Corso di Religione

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INDUISMO
L'etica
         


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L'ordine morale universale Brahman agisce dal profondo dell’universo , celeste e terrestre, fisico, mentale, spirituale…attraverso il suo  dharma santo che è Legge Morale Divina. L'uomo che nasce, in realtà è una individualità che rinasce oppure è la reincarnazione di un santo che ha lasciato il Paradiso per fare un cammino di perfezionamento del suo essere.

Alla nascita, colui che rinasce riceve un involucro karmico il cui contenuto è stabilto dal Karman. L'uomo che rinasce è fatto di desideri (kama) e tutti  i suoi pensieri, parole ed azioni creeranno karma.
L'essere umano nasce libero, il suo karma non è un destino immutabile a lui esterno, ma questa libertà si manifesta, agisce, entro i confini del karma. Sin dai primi documenti (nel Rig-Veda) il desiderio (kama) si presenta come una delle forze cosmogoniche primordiali,  fattore decisivo del destino, felice o infelice, dell'uomo. E' detto: 

«di desideri è fatto l'uomo e, in verità, quali i suoi desideri (kama), tale la sua ambizione. E quale l'ambizione, tali le sue azioni. E quali le azioni compiute, tale l'uomo. Come uno agisce, come uno cammina, così egli è. Chi agisce bene, diventa buono; chi agisce male, diventa malvagio. L'uomo diventa buono per mezzo delle opere buone, malvagio per mezzo delle opere malvage» 
(Brihad-Aranyaka-Upanishad, 4, 4, 5-6).

L'aggiunta del karma, «azione, opera» cioè l' «effetto buono o malvagio» al kama «desiderio» - già testimoniato in una Upanishad anteriore alla dottrina di Sandilya, la Chandogya Upanishad , è una innovazione che avrà profonde ripercussioni nella filosofia e nella religione posteriore.

«Prendimi la mano, caro Artabhaga; di ciò dobbiamo parlare a tu per tu. Non possiamo farlo in pubblico. E, appartatisi, iniziarono la conversazione, nella quale lodarono il Karma (azione): per mezzo delle azioni buone l'uomo diventa buono; per mezzo delle malvage, malvagio»
(Brihad-Aranyaka-Upanishad, 3, 2, 13).

In questo confidenziale colloquio si afferma che il Karma è in grado di impedire che l'Atman, «spirito, anima» individuale ' si identifichi con l'Atman-Brahman, poiché se il risultato finale del karma è malvagio, l'Atman individuale deve rinascere. (Qui si ha forse un accenno della negazione dell'atman individuale, più tardi definito dal buddhismo.) 

I desideri (moventi delle azioni, kama) e le azioni e le catene di conseguenze (karma) possono essere in armonia con il Dharma o in disarmonia con esso (adharma).L'Induismo parla di :
-karma bianco (impulsi per azioni secondo il dharma)
-di karma grigio ( impulsi per azioni non proprio in armonia con il dharma)
-di karma nero ( impulsi per azioni contrarie al dharma, adharma) .

Tutti, a volte, abbiamo la sensazione di aver compiuto qualcosa di sbagliato. Cosi', allo stesso modo, a volte ci troviamo a fare qualcosa per gli altri che ci procura la sensazione di aver meritato una calorosa approvazione pubblica. Nella vita quotidiana vediamo spesso accadere cose cattive a persone buone e cose buone accadere a persone cattive. Perche?

Ciascuno di noi viene premiato o punito durante ogni fase della vita dalle azioni buone e  cattive della vita e delle vite del  passato.

2,14«le esperienze di piacere e dolore sono risultati di meriti e demeriti, rispettivamente. »
KAIVALYA UPANISHAD (PRABHAVANANDA)


L'intuizione di un ordine morale e' qualcosa di piu' di una semplice convenzione sociale, è una esperienza universale,  l' esperienza morale .
Esiste nell'universo un ordine morale,  quello che tutti intuiamo , per cui ciascuno è causa del proprio patire o gioire. Questo ordine morale universale si è rivelato nell'Induismo : il Sanatana Dharma. L'etica dell'induismo é basata sull'unità di tutta l'esistenza : se ingiurio qualcuno, ingiurio me stesso ; se aiuto qualcuno, aiuto me stesso. Il principio dell'unità del tutto fornisce un'etica universale dichiarando che l'individuo e il mondo,  non fanno che Uno.
Ciascuno puo' nel presente :
- acquisire premi ed evitare punizioni per la nascita futura,
- così come puo' purificarsi del proprio karma (estinguerlo) e raggiungere la liberazione .

