Piccolo Corso Biblico

STORIA DELLA SALVEZZA

Gli dèi in Palestina

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Gli dèi di Israele cf.: C. Grottanelli - La religione d'Israele prima dell'Esilio - in : Ebraismo a cura di G.Filoramo-2007

" Molteplici sono le divinità cui, secondo fonti bibliche troppo spesso dimenticate, prestavano culto i figli d'Israele.
-Baal

... Non ne seguiremo che una: il dio Baal , spesso presentato al plurale «i Baalim» (ba'alim), e uguale nel nome (che è però nome generico, e significa «signore», «padrone») a numerosi dèi di vari politeismi antichi dell'area siro-palestinese.

A questo dio tributava un culto Israele al tempo del giudice Gedeone (Giud. 6): il giudice stesso porta all'inizio un nome, Ierrubbaal, composto con quello del dio; ma poi distrugge, per comando di Yahweh, l'altare di Baal e ne taglia l' ' asherah '.

Più tardi, però, i figli d'Israele tornano a servire i Baalim e le Astarti (Giud. 10,6).
In I Sam. 7,4 e 12,10 si narra che la casa d'Israele abbandona pentita, al tempo di Samuele, i Baalim e le Astarti. In I Re 16,31 e 32 il re Ahab di Israele (869-850 a.C. ca.) edifica in Samaria sua capitale un santuario e un altare di Baal: in questo caso Baal è presentato chiaramente come divinità straniera, perché Ahab è detto Re per influsso della regina Iezabel, figlia di Ethbaal re dei Sidonii (probabilmente un re di Tiro).

I Re 18,18 presenta i profeti di Baal, sconfitti in una gara e fatti poi sterminare dal profeta di Yahweh, Elia; questi annuncia che, quando, in seguito al colpo di stato di Iehu (842 a.C. ca.), unto re da Eliseo, una strage sancirà il nuovo potere in Samaria, saranno risparmiati in Israele settemila uomini, «cioè tutte le ginocchia che non si sono piegate davanti a Baal e tutte le bocche che non lo hanno baciato» (I Re 19,18).


-Astarte

Baal è ancora servito da Ahazia re d'Israele (850-849 a.C. ca.) secondo I Re 22,54, mentre II Re 10,19 presenta la strage dei fedeli di Baal sotto Iehu annunciata da Elia e II Re 11,18 narra la distruzione del santuario di Baal in Samaria.

Non è inverosimile che il Baal di Ahab e di Ahazia di Samaria sia effettivamente un Baal fenicio, concordemente con la notizia biblica citata che ne collega il culto all'influsso della fenicia Iezabel: nel corso del IX secolo a.C. al Baal di Tiro, Melqart, dedicava una stele il re arameo di Aleppo Bar Hadad, e quella stele è oggi al Museo di Aleppo (Bonnet, 1988).

Ma ciò non sembra valere per i Baalim o il Baal collegati al giudice Gedeone e ai tempi di Samuele. Né appare probabile che sia un Baal «straniero» quel Baal di cui è presentato un culto in Israele da II Re 17,16, ove si legge che in quel regno i figli d'Israele «rigettarono tutti i precetti di Yahweh loro dio e si fabbricarono idoli fusi, due vitelli, costruirono un' 'asherah e si prostrarono davanti a tutta la schiera celeste e adorarono Baal».

Il riferimento è al regno di Osea, ultimo monarca d'Israele (732-724 a.C. ca.), che fu imprigionato quando gli Assiri presero Samaria: si noti che Baal appare qui accanto a culti astrali e ai due vitelli che sono certo presentati come una replica di quelli fatti fabbricare da Geroboamo I in I Re 12, a loro volta simili al vitello di Aronne.

Abbiamo certo a che fare con culti israeliti considerati ormai come tradizionali. Baal e un' 'asherah compaiono insieme anche nella notizia di II Re 21,3, ove al re Manasse di Giuda (687-642 a.C. ca.) si attribuiscono questi due culti, mentre per la riforma di Giosia (640609 a.C. ca.) si menziona la distruzione degli oggetti relativi al culto di Baal nel Tempio di Gerusalemme, e l'eliminazione dei sacerdoti che offrivano incenso a Baal, al sole, alla luna, alle costellazioni e alle schiere del cielo, in modo simile a quanto troviamo in II Re 17,16.

