Corso di Religione

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INDUISMO
La religione
Moksha, la salvezza.
         


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Rivelazione e Salvezza La mente umana, ordinariamente "crea" il mondo, la realtà, come rappresentazioni che hanno il loro fondamento nelle percezioni sensoriali (5 sensi). Attraverso questo processo rappresentativo il Brahman ci  incanta, ipnotizza. Il Mago Divino ha il Potere illusionista (Maya) che incanta (=ipnotizza) con il Gioco creativo (Lilà). Noi  crediamo  a queste rappresentazioni come fossero esse la realtà in cui viviamo. Ma esse non sono realtà: sono illusione (maya) .

La rivelazione è data agli uomini ...
« perchè possano conoscere la via
che conduce
dal nonessere all’essere ,
dalle tenebre alla luce,
dalla morte all’immortalità
...»

(Bradaranyaka Upanishad,III Brahmana,28)


Moksha, liberazione Mokṣa è l'obiettivo religioso centrale in tutte le dottrine religiose dell'India, in tutte le correnti e tradizioni dell'induismo, del jainismo , del sikhismo , ed è un concetto affine al nirvṇa del buddhismo .

Moksha è "liberazione" // "salvezza". Liberazione interpretata in modi diversi nelle diverse tradizioni religiose e diversamente conseguibile a seconda del contesto. E' comunque considerata il conseguimento di una condizione spirituale superiore .

Solo quando il karma è sufficientemente sotto controllo la mente diventa talmente potente da poter sperimentare in vita le profondità della supercoscienza , la Pura Coscienza dell' IO-Ataman-Brahman .

L'esperienza della Supercoscienza del Sè, Atman , unisce al Brahman e questa è l'estinzione per grazia divina di tutti i karma, la Purificazione , la Liberazione, l'Illuminazione, la Salvezza, l'unione permanente con il Principio divino, la felicità definitiva: MOKSHA.

"Definire cos'è la «liberazione» è, a un tempo, molto facile e molto difficile. È facile definirla perché chiunque ha esperienza della liberazione almeno due volte al giorno: quando si sveglia e quando si addormenta.

Infatti il momento in cui, cessando l'attenzione della veglia si trapassa nel sonno, e il momento in cui dal sonno si esce e si riaffronta la veglia, rappresentano un'intercapedine fra i due ordini dell'esistenza nella quale si è perfettamente liberi, poiché non si è soggiogati dalle leggi della coscienza di veglia, né si è nell'ignoranza del sonno.

È ben altra cosa riuscire ad espandere questo spazio, cioè riuscire ad allargare nel pieno della giornata questa libertà di cui si è goduto per un frammento di istante. Per ottenere ciò si può anche sacrificare tutto.

Un indù pio, in genere, sogna di poter partire un giorno, tanto da considerare tale partenza l'apice della sua esistenza.
Ancora oggi, in India, capita di assistere a uno spettacolo straordinario, rappresentato dal momento in cui un uomo che ha avuto grandi cariche, che ha avuto una parte importante nella vita della comunità, dopo aver messo al mondo un certo numero di figli e aver provveduto al loro avvenire, decide di lasciare la vita laica: dunque si sveste, si copre con abiti molto semplici, si allontana dalla famiglia e si rifugia nella foresta.

Questa non è il luogo pauroso che ci si potrebbe immaginare, ma è un luogo in cui tutto è a disposizione: se si ha bisogno di mangiare, si fa cadere una noce di cocco, o si spacca un altro frutto; c'è l'acqua da bere che scorre.

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Finalmente isolati da tutti, si può meditare e ci si può effettivamente liberare: questo è il fine della vita di un indiano.


Altri uomini, invece, decidono di liberarsi subito, quindi si staccano prima dalla famiglia ed entrano nella condizione di asceta o sadhu .

In India è possibile incontrare molti sadhu che si dedicano a una vita errante o che si stabiliscono in un determinato luogo. Alcuni sono soltanto dei truffatori, altri no: basta guardarli negli occhi per accorgersi immediatamente che hanno raggiunto quella «liberazione» difficile da definire.

Tuttavia è possibile attingere al significato di questo concetto anche attraverso un'analisi linguistica del termine:

«Liberazione» in sanscrito si dice «Moksha»; l'origine indoeuropea di tale parola è «Meuk», termine che indica tutto ciò che scivola su un terreno troppo liscio, troppo piano. Pertanto, se si va alla ricerca dell'origine di questa parola, si arriva a concepire la liberazione come lo scivolare lieve di un danzatore.

Le tre vie indiane che portano alla liberazione
1-La prima è la via della conoscenza.

