscono a fornire sensazioni di una connessione con il trascendente ; insieme ad altri ricercatori, sostiene che lo stimolo fisico-chimico di per sè non è sufficiente per generare queste esperienze del trascendente , occorre che intervenga una fusione tra stimolazione ritmica e pensiero.

Quando ciò avviene , la stimolazione ritmica trasforma una idea significativa in una esperienza interiore e questo si spiega con la tendenza costitutiva del cervello di trasformare i pensieri in atti.

Il Dr. Michael Winkelman , del Department of Anthropology, Arizona State University, nel suo libro Shamanism The Neural Ecology of Consciousness and Healing, descrive la base neurobiologica delle esperienze di trance sciamanica.

Secondo W. le pratiche sciamaniche sarebbero state un fattore chiave nella evoluzione umana avvenuta circa 40mila anni fa. Gli sciamani avrebbero aiutato l'uomo ad acquisire conoscenze sullo spirito ed a sviluppare nuove forme di pensiero.

Sinapsiopioid
Con Opioide




Alla base della trance sciamaniche, presente in tutte le epoche ed in tutte le culture con forme simili ci sarebbe una chimica cerebrale che tutti gli uomini possiedono. Secondo W. le pratiche sciamaniche stimolano il sistema della serotonina ed i neurotrasmettitori opioidi  provocando un senso di benessere .

Attraverso strumenti sempre più sofisticati sono state scoperte alcune aree del cervello che si attivano all’idea di Dio e durante esperienze religiose o momenti di “quiete estatica”. Finora, i dati sperimentali indicano “una inclinazione innata” della dimensione del sacro e del trascendente, che si rivelano sentimenti tipicamente umani e universali. " Secondo il neuro scienziato W.S. Ramachandran, l’area coinvolta nell’esperienza religiosa e spirituale è quella di Broca .

Le ricerche di A. Newberg e E. D’Aquili mostrano che il cervello ha una “capacità innata” di trascendere la posizione di un sé individuale. Ciò che si chiama religiosità- aggiungono- è “una funzione o una capacità del cervello”. Il quale è stato geneticamente configurato per “incoraggiare la fede religiosa”.
Il cervello in estasi. Origini neuronali della religiosità di Rudig Braun- (estratto)

(...) Gruppi di neuroscienziati negli Stati Uniti e in Canada ritengono di aver trovato l'origine fisiologica anche delle esperienze mistiche e religiose che possono essere vissute durante la trance più profonda.

Questo nuovo campo di ricerca porta il singolare nome di neuroteologia, e si propone di chiarire in dettaglio, con metodi sperimentali, le origini neuronali della religiosità.

Il rappresentante più noto è il radiologo americano Andrew Newberg, dell'Università della Pennsyivania. Con una tecnica speciale, la tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli (SPECT), Newberg ha sottoposto a indagine buddisti e suore cattoliche con decenni di esperienza nella meditazione.

Nell'interno dell'apparecchiatura per tomografia, i soggetti dovevano tirare una cordicella non appena provassero la sensazione di cadere in estasi o dì subire un'alterazione delle percezione spazio-temporale.

Secondo i dati forniti dalla SPECT, durante l'esperienza di trance estatica risulta più attivo del normale il lobo frontale dei cervello, la regione cerebrale che regola, tra l'altro, la concentrazione e la pianificazione dell'agire.

Nel lobo parietale destro, invece, che presiede alla capacità di orientamento spazio-temporale, l'attività delle cellule nervose è risultata fortemente diminuita. Il lobo parietale è, secondo Newberg, anche la regione cerebrale nella quale l'uomo concepisce l'idea di sé.

Sistema limbico: memoria ed emozioni.
Il sistema limbico è una struttura di connessione tra i lobi cerebrali, consente il trasferimento della memoria, il controllo delle emozioni e delle esigenze vitali (sonno, fame, etc).