Ball Shamin SiriaTempio al Baal Shamin-Palmyra,Syria

Che tali culti potessero essere intesi come ben integrati in una religiosità tradizionale tipica di quel santuario è almeno possibile. Infatti ai re di Giuda, in modo generico, è attribuita la costruzione dei «cavalli del sole» che furono rimossi da Ezechia quando quel re riformatore (715-686 a.C. ca.) bruciò anche il carro del sole (// Re 23,4) ; ma addirittura a Mosè è ascritta la fabbricazione del serpente di bronzo che in Gerusalemme i figli d'Israele incensavano, e che pure Ezechia dovette fracassare.

E il culto di Baal, se crediamo a II Cron. 23,17, dovette comportare a Gerusalemme anche un santuario di quel dio, distrutto dal re Ioas (837-800 a.C. ca.): non diversamente dunque da quanto avveniva a Samaria secondo II Re 11,18.

Alle testimonianze dei libri narrativi relative al culto di Baal si devono giustapporre quelle dei libri profetici. Il libro di Geremia (un profeta che si usa datare al tempo dei re di Giuda Ioachim, 609-598 a.C. ca., e Sedecia, 597-587 a.C. ca.) presenta il culto di Baal legato agli alti luoghi (bamot) e al sacrificio dei figli da parte dei padri (Ger. 7,9; 19,5); questo culto si attuava bruciando l'incenso per Baal (11,13.17) o giurando per Baal (12,16). A questo si dovrà aggiungere il fatto che in Gerusalemme (2,8 e 23) e in Samaria (23,13) i profeti profetizzano per Baal, con ovvio riferimento ai «profeti di Baal» del tipo di quelli citati da I Re 18.

Quello che sembra variare è il giudizio sul carattere tradizionale «nuovo» della divinità in questione: incerta è la testimonianza di 7,9, ove si parla di «sacrificare a Baal e andar dietro ad altri lon conosciuti»; in 19,5 il sacrificio umano è «rito che Yahweh non ha mai comandato».

Ma si noti che 9,13 parla degli Ebrei che «seguirono i Baalim che i loro padri fecero loro conoscere». A feste di Baal sembra poi alludere un brano (2,10 e 15) di un libro, Osea, riferito a un profeta che si data intorno al regno di Geroboamo II (786-746 a.C. ca.), e che parla dei giorni di Baal nei quali Israele, sposa infedele, bruciava incenso.

Il culto di Baal era dunque tradizionale, secondo quanto ci attestano brani poco frequentati della Bibbia, ed era presente già da età molto antica; aveva i propri santuari sia in Samaria sia in Gerusalemme, era praticato nel tempio salomonico e strettamente legato a culti astrali presenti in entrambe le capitali e proprio nel tempio di Gerusalemme. A Baal rendevano un culto numerosi re di entrambi i regni e sia a Nord sia a Sud c'erano profeti di Baal. Che pensare di un tale quadro? E soprattutto, si dovranno considerare fondamentalmente corrette le notizie bibliche che presentano queste forme religiose come costantemente «devianti» e il culto di Yahweh e quello di Baal come del tutto incompatibili?

La Bibbia stessa presenta dati che si possono interpretare in senso opposto a questo: così (v. Lemche, 1988, p. 225) i nomi dei figli di Saul e di quelli di Davide sono formati con nomi divini anche diversi da quelli di Yahweh, per esempio con il nome di Baal, pur se i due re sono dipinti dai racconti biblici come fedeli yahwisti.

Ma una controprova sicura è offerta dall'epigrafia, in un modo che qui citiamo appunto perché sembra esemplare. Infatti, in un ambiente (forse sacrale?) della fortezza di Kuntillet Ajrud , scavata di recente nel Negev (all'estremo Sud della Palestina) e costruita dai re di Giuda intorno all'800 a.C, si sono rinvenute iscrizioni databili all'VIII secolo a.C. ca.: tali iscrizioni menzionano i nomi divini El e Baal, oltre che Yahweh; e il nome di Yahweh ricorre più volte in formule di benedizione tracciate su grossi orci per derrate agricole che contenevano certo aridi o liquidi.

Le formule sono del seguente tenore: «Dice il Tale (nome proprio): dì al Talaltro (nome proprio) e al Talaltro ancora (nome proprio): Sii benedetto per/da Yahweh di Samaria e per/da la sua 'asherah (o: 'Asherah)».