Tale via si attaglia all'uomo privo di fede che si fonda solo sul modo della conoscenza, nel modo più puro e rigido.

Si distanzia dai propri sentimenti, fondandosi solo sul ragionamento, sulla valutazione, senza alcun elemento di disturbo.

Chi percorre questa via riesce a modificarsi seguendo la propria ragione, la conoscenza pura.

Il sistema più perfetto basato sulla conoscenza si chiama « Advaita Vedanta » o «conoscenza non duale»
;

La dualità è la formula entro cui l'uomo percepisce l'esistenza, come bene-male e maschio-femmina. Per tale filosofia questo modo di percepire è falso poiché non esistono dualità: tutto va visto triadicamente, ossia la saggezza indiana invita a introdurre un terzo termine che medi fra i primi due opposti: così la realtà comincerà a essere più duttile e vera, partendo dal presupposto che la verità non si lascia ingabbiare tra due opposti. Le dualità, quindi, non attengono al funzionamento della ragione, alla logica che lega i concetti.

Esiste un'altissima logica indiana, forse resa ancora più perfetta dai grandi logici buddhisti: su questa logica si basa la via della conoscenza.

2-la via della «devozione»

La maggior parte degli uomini non si appaga della conoscenza e vuole rispondere ai propri sentimenti, quali che siano.

Esiste un'altra via di liberazione che consiste nello spingere alla massima intensità i propri sentimenti: ciò si ottiene volgendo quelli d'amore verso un dio, fino a smarrirsi, ad esistere solo nell'adesione al dio: è la via della «devozione», o «bhakti» .


"Non vi è differenza tra devozione e perfetta conoscenza.
Colui che è totalmente assorbito nella devozione gode di perenne felicità"

Nata grazie ad alcuni poeti del Tamil , per diffondersi in tutta l'India: ogni regione e ogni lingua dell'India ha una letteratura bhaktica, devozionale, paragonabile alla letteratura e alla via mistica europee.

3-La via tantrica

La terza via è considerata «ereticale» dal più degli indù: la via « tantrica », le cui prime testimonianze di pose risalgono addirittura al 3000 a. C..

Negli scavi di Mohenjodaro vennero rinvenute delle statuine di uomini seduti sui talloni uniti premendo sul perineo per produrre una condizione fisica usata nel Tantra per determinati fini.

La pratica tantrica prevede anche uno yoga, diverso dal classico, fondato sull'idea essenziale per cui si ottiene la liberazione facendo svolgere il nodo del serpente avvolto intorno al coccige.

Questo serpente, chiamato « Kundalini », incarna tutti i sentimenti fondamentali e inconsci dell'uomo, sentimenti fonte di un'energia quasi soprannaturale che si può scatenare grazie agli esercizi di questo yoga.

Si tratta di contratture violente dell'addome, spingendo con forza nella direzione dove si suppone sia avvolto il serpente, sì da scatenarlo. In tal modo il serpente si ergerebbe lungo la colonna vertebrale fino al cervello, trasformando radicalmente l'uomo, che attingerebbe la liberazione.

Il Tantra prevede anche degli accoppiamenti rituali che avviano alla suprema liberazione. Tali rituali hanno luogo tra il maestro e una o più donne: l'uomo dovrebbe riuscire, nel momento supremo dell'avvitamento tantrico, a proiettare all'interno dell'uretra il flusso del seme, dando luogo a un'intima trasformazione.

Non si tratta, comunque, di una pratica puramente maschile, poiché la donna ha il primato nel Tantra, in quanto è lei a guidare il rito.

Il Tantra prevede anche un abbandono completo di tutte le leggi morali, compresa la divisione in caste, tanto che veniva praticato in segreto, in templi oramai abbandonati. Questa è la terza via predisposta per l'uomo che non rientra nella società, animato da sentimenti troppo violenti per potersi inquadrare nella vita civile, ma capace di una profonda filosofia. Non è un caso che Abhinavagupta, uno dei massimi metafisici indiani dell'XI secolo, fosse un maestro di Tantra.
"

fonte : Interviste RAI a Elémire Zolla- 27/3/1996

Jivan Mukta
Moksa è l'unione perfetta dell'anima al divino, l'identificazione del Sè individuale ( atman) con il Sè superpersonale ( Brahman) , l'Individualità Pura .

L'anima libera è Jivan Mukta .

Il Jivan Mukta, non è più legato alla necessità della rinascita


Ramakrishna - Jivan Mukta del secolo XIX

Ramana Maharshi - Jivan Mukta secolo XX

SaiBaba   , Jivan Mukta di questo secolo.