Ippocampo e lobo temporaleapprendimento e memoria.
Nell’ippocampo sono elaborate le informazioni relative allamemoria verbale (le parole che usiamo) e visiva (le immagini degli oggetti, delle persone, del mondo esterno), il lobo temporale gestisce l’apprendimento di nuove informazioni e lamemoria a breve termine.

Lobo parietale: programmazione .
Il lobo parietale è la parte di cervello che organizza le nostre attività e che elabora le informazioni spaziali, fornendoci, inoltre, l’esatta sequenza delle azioni da fare quando, ad esempio, ci laviamo, ci vestiamo, prepariamo del cibo.

Lobo frontaleesecuzione.
Il lobo frontale è la parte del cervello deputata al controllo e alle azioni, infatti, inizia e controlla i movimenti, disciplina le capacità di giudizio e il comportamento.

Lobo occipitalefunzioni visive.

In questo modo, si è potuta chiaramente rappresentare l'esperienza riferita dai partecipanti allo studio: essere svegli e concentrati e sentire ugualmente il corpo espandersi e diventare tutt'uno con il cosmo.

Quando, durante la trance, si riduce l'attività dei lobi parietali, commenta Newberg, si perde la capacità di percezione del proprio corpo. 

La persona che medita si percepisce sostanzialmente come puro spirito incorporeo. Inoltre la meditazione accentua l'attività del sistema limbico, la regione dei cervello che associa sensazioni e pensieri. Questa correlazione chiarisce le emozioni forti provate durante le esperienze estatiche e, secondo Newberg, rappresenta anche lo stimolo per indagare simili condizioni.

Altri «neuroteologi», come il neuropsicologo americano Michael Persinger , della Laurentian University di Sudbury, in Canada, ritengono che anche alterazioni a livello dei lobi temporali possano originare esperienze estatiche.

Nei suoi esperimenti egli applica dall'esterno forti magneti in corrispondenza delle opportune regioni cerebrali, ed è così ingrado di indurre nei soggetti esperienze mistiche: alcuni hanno la sensazione di essere sospesi, altri sperimentano un flusso di immagini e di visioni, altri ancora non sentono le voci reali o avvertono la presenza di una forza invisibile.

La conclusione che i lobi temporali siano implicati nelle condizioni di alterazione della coscienza supporta e completa i risultati di ricercatori come Gruzelier. Perciò questa parte del cervello non è deputata solo alla comprensione e al linguaggio, ma permette anche di percepire oggetti, forme e visi e di correlarli a scene metaforiche: le visioni possono nascere da elaborazioni imperfette di elementi visivi. 

Probabilmente, per produrre estasi o trance devono essere ugualmente attive diverse aree dei cervello. Alcune delle regioni coinvolte sono state identificate, ma ora un arduo compito attende i ricercatori: mettere insieme tutti i pezzi del mosaico."


Cercando Dio nel cervello fonte : October 2007 Scientific American Mind   traduzione e riassunto a cura di redazione @corsodireligione.it 

" 15 monache carmelitane sono state studiate mentre meditavano -vestite con una t-shirt e pantaloni da ospedale - dentro una apparecchiatura hi-tech , la tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli ( SPECT).

S.P.E.C.T.

Tappi negli orecchi e testa appoggiata su un cuscino di schiuma -per attuttire il rombo assordante della macchina- le monache si sono assorte in preghiera mentre la macchina generava intensi campi magnetici intorno alla loro testa.

L'esperimento è stato organizzato dal neuroscienziato Mario Beauregard della University of Montreal. Utilizzando la functional magnetic resonance imaging (fMRI), Beauregard ha cercato di mappare le aree del cervello che si attivano quando le monache sperimentano una visione diversa di sè o una intensa unione con Dio.
La ricerca tende a rilevare eventuali correlazioni tra il cervello ed esperienze mistiche piacevoli con l'intento anche poterele stimolare nelle persone che spontaneamente non ne hanno. Si tratta in questo caso di arrivare primi a scoprire farmaci o protocolli che stimolino il cervello a produrre sensazioni spirituali che migliorino la vita delle persone.