L'etica induista orienta alla espiazione del karma : attraverso l'adeguamento al Santo Dharma si raggiunge la salvezza, la liberazione .

Colpa, pena e perdono: la prospettiva induista http://confronti.net 13 Settembre 2018 - di Sundari Devi (Psicologa psicoterapeuta, membro della commissione Scuola e formazione dell’Unione induista italiana)

Colpa, pena e perdono soggiacciono tutti a un principio di giustizia da cui si trae ispirazione o da cui si devia. Tale idea di giustizia costituisce l’ossatura dell’induismo come testimonia la sua definizione tradizionale: sanatana dharma.

Dharma, tra i suoi molti significati, traduce anche “norma”, “ordine”. È la norma universale che sottende i fenomeni alla base dell’ordine cosmico, detto rtam; è l’intelligenza divina che sostiene la manifestazione nelle sue leggi naturali di ordine fisico, così come in quelle relazionali e etiche.

Il dharma ha un carattere multidimensionale; vi è un ordine generale e eterno che comprende quelle virtù sempre valide indipendentemente dal tempo o dal luogo, quali la nonviolenza, la verità, l’amore, la compassione, il principio del donare e di partecipazione alla vita. A questo dharma generale se ne affiancano numerosi altri specifici, relativi alla condizione che ciascun essere umano vive, al proprio ruolo nella società e alle proprie attitudini. In sintesi, il dharma costituisce il codice dei diritti e doveri di ciascuno; rappresenta la guida per l’azione, la discriminante fra il giusto e l’errato in ciascun comportamento.

È nel concetto di unità, di identità con tutto l’esistente, che sta la radice del bene e, al contrario, nel concetto di separazione che sta la radice del male, adharma. Il male nell’induismo non ha realtà ontologica, ma nasce dall’ignoranza (avidya) della vera natura di ogni essere, ed è dalla conoscenza della realtà che nasce la possibilità dell’emancipazione dal vincolo e della piena identità con il Divino.

Date queste premesse si evince che la condizione umana, finché vi è identificazione con l’ego, è soggetta a errore. Motivo per cui le Scritture e gli insegnamenti dei maestri sottolineano l’importanza di una giusta condotta (sadachara) e di una buona compagnia (satsangha). Deviare da questi due “binari guida” comporta il rischio di sbagliare e inevitabilmente di soffrire o di far soffrire altri in un tempo più o meno breve.

Ciò si incardina sulla legge di causa-effetto, il principio di responsabilità dell’azione che include anche il libero arbitrio: ciò che mi accade è frutto delle mie azioni passate, ma è mia libertà l’atteggiamento con cui giocare le carte che la  vita mi ha messo in mano modificando così progressivamente il presente e il futuro.

Tenendo saldo il rispetto delle leggi dello Stato in cui ci si trova a vivere, il reato chiama in campo due fattori principali: la pena e il perdono.

Nelle Scritture si menzionano diverse forme di espiazione, prayascitta; tra queste il pellegrinaggio ai luoghi sacri, il digiuno, la preghiera, rituali specifici, la detenzione, e altre. In questa ottica è importante la sequenza del rendersi conto dello sbaglio o dispiacere per la sofferenza prodotta, per poi chiedere scusa (o riparare, per quanto possibile, in maniera diretta o indiretta) per produrre un cambiamento al fine di non ripetere più l’errore.

La trasformazione radicale dal peccato alla santità non è nuova nella storia delle religioni. Molti santi ebbero trascorsi di delinquenti o addirittura di assassini, eppure seppero da queste gravi colpe cogliere lo stimolo a cambiare radicalmente la propria vita e dirigerla verso Dio. Ne è un esempio eccelso il saggio Valmiki. Da ladro e assassino qual era si sottopose a un’austerità estrema, fino a purificare ogni suo errore, divenendo un grande saggio dall’animo puro e nobile.