Colpiscono dunque:
1) la compresenza di più nomi divini;
2) la presenza di benedizioni collegate al nome di Yahweh e a quello di un'entità indicata come A/'asherah, cioè o di una divinità femminile di tal nome (cfr. la dea ugaritica Atirat, consorte del sommo dio El) o di un oggetto sacro del tipo di quelli spesso menzionati dalla Bibbia e qui discussi.
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Il dio Bes


Su questi testi epigrafici ferve fin dal tempo del rinvenimento una vivace discussione, che si basa anche sul fatto che sui grossi orci per derrate sono tracciate figurazioni di vario tipo, fra cui spiccano la figura del dio Bes , il nano egiziano legato alla musica e alla danza, una vacca che allatta il suo vitello, un'arpista, ecc. (bibliografia in Keel-Uehlinger, 1992).

Mentre nulla garantisce che il nome qui reso come 'asherah sia un nome divino (sembra anzi più verosimile il contrario),
resta il fatto sicuro che si è qui di fronte a un culto yahwista «anomalo» e alla sua associazione, a quanto pare pacifica, con altri culti, tributati ad altre divinità o entità. Il quadro è dunque quello di una religiosità politeistica anche a prescindere dall'identificazione dell'entità associata a Yahweh come una dea, analogamente a quanto si rileva sui più tardi papiri in aramaico rinvenuti in Egitto (V secolo a.C), che associano a Yaho, dio dei Giudei ivi stanziati, la dea Anat.

L'associazione di Yahweh con «la sua 'asherah» nel contesto di un formula di benedizione ricompare in un'iscrizione da una località più settentrionale (ma sempre della Giudea), Khirbet el-Qom presso Hebron: quell'iscrizione si data alla seconda metà dell'VIII secolo a.C.
(Keel e Uehlinger, 1992).

Qual era dunque, in questo contesto che sembra chiaramente politeistico, il valore specifico di Yahweh e del suo culto? Risponderemo, con Giovanni Garbini (Garbini, 1986, p. 92), che Yahweh era verosimilmente «il dio nazionale degli Israeliti come Kemosh lo era di Moab, Milkom degli Ammoniti, Hadad degli Aramei, Melqart dei Tirii». E ricorderemo subito un importante passo biblico, non citato in questo contesto da Garbini, che sembra indicare proprio questo. Come si è osservato recentemente (Lemche, 1988, pp. 225 sg. ) il Cantico di Mosè nel Deuteronomio (32,8-9), nella versione greca dei Settanta e in un frammento di Qumran, proclama che «quando Elyon ha dato alle nazioni la loro eredità, /quando ha separato i figli degli uomini, / ha fissato i confini dei popoli secondo il numero dei figli di Dio, / e la porzione del Signore fu Giacobbe. / Israele è l'eredità che gli spettò».

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Il dio El raffigurato assieme a due leoni rappresen tanti il pianeta Venere sul retro ell'elsa del coltello cerimoniale di Gebel el-Arak


Chiaramente, mentre la tradizione biblica identificava Elyon («Altissimo») con Yahweh, parte della critica moderna intende Yahweh come quel figlio («angelo» ; ma la forma ebraica corrispondente vale «figlio») di Elyon a cui è toccato in sorte il popolo d'Israele.

Quanto a Elyon, questo nome divino è lo stesso che ricompare nel già ricordato passo di Gen. 14, ove Melchisedec, re di Salem, sacerdote di El Elyon, creatore del cielo e della terra fa portare pane e vino e benedice Abramo, dopo di che Abramo gli dà la decima.

La formula «creatore (del cielo e) della terra» è frequentemente attribuita a El : A. Caquot (1959) ne ha trovato attestazioni, linguisticamente identiche a questa, ma solo riferite alla terra, nelle tavolette ittite di Boghazkòy (il dio Ilkunirsa), nell'iscrizione fenicia di Karatepe in Cilicia (Vili secolo a.C.), in un'iscrizione neo-punica di Leptis Magna (Tripolitania, età romana), in un'iscrizione e in alcune tessere di Palmira (età romana).

Nei testi di Ugarit , El è padre e creatore, anzi, «creatore delle cose create». Si può dunque pensare che nella versione attestata dai Settanta ( Bibbia ebraica in greco detta LXX) , Elyon sia una figura di creatore che distribuisce i popoli agli dèi suoi figli.