Queste ricerche non sono recentissime : i libri di testo di neurologia del 1892 parlavano di una correlazione tra epilessia ed esperienze religiose. Un secolo dopo , nel 1975, il neurologo Norman Geschwind del Boston Veterans Administration Hospital per primo  descriveva clinicamente una forma di epilessia  in cui gli attacchi producevano scariche tra i lobi temporali .

Epilettici di questo tipo spesso parlavano di intense esperienze mistiche tanto che Geschwind ed altri neurologi come David Bear della Vanderbilt University ipotizzarono che scariche anormali e localizzate nel lobo temporale possono provocare ossessioni di tipo religioso o morale.

Esplorando questa ipotesi , neuroscienziati come S. Ramachandran della University of California, San Diego hanno sottoposto alcuni loro pazienti colpiti da questo tipo di epilessia ad un bombardamnento di stimoli verbali di tipo religioso, sessuale e neutro, misurando la galvanic skin response, cioè  le variazioni di resistenza elettrica della cute in corrispondenza delle emozioni che seguivano gli stimoli verbali.

Nel 1998 nel suo libro Phantoms in the Brain (William Morrow), scritto con la giornalista Sandra Blakeslee, Ramachandran riporta che la parola " Dio" suscitava nei pazienti una risposta emotiva abnorme e conclude che questo prova che questo tipo di pazienti può veramente avere una propensione alla religione maggiore di quella di persone sane.

Secondo Ramachandran la chiave sarebbe il sistema limbico che comprende le parti più interne del cervello che regolano le emozioni e la memoria emozionale come l' amigdala e l' ippotalamo.

Potenziando le connessioni tra il lobo temporale e questi centri emozionali l'attività elettrica epilettica attiva i sentimenti religiosi.
Michael Persinger della Laurentian University , Ontario, Canada ha poi cercato di riprodurre elettricamente le emozioni religiose attraverso la stimolazione dei lobi temporali , simulando le scariche epilettiche , con il casco da lui stesso inventato.

M. Persinger ha (2017) codificato l'immagine fMRI di un buddista in meditazione e l'ha ritrasmessa al cervello di persone non religiose in stato di mente non meditativa : hanno provato le stesse sensazioni di quella buddista in meditazione.
Molti pazienti riportavano la percezione di presenze spirituali , oppure una sensazione di unità e felicità cosmica, codificando queste emozioni ciascuno nel proprio linguaggio religioso, cristiano, ebraico piuttosto che buddista o induista.

Persinger ha concluso che l'esperienza religiosa così come la credenza in Dio è semplicemnte il risultato di una attività del cervello stimolato in modo anomalo da campi elettromagnetici. Personaggi come Mosè, Maometto o San Paolo sarebbero semplici fenomeni di stravaganze neuronali . ( cf. : Neuropsychological Bases of God Beliefs , Praeger Publishers, 1987) .
Nel 2005 ricercatori svedesi hanno replicato gli esperimenti di Persinger con il casco di Dio ottenedo risultati differenti ; a tutt'oggi pertanto le neuroscienze non danno per scontata una relazione tra lobo temporale ed esperienza religiosa. L'orizzonte della ricerca si è ampliato : intanto le esperienze religiose non sono tutte uguali e poi ciascuna di esse può coinvolgere parti diverse del cervello.

Andrew Newberg della University of Pennsylvania ed il suo collega Eugene d’Aquili hamnno battuto questa pista. Invece di stimolare il cervello a produrre esperienze religiose questi ricercatori hanno osservato i processi neuronali durante le esperienze religiose spontanee, focalizzandosi soprattutto sulla meditazione buddista.



Nel momento del raggiungimento del sentimento di unità con il tutto iniettavano isotopi radioattivi nel sangue per rilevare le aree del cervello coinvolte ( che richiedevano un maggior afflusso di sangue e venivano marcate da maggiore radioattività) , la tecnica oggi evoluta nella SPECT.

In un testo scientifico del 2001 evidenziavano :
- una diminuzione di attività in una porzione del lobo parietale
- un aumento di attività corteccia prefrontale destra .