Il senso dell'esistenza -secondo l'induismo- è uscire dall' esistenza ciclica, samsara, dalla sofferenza, realizzare se stessi, l'Atman, l'anima, il divino che è in ogni essere.

Per giungere a questa salvezza è necessario  praticare perfettamente il Dharma, la Legge Universale naturale, etica, sociale, che è appunto la Tradizione Vedica ovvero l'Induismo.

SARVE BHAVANTU SUKIRNAH -SARVE SANTU NIRAMAYAH  SARVE BHADRANI PASYANTU MA KASCIT DUHUKHABHAK BHAVAT

Possano tutti essere contenti
Possano tutti essere liberi dalla miseria 
Possano tutti guardare con benevolenza
Possano tutti non soffrire.



George Harrison ( Beatles ) esprime il suo desiderio di conoscere il Brahaman ( My sweet Lord)

La religione popolare L'esperienza religiosa hindu ha visto nel cosmo la presenza del divino.

C'è una geografia sacra dell'India.

L'Himalaya è la montagna sacra da cui sorge Madre Ganga, il Gange, che attualmente è consideralo il più importante dei fiumi sacri dell'India. Ogni confluenza dei fiumi è sacra.  Varanasi ( o Benares ), la città di Shiva, è particolarmente rilevante come luogo di purificazione.

C'è un calendario sacro.

Il ritmo delle stagioni, gli equinozi, l'astrologia offrono segnali simbolici su cui regolarsi e da cui trarre lieti auspici.

Il pellegrinaggio
Il pellegrinaggio ai luoghi sacri ha la densità simbolica della purificazione, del passaggio della vita, orienta l'anima hindu a ricuperare lo spazio sacro, sorgente di essere, luogo di incontro tra ciò che è temporale e l'etemo. 

Il tempio hindu [ vedi : templi ] normalmente non è il luogo della preghiera comunitaria. E' l'abitazione e il corpo di Dio, il microcosmo che raffigura il macrocosmo.

Il Dio abita nella piccola cella, garbhagriha, stanza, grembo materno. L'immagine della divinità come se la vedesse, nel cuore, in quel centro comune dove contemplato e contemplante sono un'identica realtà.

Nei templi e nelle case viene offerta la puja che per sé è costituita da diversi gesti rituali: l'offerta del saggio alla divinità, l'offerta dell'acqua per la lavanda dei piedi e come rinfresco, l'offerta dello yogurt e di miele, dell'acqua per sciacquarsi, dei vestiti e degli ornamenti.

L'immagine del Dio è unta di profumo, le si offrono fiori, si brucíano le candele di legno di sandalo, vengono accese le lampade, viene offerto il cibo, si compiono le prostrazioni e le circumambulazioni. Tutto questo è accompagnato da formule rituali corrispondenti. 

Le Feste
Nell'induismo vi sono feste con un valore propiziatorio associate alle stagioni, ai periodi della semina e del raccolto, e perciò legate al particolare ambito geografico e climatico dell'India, la terra dove l'induismo si è tramandato per millenni e tali feste, avendo un carattere più popolare, mutano anche da zona a zona.

Vi sono altre festività, mantenute inalterate grazie alla cultura familiare, che trovano espressione nei culti domestici, assumendo caratteri diversi a seconda della tradizione seguita dalla famiglia stessa.

Ma, in particolare, esistono festività che, per il loro preciso significato religioso e spirituale, sono celebrate da qualsiasi indù di qualsiasi nazionalità, in qualsiasi parte del mondo.

"Le feste religiose dell'anno liturgico hindu sono quasi tutte sulla base del calendario lunare, che colloca l'inizio dell'anno, a seconda delle zone, o nel primo giorno di luna crescente del mese di Caitra (marzo-aprile), detto caitra-sukla-pratipad, oppure nel medesimo giorno del mese di Karttika (ottobre-novembre) e che, sempre a seconda delle zone, fa terminare i mesi con il giorno di luna piena (purnimanta), oppure con quello di luna nuova (amanta)." 
(Piano, Sanatana Dharma p.262-267)

Tradizionalmente le feste religiose ricoprono un'importante funzione di aggregazione sociale, sono aspetti significativi della vita della comunità: i preparativi, la preparazione di dolci particolari per ogni ricorrenza, le pratiche di purificazione seguite nell'ambito familiare, spettacoli, rappresentazioni teatrali sono tutte usanze che appartengono a una cultura, in cui la religione è il tessuto permanente della vita del singolo e della società e, sotto questo aspetto, certi usi sono riproducibili solo in parte in realtà sociali, come quella occidentale, regolate da strutture e ritmi di vita differenti.


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