E si può legare a questa interpretazione l'attestazione a Ugarit di un dio Yaw di cui il dio El afferma: «Il nome di mio figlio è Yaw»: la notizia è stata obliterata in vari modi da molti studiosi, ma difesa da Cazelles (1967) e valorizzata da Garbini (1986, pp. 86 sg.), nel senso che
il nome della divinità di Israele sarebbe già presente nei testi di Ugarit come nome di un dio figlio di El. Fin qui la ricostruzione resta puramente congetturale; ma nel 1972 N. Avigad, che scavava nel quartiere ebraico di Gerusalemme, pubblicava un'iscrizione rinvenuta in quegli scavi, che menzionava (El) creatore della terra ( [ 7] qn'rs) preceduto da un nome di persona, probabilmente un offerente.

La critica è concorde nel riconoscere nell'iscrizione, databile all'età monarchica, il nome di quel dio, anche se molti come già faceva il testo masoretico a proposito di Elyon identificano quel dio El creatore con Yahweh.

Se si aggiunge che Salem, la città di cui era re Melchisedec sacerdote di El Elyon creatore della terra, si è quasi sempre identificata appunto con Gerusalemme, si sarà di fronte a quella che sembra una conferma epigrafica del dato biblico ma, appunto, di un dato biblico non correttamente yahwista, che rafforza l'ipotesi di un politeismo ebraico in età monarchica, congiungendosi con le altre attestazioni di El nell'epigrafia coeva (quella citata di Kuntillet Ajrud e un'altra almeno da Khirbet el-Qom: Tigay, 1986, p. 24). ..."


-Arad-Beth Horon-Altare

"... a Teli Qasile (Tel Aviv) si è rinvenuto un coccio iscritto che menziona «oro di Ofir per Beth Horon» o forse «per il santuario di Horon», divinità siro-palestinese ben nota da testi di varia età.

Quello che colpisce soprattutto è la relativa abbondanza di rinvenimenti di santuari: all'età del Ferro I (1200-1000 a.C.) si datano il tempio dell'area BB di Megiddo e il cosiddetto tempio egittizzante di Beth Shean , entrambi della Palestina settentrionale, mentre due complessi, rispettivamente ai piedi del monte Ebal presso la biblica Sichem e presso Samaria, sembrano essere centri cultuali collegati a una serie di villaggi', nel primo si sono rinvenute tracce di sacrifici,mentre il secondo , ammesso che sia davvero un pìccolo santuario, sarebbe stato incentrato su una stele o altare e su un bronzetto raffigurante un vitello.

Al periodo successivo (Seconda età del Ferro, A e B, 1000-800 a.C.) appartengono il tempio Nord di Beth Shean, e un sacello
[ Piccolo recinto circolare o quadrato, con un altare, che nell'antica Roma si dedicava, spec. da privati, a divinità protettrici; estens., qualsiasi luogo di culto in ambienti appartati o raccolti.] detto Santuario 300 a Makmish; anche nel Sud abbiamo simili sacelli, come la «stanza cultuale» di Lachish.

Ma i due santuari recentemente scavati che maggiormente attirano l'attenzione e meritano una menzione meno fugace sono quello rinvenuto a Tel Dan nel Nord dall' équipe di Avraham Biram e quello scavato da Y. Aharoni nel Sud, anzi addirittura nel deserto del Negev, nel sito dell'antica Arad .

Il primo, che verosimilmente era fatto di piccoli altari a corna, forse per offrIre incenso, numerose figurine animali e umane in terracotta e un frantoio. Il complesso si data fra la fine del IX e la fine dell'Vili secolo a.C. ca., con riuso sacrale dell'area ancora nel periodo ellenistico e romano.

Il secondo santuario, quello di Arad, è un vasto complesso non dissimile (secondo Dever, 1989-1990) dalla descrizione biblica del tempio salomonico: struttura tripartita, ampia corte con altare e resti di sacrifici. Vi si sono rinvenuti un bel leone votivo in bronzo, e due piatti in ceramica per offerte con un'iscrizione che forse li identifica come «sacri ai sacerdoti». Lo si data fra il X e l'VIII secolo a.C, e probabilmente si riferisce ad esso la formula byt.yhwh («santuario di Yahweh») rinvenuta in un'iscrizione proprio ad Arad (Aharoni, 1975; Tigay, 1986).

Dever (19891990) fa osservare che esso era certo contemporaneo del tempio di Gerusalemme «in aperta violazione dell'ideale deuteronomico di un culto centralizzato appunto a Gerusalemme». Accanto ai dati dell'architettura sacra, i dati forniti dall'arte figurativa aiutano a capire quale fosse la religiosità dell'Israele pre-esilico.