A causa della diminuzione di attività del lobo parietale ( che normalmente governa l'orientamento spaziale e la navigazione ) i neuroscienziati congetturano che questo silezio neuronale produca nel buddista la percezione del dissolvimento dei confini spaziali da cui la sensazione di essere uno con l'universo.

Dal canto suo la corteccia prefrontale ( che tra l'altro governa l'attenzione e la programmazione ) aumenta la sua attività in quanto la meditazione richiede una intensa focalizzazione dell'attenzione su un pensiero o un oggetto .

Richard J. Davidson della University of Wisconsin–Madison insieme ai suoi colleghi ha ustao la fMRI in esperimenti su buddisti di tutto il mondo e in un testo del 2002 riportano risultati simili. Newberg e d’Aquili hanno ottenuto ancora risultati simili nel 2003 con la monache francescane .

Questi ricercatori hanno fatto esperimenti anche con islamici ed ebrei ma soprattutto con 5 donne cristiane dotate di glossolalia ( parlare spontanemente in lingue sconosciute durante la preghiera cristiana di invocazione dello Spirito Santo ) . Nel 2006 hanno annunciato che l'attività della intera sezione frontale del cervello ( normalmente usata per l'autocontrollo) diminuiva in questi soggetti e questo spiegherebbe l'emissione di suoni incontrollati .

Beauregard  dal canto suo , nei suoi esperimenti con le 15 monache carmelitane , ha provato a registrare la (fMRI) della sezione dell'intero cervello  , ogni 3 secondi, dei differenti stati di concentrazione mistica e di relazione sociale in ciascuna monaca , richiedendoli dall'esterno alternativamente  alla monaca stessa .

Suor Diane, la priora del convento delle carmelitane di Montreal ha però spiegato ai ricercatori che a Dio non ci si può unire a volontà.

In ogni caso i ricercatori canadesi del Quebec hanno registrato :
- un aumento di attività nel nucleo caudato , addetto all' apprendimento, alla memoria ed all' innamoramento , che spiegherebbe il sentimento di amore incondizionato provato dalle monache per Dio.

insula- un aumento di attività nella isola, un tessuto cerebrale collocato negli strati più esterni addetto a monitorare le sensazioni corporre ed a governare le emozioni sociali, che si spiegherebbe con le sensazioni piacevoli provate nel sentirsi unite a Dio.

- una aumento di attività nel lobo parietale inferiore , dedicato alla coscienza spaziale , dovuta probabilmente al sentimento di sentirsi assorbite in Dio .

Nel Settembre 2006, nel numero del 25 di Neuroscience Letters questi ricercatori parlano anche di
- un aumento di attività nella corteccia orbitofrontale mediana che misura la piacevolezza delle sensazioni
- e nella corteccia prefrontale mediana che governa la coscienza degli stati emozionali ;
infine hanno osservato
- attività maggiore nel centro del lobo temporale.

Il numero di aree coinvolte nella esperienza delle monache indica la complessità del fenomeno e Beauregard conclude che gli stati spirituali sono mediati da un network neurale che è ben distribuito in tutto il cervello.

In ogni caso le scansioni del cervello, da sole non possono descrivere tutto il fenomeno.

Il neuropsicologo Seth Horowitz della Brown University critica il metodo di Beauregard dicendo che in quel modo  non fa che mappare molte aree del cervello quasi che facendo ciò spieghi il fenomeno.

La fMRI è costituita da immagini prese in sequenza con un intervallo dell'ordine dei secondi mentre i mutamenti nelle aree cerebrali avvengono con tempi dell'ordine di millisecondi. Beauregard infatti è poi passato ad utilizzare una tecnologia più veloce , la elettroencelografia quantitativa (EEG).

Le monache hanno ricevuto una cuffia rossa sulla quale sono stati innestati elettrodi che rilevano l'attività di milioni di neuroni in tempo reale.
In questo modo i ricercatori hanno potuto rilevare che durante le esperienze spirituali le onde prevalenti sono onde alfa ,lunghe e lente come quelle del sonno .