Nell’uomo comune, se il pentimento è autentico, sarà lo stesso autore del reato a volersi purificare dalla sua azione scorretta e l’accettazione del carcere è un modo per incominciare a pagare il proprio debito. La sofferenza della privazione della libertà e dell’allontanamento dalla propria vita, dagli affetti e dalla comunità di appartenenza, se affrontata in modo consapevole, può trasformarsi in opportunità.

La pena ha e deve sempre mantenere il fine di educare o di rieducare, anche attraverso il lavoro, ai valori del dharma, della nonviolenza, i quali fra l’altro sono trasversali a tutte le religioni e anche ai non credenti. Il lavoro diviene anche un mezzo attraverso cui poter restituire, in senso lato, ciò che il colpevole ha “tolto” alla società.

Ovviamente è importante la creazione di una relazione umana, tra operatore carcerario e detenuto, fatta di rispetto, di capacità di entrare nel “linguaggio” della persona per condurla in questa presa di coscienza, restando attenti alle trappole del buonismo, del giustificazionismo, dell’attribuzione della “colpa” alla fantomatica società, in quanto – pur esistendo ovviamente condizioni di vita più o meno favorevoli – la responsabilità delle azioni è individuale e individuale ne è la soluzione, compresa la volontà di trarre giovamento dall’aiuto offerto al miglioramento di se stessi.

L’induismo poi ha a sua disposizione anche lo yoga; se approcciato nella sua autentica matrice filosofica e spirituale, offre un cammino di consapevolezza, di presenza mentale innanzitutto nel corpo e poi nel respiro, per orientare successivamente la psiche alla purificazione delle impressioni inconsce.

Affinché ciò possa avvenire è necessario che gli Istituti di detenzione abbiano sempre a cuore la dignità della persona; permettano di mostrare dei modelli di buon comportamento e attuino il principio di etica della cura così ben insegnato dal Mahatma Gandhi.

Se la colpa fosse simile a una malattia, la medicina deve consistere di ascolto, fermezza, disciplina, compassione per la comune condizione di perfettibilità, ma soprattutto di perdono. Lo stesso dicasi per le vittime e le loro famiglie.

Il processo del perdono è un po’ più facile se si vede nel “carnefice” il percorso di cambiamento a cui abbiamo più sopra accennato, ma anche in questo caso è un cammino che richiede del tempo. I perdoni immediati da intervista televisiva sono poco credibili, a meno che il diretto interessato non sia un illuminato che ha già realizzato il senso della vita!

Aver subìto una perdita ad opera della cattiva volontà altrui mette in gioco processi psicologici profondi: la propria sofferenza e quella delle persone amate, gli attaccamenti anche materiali, il senso della giustizia e dell’ingiustizia, le credenze spirituali. Il risentimento, intriso di dolore, di rabbia e di paura, è la reazione umanamente più naturale, ed è solo con un delicato lavoro di trasformazione che è possibile arrivare al perdono.

Talvolta, infatti, la consapevolezza del male inferto quindi della propria colpa da parte del detenuto costituisce la condanna più grande, perché se è vero che perdonare un altro può essere difficile, perdonare se stessi può risultare impossibile. La ferita, di chi è davvero pentito, resta come un solco indelebile nel cuore. Il perdono libera “vittima” e “carnefice” dal rancore, il quale fra l’altro penalizza entrambi.

Infine, anche per la vittima la sofferenza può trasformarsi in una preziosa opportunità di miglioramento di se stessi attraverso l’attribuzione di un senso positivo, per quanto doloroso e difficile, a un’esperienza negativa. Si può diventare più forti e più in grado di aiutare ad esempio chi ha vissuto vicende simili, accettando la propria storia e trasformandola in un’opportunità di crescita.

«Il perdono è una virtù; è sacrificio, è il Veda […]; il perdono è Dio stesso; è verità; […] è santità; è dal perdono che tutto questo universo è tenuto insieme». (Mahabharata, III.29).