Manca e già questo è significativo una statuaria monumentale; e sono poche anche le statuette in metallo (ne abbiamo citate già due, e cioè il vitello bronzeo del «luogo sacro» presso Samaria e il leone votivo del santuario di Arad). Sono frequentissime invece le statuine in terracotta, raffiguranti figure umane maschili, spesso di cavalieri, figure femminili e animali (per esempio, cavalli). Spiccano anche alcuni arredi cultuali anch'essi in terracotta, con decorazioni varie come leoni, serpenti, teste di bovini, figure femminili nude.

Questa produzione coroplastica è molto varia, ed è stata rinvenuta sia in aree sacre, sia in tombe, sia in contesti ancora diversi. Gli studiosi oscillano fra una lettura «laica», preferita da coloro che vogliono difendere la credibilità del quadro biblico, tutto sommato tendente all'aniconismo (e sono giunti fino a ipotizzare che si trattasse in molti casi di giocattoli!) e una lettura «religiosa» che vede in queste figurine la rappresentazione di divinità.

Ora, è certo che vedere in ogni figura antropomorfa un dio o una dea è procedimento erroneo, e che comunque non è poi mai possibile, in assenza di iscrizioni relative alle immagini, capire di quali divinità di volta in volta si tratti. Ma certo il carattere spesso tradizionale di questa produzione, e le sue corrispondenze con analoghi oggetti vicino-orientali, più antichi o coevi, che si leggono senza imbarazzo in chiave religiosa, dà da pensare.


-Asherah

Si dovrà aggiungere che la relativa frequenza di figure femminili, rappresentate nude, nell'atto di premersi i seni, o in altri modi esprimenti sessualità e maternità, indica senz'altro un orizzonte simbolico poco consono con l'austerità yahwista dei testi sacri.

Ulteriori informazioni ci fornisce la glittica, cioè l'analisi numerosi sigilli a stampo, iscritti e/o figurati, rinvenuti in se o acquistati sul mercato antiquario.

Questi oggetti servivano a personaggi ufficiali, certo legati con l'amministrazione regia, a sigillare oggetti o documenti, ed erano per lo più incastonati in anelli.

Le iscrizioni che essi recano consistono nel nome della persona, talvolta accompagnato dalla sua qualifica: per esempio abbiamo il sigillo di un sacerdote della città di Dor (khn d'r) che porta il nome yahwistico [z\kryw, o quello di mqnyw, «seno di Yahweh» {'bd.yhwh), forse un addetto al culto.

Le raffigurazioni su questi sigilli costituiscono un repertorio ricco ma lini d'impronta egittizzante, che Keel e Ùehlinger (1992) hanno centemente interpretato in chiave di un'ideologia regale esprimentesi mediante forme di una religiosità (fertilistica e solare di tradizione mesopotamica o egiziana.

Anche in documenti di contenuto non religioso, una fonte importante per la ricostruzione della religiosità di un popolo antico è costituita dai nomi propri, che contengono i nomi delle di ed esprimono i rapporti che queste ultime detengono con le persone che portano quei nomi.

Abbiamo già accennato ai nomi noi «yahwistici» dei figli di Saul e di Salomone. Aggiungiamo ora chi i nomi di persona nelle iscrizioni dell'età monarchica sono esaminati in modo analogo.

È risultata una forte maggioranza di nomi composti con quello di Yahweh; non mancano però nomi composti con quelli di divinità diverse quali Iside (la dea eg Asher, Baal, Bes (?), Gad, Horo (il dio egiziano), Yam (figura ai quatica o marina attestata anche a Ugarit), Mawet («Morte» l Qaus, Shalim (anche questo nome divino attestato nei testi ugari tici), Shamash (il dio solare).

Altri nomi sono «yahwistici» ma ugualmente poco «ortodossi»: valga per tutti il nome 'glyw (vitello di Yahweh», o «Yahweh è un vitello») attestato a Samaria e forse legato al culto dei «vitelli» attribuito dalla Bibbia, come si è visto, ai due re del Nord (di Samaria) Geroboamo I (922-90 ca.) e Osea (732-724 a.C. ca.), rispettivamente il primo e l'ultimi monarca di quel regno (v. Tigay, 1986).

Numerosi poi i nomi composti con l'elemento teoforico 'l cioè con quello che potrebbe e sere il nome del dio El (Tigay, 1986, pp. 83-85). "







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