In un lavoro non ancora pubblicato i ricercatori affermano di aver rilevato onde di frequenza ancora più bassa ( delta e teta) nella corteccia prefrontale e parietale e nel lobo temporale in corrispondenza di fenomeni di meditazione buddista e trance" .


Dio è spirito, anzi cervello. "I neuroni guidano la fede". di Sharon Begley- fonte : La Repubblica, 31 gennaio 2001

Uno studio dell'Università della Pennsylvania introduce la neuroteologia.
E se l'anelito verso il Cielo non fosse sola anima?

Ms. Begley scrive la colonna settimanale di Scienze sul The Wall Street Journal.

" NEW YORK - Inizia ogni seduta di meditazione, accendendo candele e bruciando incenso al gelsomino prima di mettersi nella posizione del loto. Si concentra sulla sua interiorità, affinché l'essenza che egli considera essere il suo vero io si liberi dai desideri, dalle preoccupazioni e dalle sensazioni corporee. Questa volta però c'è qualcosa di diverso.

Il giovane monaco tibetano ha a fianco a sé una cordicella e nel braccio sinistro l' ago di un'endovenosa. Quando si avvicina all'apice dello stato di meditazione tira la cordicella. All' altro capo, nella stanza accanto, Andrew Newberg , dell'Università di Pennsylvania, sente lo strattone e inietta un mezzo di contrasto. Poi collega il paziente ad una macchina chiamata Spect che consente di visualizzare immagini del cervello ed ecco che la sensazione che l' uomo prova di essere un tutt'uno con l'universo si riduce ad una serie di dati sul monitor.

La regione dell'encefalo posteriore che compone i dati sensori per darci la sensazione di dove l'io finisce e inizia invece il resto del mondo, sembra essere stata vittima di un black out. Privata degli input sensori perché l'uomo è concentrato sulla sua interiorità, questa "zona di orientamento" non può svolgere il suo compito di marcare il confine tra l' io e il mondo.

"Il cervello non aveva scelta", spiega Newberg. "Percepiva l'io come infinito, un tutt' uno con il creato. Era una sensazione del tutto reale".

I primi a studiare l'esperienza religiosa sono stati i neurologi, che hanno scoperto un collegamento tra l'epilessia del lobo temporale e l'improvviso manifestarsi di un interesse religioso nel paziente.

Oggi i ricercatori studiano esperienze più comuni. Newberg insieme a Eugene d'Aquili, ha chiamato questo campo neuroteologia. Nel loro libro Newberg conclude che le esperienze spirituali sono l'inevitabile conseguenza della configurazione cerebrale. "Il cervello umano è stato geneticamente configurato per incoraggiare la fede religiosa".

Anche la semplice preghiera ha un effetto particolare a livello cerebrale.

Nelle immagini cerebrali registrate dalla SPECT riferite a suore francescane in preghiera si notava un rallentamento di attività nell'area deputata all'orientamento, che dava alle suore un senso tangibile di unione con Dio. "L'assorbimento dell'io all'interno di qualcosa di più vasto, non deriva da una costruzione emotiva o da un pensiero pio", scrivono Newberg e d'Aquili in "Perché Dio non se ne andrà". "Scaturisce invece da eventi neurologici".

La neuroteologia spiega come il comportamento rituale susciti stati cerebrali da cui deriva una vasta gamma di sensazioni, dal sentirsi parte di una comunità, all'avvertire un'unione spirituale profonda. Le nenie infondono un senso di quiete che i credenti interpretano come serenità spirituale. Al contrario, le danze dei mistici Sufi provocano una ipereccitazione che può dare ai partecipanti la sensazione di incamerare l'energia dell'universo.