Le 5 Verita'
Ci sono diverse filosofie in India, ma tutte sono nate dal concetto di ricerca del proprio Sè.  Per raggiungere l'Infinito, il Brahman secondo il pensiero degli Rshi (antichi veggenti) bisogna comprendere cinque Verità.

LA PRIMA VERITA' è la certezza di Brahman, l'assoluto, l'anima cosmica, la verità. Tutto è emanato da Brahman che rimane intatto e tutto deve tornare ad esso.

LA SECONDA VERITA' è la certezza di «Atman»: il riflesso del Brahman, l'anima dell'uomo , l'individuo, che è eterna.

LA TERZA VERITA' è la certezza di Samsara, che significa «movimento costante» (lunghissimo ciclo della nascita, vita e morte): l'esperienza dell'Anima.

LA QUARTA VERITA' è la certezza di Tapas: l'aspirazione di Atman di liberarsi dalla nascita e dalla morte, per raggiungere la sua origine, Brahman.

LA QUINTA VERITA' è la certezza di Mukthi , la liberazione dell'Atman dall'illusione ( maya) : un giorno tutti raggiungeremo la nostra origine, cioè il Brahman.


Solo nella divinità si trova la liberazione dalle sofferenze .

Il numero 4
Nella tipica predilezione per la classificazione del pensiero indiano, il numero quattro ha un posto particolare (anche se non il più rilevante):

-quattro sono i Veda
-quattro sono le caste , le divisioni sociali (anche se nascono innumerevoli sottocaste)  e l'induismo brahmanico tuona contro la confusione fra le caste e contro il matrimonio esogamico
-quattro sono gli stadi della vita dell'uomo, che in teoria , se non in una vita sola, attraverso le varie reincarnazioni dovrebbe sperimentarli tutti, dallo studente al «rinunciante» (sannyasin); 
-quattro sono anche gli scopi della vita, tre di carattere pratico e il quarto , la liberazione (moksha) , da perseguirsi in ogni stato della vita, e di ogni vita, ma particolarmente quando si è raggiunta la condizione di «rinuncianti».

I 4 stadi della vita
I brahmini hanno concepito lo sviluppo della vita spirituale dell'uomo secondo quattro stadi.

-Il primo stadio comincia a dodici anni e può protrarsi per diversi anni. Il giovane è tenuto alla castità perfetta, alla disciplina, all'ascesi e all'obbedienza al guru.
- Nel secondo stadio il giovane si sposa, diventa capo della casa, padre di famiglia e si occupa dell'attività secolare.
- Nel terzo stadio, quando l'uomo vede le rughe sul suo volto, i suoi capelli diventano bianchi ed è nato il figlio di suo figlio, egli può vivere momenti di ritiro dalle preoccupazioni mondane per cedere il posto alle nuove generazioni e pensare all'etemo. Le forme di ritiro sono molteplici e piuttosto elastiche.
- Il quarto ed ultimo stadio è caratterizzato dal distacco radicale e totale da tutto ciò che lega al desiderio. Chi entra in questo stile di vita è il samnyasin, l'asceta rinunciatario che rinunzia anche a se stesso, raggiunge la libertà interiore e la serenità, va nella foresta e trascende i doveri di casta sociale. Spesso il numero quattro trascende i primi tre e crea una dialettica nei loro confronti. Anche il quarto stadio della vita individuale si inserisce in questa dialettica.

I 4 gradini dell'ascesi
I sadhu ( maestri o santoni) sono fonte di insegnamenti per tutte le comunità laiche induiste.

Tradizionalmente viene consigliato uno stile di vita finalizzato alla liberazione dalla sofferenza , nella divinità, ponendo fine così alla catena delle rinascite che è causa di tutti i nostri dolori.

Per raggiungere questa finalità si deve percorrere una scala di 4 gradini :


1-ARAM = fare l'elemosina e vivere rettamente non facendo male agli altri , purificando corpo e anima
2-PORUL =trovare la prosperità per arricchire la vita
3-INBAM = avere entusiasmo  e contentezza nella vita
4-VIDU = liberare il proprio destino nel Brahman.

Chi rimane attaccato ai piaceri della vita si ferma ai primi 3 gradini e rinasce.