Questi rituali riescono ad attingere proprio a quei meccanismi cerebrali che fanno sì che i fedeli interpretino le sensazioni come prove dell'esistenza di Dio. I rituali quindi tendono a focalizzare l'attenzione sulla mente, bloccando le percezioni sensoriali, incluse quelle che la zona deputata all'orientamento utilizza per stabilire i confini dell'io. Ecco perché persino i non credenti si commuovono durante i riti religiosi.
"Finché il nostro cervello avrà questa struttura", dice Newberg, "Dio non andrà via".


Nel cervello c'è Dio. di Sharon Begley con Anne Underwood-Newsweek - L'Espresso 24.05.2001

Fervore mistico. Senso del sacro. Illuminazione... Ogni stato spirituale si riflette in un fenomeno cerebrale. Che gli scienziati fotografano. Per spiegare perché la nostra mente cerca l'infinito.

È una domenica mattina di marzo di 19 anni fa, a Londra. James Austin, neurologo, è in Inghilterra per il suo anno sabbatico. Si trova a una stazione della metropolitana e sta aspettando il treno. Non vi è nulla di diverso dal solito.

All'improvviso, viene invaso da una sensazione che gli pare di illuminazione, qualcosa mai provato prima. Il senso di esistenza individuale, di separazione dal mondo fisico circostante, svanisce. "Il tempo non esisteva più", ricorda oggi: "Provavo una sensazione di eternità. Desideri, avversioni, paura della morte, si erano dissolti.

Avevo avuto in dono la comprensione della natura ultima delle cose". Chiamatela esperienza mistica, momento spirituale, persino illuminazione religiosa se volete.

Ma ad Austin non è bastato. Invece di interpretare il suo istante di grazia come la prova di una realtà che va al di là della comprensione dei nostri sensi, e men che mai come prova di un'esistenza divina, lo ha considerato "la prova dell'esistenza del cervello".

Da neurologo, condivide la tesi per cui tutto ciò che vediamo, udiamo, sentiamo e pensiamo è mediato o creato dal cervello. E quell'esperienza fu l'inizio di un'avventura scientifica: esplorare le basi neurologiche dell'esperienza spirituale mistica. Da quell'avventura nacque un libro di 844 pagine, "Lo Zen e il cervello", pubblicato, si badi, non da qualche stravagante editore amante della New Age ma dalla Mit Press nel 1998.
E con questo nacque una nuova scienza: la neuroteologia, lo studio della componente neurobiologica della religione e della spiritualità. Che negli ultimi anni ha coagulato un bel po' di interesse, risultato in articoli scientifici e libri. Come "Why God Won't Go Away", pubblicato ad aprile da Andrew Newberg della University of Pennsylvania insieme allo scomparso Eugene d'Aquili.

Utilizzando le immagini cerebrali raccolte "fotografando" il cervello di monaci buddisti immersi nella meditazione e di suore cattoliche intente alla preghiera, i due neurologi raccontano quello che sembra essere il circuito della spiritualità nel cervello e spiegano perché i rituali religiosi hanno il potere di scuotere credenti e non.

L'obiettivo è la scoperta delle basi neurologiche delle esperienze spirituali e mistiche; ovvero, ciò che avviene nel nostro cervello quando "sentiamo di aver incontrato una realtà diversa da quella quotidiana, e in qualche misura superiore ad essa", come dice lo psicologo David Wulff del Wheaton College nel Massachusetts.

I neuroteologi cercano di individuare quali regioni si attivano, e quali si disattivano, durante esperienze che sembrano esistere fuori dal tempo e dallo spazio. Sebbene il tema sia del tutto nuovo e le risposte solo provvisorie, una cosa è chiara.

" Le esperienze spirituali si configurano come tali in ogni cultura e fede"
, dice Wulff, "tanto da far pensare a un nucleo comune che è un riflesso di strutture e processi all'interno del cervello umano".

"Sentivo l'energia concentrarsi in me. uscire verso lo spazio infinito, per poi tornare. Sentivo un profondo allentarsi dei confini intorno a me, e un collegamento con una qualche forma di energia e di essenza piena di chiarezza, trasparenza e gioia",

Così Michael J. Baime, collega di Newberg, scrive ciò che prova quando pratica la meditazione buddista tibetana. Uno degli esperimenti più comuni raccontati nel libro di Newberg, lo vedeva seduto in meditazione tra incensi e candele con al suo fianco, una cordicella. Concentrandosi su un'immagine mentale, Baime acquietava la sua mente fino a far emergere quello che lui stesso definisce il suo vero io interiore.

Una volta raggiunto il picco d'intensità spirituale, dava uno strappo alla cordicella. Newberg che teneva in mano l'altra estremità della fune, sentiva tirare e iniettava un tracciante radioattivo in una cannula inserita nel braccio sinistro di Baime. E così lo sottoponeva a SPECT, ossia tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli, una tecnica che rileva il flusso sanguigno nel cervello, flusso che è correlato all'attività neuronica.

Le immagini Spect consentono di scattare un'istantanea di un'esperienza trascendentale. A Baime si era illuminata la corteccia prefrontale, sede dell'attenzione. Ma quello che era emerso era un acquietamento dell'attività neuronale nel lobo parietale superiore. Questa regione determina il punto in cui termina il corpo e comincia il resto del mondo.

"Se blocchiamo gli input sensori verso questa regione, come accade durante l'intensa concentrazione tipica della meditazione, si impedisce al cervello di operare la distinzione fra io e non-io",
dice Newberg.

Non arrivando più informazioni dai sensi, l'area di orientamento di sinistra non può rilevare il confine tra l'io e il mondo. Di conseguenza, il cervello sembra non avere altra scelta se non quella di "percepire l'io come eternamente intrecciato con il tutto", scrivono Newberg e d'Aquili.

La stessa operazione fatta sul collega, i due neurologi l'hanno fatta su altri meditatori buddisti e su una coorte di suore. Lo stesso risultato. Quando Suor Celeste pregando arriva a "sentire Dio", la Spect rileva cambiamenti uguali a quelli intervenuti nei meditatori buddisti: l'area di orientamento si scuriva.

"Il fatto che le esperienze spirituali possano essere associate a un'attività neurale non significa che siano mere illusioni neurologiche", precisa Newberg: "Sarebbe come attribuire a un'illusione il piacere che proviamo mangiando una torta. Non vi è modo per stabilire se i cambiamenti neurologici associati a un'esperienza spirituale significano che il cervello sta causando quell'esperienza o, al contrario, sta percependo una realtà spirituale".

In realtà, alcune delle stesse regioni cerebrali coinvolte nell'esperienza della torta creano anche esperienze religiose. Quando l'immagine di una croce o di una torah rivestita d'argento provoca una sensazione di religioso rispetto, la causa va ricercata nell'area del cervello preposta alle associazioni visive, che interpreta quello che l'occhio vede e collega le immagini a emozioni e ricordi. Le visioni che nascono durante un rito o una preghiera vengono generate anche nell'area associativa: la stimolazione elettrica dei lobi temporali produce visioni.

L'epilessia dei lobi temporali - scariche abnormi di attività elettrica in queste regioni - porta agli estremi questo fenomeno. Anche se alcuni studi hanno sollevato dubbi sulla connessione fra epilessia dei lobi temporali e religiosità, altri hanno concluso che questa condizione sembra indurre visioni e voci religiose particolarmente vivide.

"Non tutti coloro che meditano provano esperienze religiose forti", dice Robert K.C. Forman, studioso di religione dell'Hunter College di New York: "Pensiamo che alcuni individui possano essere predisposti geneticamente o caratterialmente ad avere esperienze mistiche". Le persone più aperte a queste esperienze tendono anche ad essere aperte a nuove esperienze di natura più generale. Sono di solito creative e innovative, con molti interessi e una certa tolleranza per l'ambiguità.

Sono inclini alla fantasia, nota David Wulff, "suggerendo una qualche capacità di sospendere il processo di discernimento che permette di distinguere tra fatti reali e immaginari". Dato che "tutti noi abbiamo i circuiti cerebrali che mediano le esperienze spirituali, è probabile che molte persone abbiano la capacità di avere queste esperienze", dice Wulff: "Ma è possibile precludere questa capacità. Se uno è razionale e non incline alla fantasia, probabilmente rifiuterà l'esperienza".