Bhagavad Gita: Krishna…«..chi trova la sua gioia nel bene di tutte le creature  , raggiunge in verità il mio stesso essere…»  

I 4 valori della vita nel santo Dharma
· Spirituali: verità,bellezza,amore e rettitudine  
· Intellettuali: chiarezza, argomentazione, acume, il   saper fare
· Biologici: salute, resistenza, vitalità  
· Materiali: ricchezze, possedimenti, piaceri.
 

L'induismo ha riconosciuto la portata dei valori terreni dell'esistenza.
Il primo valore è l'amore sessuale, Kama, da vivere entro i limiti del Dharma. Esso assume una dimensione sacrale, culturale e sacrificale. 
Il secondo è l'aspirazione alla ricchezza, Artha, alla cui radice sta la volontà di agire e di potere e che rende. possibile la politica e l'economia.

L'amore

Krishna, incarnazione 8^ di Vishnu  è  la forza universale dell’amore oblativo  e i valori che il suo culto porta sono :  

· Ahimsha o nonviolenza  
· Satya  o pienezza di verità  
· Brahacharya o ricerca incessante del Brahman con l’ascesi  
· Maiti o amicizia  
· Dharma o compimento dei propri doveri  
· Karuna o compassione  
· Viiria o fortezza d’animo  
· Dama o autodisciplina fisica e mentale  
· Shaungha o purità fisica e mentale  
· Datta o generosità  


Le 4 caste sociali
La comunità induista è divisa in caste sociali, frutto del karma di ciascuno: ciascuno rinasce nella casta in cui il karma lo pone.

Secondo l'Induismo tradizionale la società hindu deve essere divisa in classi, in 4 Caste sociali rigidamente separate.

Ci sono 4 caste principale che riflettono il colore della pelle:

1-bianca-brahmana, bramini e sacerdoti
2-rossa-ksatriya, nobili, principi e guerrieri
3-gialla-vaisya, contadini, artigiani e mercanti
4-nera-sudra, servitori.

Ci sono poi i fuori casta, i paria, divisi in 3000 caste inferiori.  


Nella società ci sono  molti rinati in condizioni pessime, ladri, handicappati, miseri..e giù giù fino ai  parya gli ultimi degli ultimi, gli  intoccabili  e inaiutabili che devono scontare il loro karma negativo.

Le caste, i Vama, le jati, che secondo il Rig Veda sono di origine divina, assegnano il ruolo di ciascuno, costituiscono la società cromatica dell'India, sono il terreno umano su cui è fondata la civiltà indiana.

Le caste  appartengono al Dharma, cioè all'ordine Universale. Il loro progetto voleva esprimere una società che tenesse conto delle diversità, facesse rispettare l'identità culturale e sociale di ogni gruppo sociale e offrisse una gerarchia di valori in cui la 

1- superiorità dei brahmani (o bramini, sacerdoti hindu) 
2- sulla casta dei guerrieri, 
3- dei produttori dei beni di consumo (artigiani e commercianti)
4- e dei sudra, i prestatori d'opera, (operai e braccianti)

... doveva significare il primato dei valori etici e spirituali: 

1- austerità,
2- non violenza, 
3-integrità 
4- e purezza spirituale.
 


Purtroppo questo sistema spesso degenerò creando ingiustizie e lacerazioni, le cui ferite sono ancora visibili nella società indiana. Attualmente le caste sono bandite dalla costituzione, ma non completamente dalla religione.

Le caste sono anche il paradigma del funzionamento del karma:
Bhagavad Gita: «..gli uomini raggiungono la perfezione svolgendo ciascuno il suo dharma specifico..»  

... I brahmini facendo bene i brahmini ( quiete, dominio di sé, ascesi, incontaminazione, pazienza, rettitudine, conoscenza e fede..
I ksatriyia facendo bene i guerrieri ( eroismo, fortezza, costanza, destrezza, valore, liberalità, politica…)
I vaisya facendo bene i lavoratori ( operosità, onestà, destrezza, creatività,…
I sudra facendo bene i servitori…( rispetto dei doveri, obbedienza alla autorità, sottomissione…etc.)
 

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