Nonostante gli iniziali successi conseguiti dagli scienziati nella ricerca delle basi biologiche dell'esperienza religiosa, spirituale e mistica, c'è un mistero che resterà sicuramente tale. Essi potranno scoprire un senso di trascendenza nella nostra materia grigia e magari anche un sentimento divino, ma è probabile che non riusciranno mai a risolvere il più grande di tutti gli interrogativi, vale a dire se è il nostro cervello a creare Dio o se è stato Dio a creare il nostro cervello. Quale che sia la vostra risposta, è questione di fede. "


COSA SUCCEDE NEL CERVELLO QUANDO SI PENSA A DIO. di Elena Dusi La Repubblica, 10 marzo 2009 

" Uno studio americano a cui ha partecipato anche Giovanna Zamboni, ricercatrice italiana all’università di Oxford .
«Lo stolto ha detto in cuor suo: Dio non c’è» (Anselmo d’Aosta) .

" Se si parla di religiosità, si attiva una specifica area cerebrale.  La risonanza magnetica fotografa reazioni simili in credenti e non credenti . 

Se Dio esiste, il cervello dell’uomo è lo specchio ideale per rifletterlo. Ecco la zona del cervello dove nasce la fede in Dio.
"

Nei credenti come nei non credenti, la questione dell’esistenza di un aldilà impegna aree della corteccia cerebrale molto evolute che sono - così come la facoltà di credere in una divinità - assenti nelle specie diverse dall’uomo. 

Con una serie di domande a sfondo religioso e una "macchina fotografica" del cervello come la risonanza magnetica funzionale, un gruppo di ricercatori del National Institutes of Health (Nih) americani è andato a pizzicare le aree del senso divino.

Le immagini delle varie porzioni di cervello attivate da domande come "la vita ha fini superiori ?" o "che effetti ha l'ira divina?" appaiono sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas).

"L’argomento è delicato. Il nostro obiettivo non era trovare Dio nel cervello, ma capire cosa accade nel cervello quando si pensa a Dio" spiega Giovanna Zamboni, la ricercatrice italiana oggi all’università di Oxford che ha partecipato alla ricerca quando era ai Nih.
"Abbiamo scoperto che chi non crede reagisce alle domande sulla fede in maniera simile a chi crede. Indipendentemente dalla risposte che ognuno si dà, gli strumenti intellettivi usati per affrontare il tema del divino sono comuni a tutte le persone".
Chiedendo a una sessantina di volontari se Dio è coinvolto o meno nelle vicende del mondo, attraverso domande come "la sua volontà guida i tuoi atti?" o "ti aspetti una punizione da lui?", nel cervello si attivano aree della corteccia frontale legate al pensiero astratto e alle decisioni su quale sia il comportamento migliore da adottare.

Riflettendo sulle emozioni attribuite a Dio (rabbia, amore, senso di protezione), l’organo del pensiero reagisce esattamente come se si trovasse di fronte a un’altra persona e cercasse di decifrare il suo stato mentale attraverso le espressioni del viso o i comportamenti.
Dottrine complesse come la trinità o la creazione del mondo hanno bisogno della funzione del pensiero astratto, molto specializzata nella nostra specie. Ricordare invece preghiere o cerimonie particolari attiva l’area visiva del cervello. Giorgio Vallortigara, che insegna neuroscienze all’università di Trento e ha scritto con Telmo Pievani e Vittorio Girotto "Nati per credere", commenta che

"probabilmente nel cervello non esiste un modulo specifico per l’idea di Dio, ma la fede nel soprannaturale si appoggia a strutture cerebrali".La psicologia della religione "è nata per spiegare come mai le diverse espressioni di fede mostrano nuclei comuni, come se esistesse un nocciolo di credenza universale con una base biologica nel cervello"

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